Quando nell’estate del 2013 il Parlamento di Londra fu chiamato a
esprimersi sulla richiesta del governo Cameron di autorizzare
l’aggressione militare contro il regime di Bashar al-Assad in Siria, il
voto si risolse in una clamorosa sconfitta per il gabinetto
conservatore-liberaldemocratico. I deputati britannici, riflettendo il
diffusissimo sentimento anti-bellico nel paese, contribuirono di fatto a
impedire un nuovo conflitto in Medio Oriente.
Ma a distanza di due anni è emerso come il governo abbia deciso di agire in maniera illegale e nella quasi totale segretezza, autorizzando la partecipazione delle proprie forze aeree alla campagna di bombardamenti guidata dagli Stati Uniti in territorio siriano.
Com’è noto, meno di un anno dopo la marcia indietro di Obama sulla guerra in Siria, il cui lancio doveva basarsi su accuse infondate rivolte a Damasco di avere utilizzato armi chimiche contro i “ribelli”, Washington avrebbe ugualmente avviato la propria offensiva nel paese mediorientale. La giustificazione, in questo caso, era stata il dilagare dello Stato Islamico (ISIS).
Nel settembre del 2014, il Parlamento britannico avrebbe dato a sua volta il via libera alla partecipazione delle proprie forze armate alla guerra aerea, ma solo ed esclusivamente in territorio iracheno. Il provvedimento approvato a Londra affermava, in maniera difficilmente equivocabile, che non veniva concessa alcuna autorizzazione a bombardare la Siria ma, per fare ciò, il governo avrebbe dovuto passare attraverso “un voto separato del Parlamento”.
La rivelazione che un certo numero di piloti britannici sono stati e continuano a essere coinvolti nella campagna di bombardamenti in Siria è giunta in seguito all’accoglimento di un’istanza presentata dall’organizzazione umanitaria Reprieve in base alla legge sulla libertà di informazione. Il Ministero della Difesa di Londra ha dovuto così ammettere che i propri uomini fin dall’autunno dello scorso anno avevano iniziato a partecipare a missioni di guerra ufficialmente proibite per le forze britanniche.
Inizialmente, una portavoce del premier aveva cercato di minimizzare la vicenda, sostenendo che fin dagli anni Cinquanta è “pratica comune” per il personale militare britannico partecipare a operazioni di guerra con paesi alleati. Dopo queste dichiarazioni era giunta però la conferma che Cameron era a conoscenza del fatto che soldati del Regno erano impegnati segretamente in operazioni aeree in Siria.
Lunedì, poi, il ministro della Difesa conservatore, Michael Fallon, è apparso alla Camera dei Comuni per rispondere alle domande dell’opposizione sulla questione dell’impiego di militari britannici in Siria. Nonostante le azioni del governo siano state palesemente ingannevoli nei confronti del Parlamento e dei cittadini, non solo Fallon ha potuto chiudere il suo intervento senza troppe difficoltà, ma ha rilanciato le intenzioni del suo gabinetto di intensificare l’impegno in Siria.
Il ministro ha ammesso che cinque piloti britannici hanno partecipato ai bombardamenti aerei in Siria contro l’ISIS e altri 75 soldati hanno preso parte a diverse operazioni militari in questo paese assieme agli alleati.
Fallon ha assicurato che le operazioni erano state preventivamente approvate dal governo e che sono rimaste regrete per “ragioni di sicurezza”. Se, però, al governo fossero state chieste informazioni in proposito da parte dei membri del Parlamento, ha aggiunto Fallon, “ogni dettaglio sarebbe stato certamente fornito”.
Le ragioni suggerite dal ministro della Difesa per avere preso una decisione illegale di estrema gravità sono state molteplici nel corso del suo intervento di lunedì, anche se nessuna legittima. Ad esempio, Fallon ha sostenuto che il voto contrario al governo nell’agosto del 2013 si riferiva a operazioni belliche contro le forze di Assad e non contro l’ISIS.
La campagna contro quest’ultima organizzazione sarebbe inoltre un altro motivo dell’impiego segreto di piloti britannici in Siria, visto che la Gran Bretagna - in questo caso con un voto favorevole del Parlamento - è parte integrante della coalizione messa assieme dagli Stati Uniti per combattere un nemico che opera in buona parte in questo paese.
Inevitabile è stato anche il riferimento alla recente strage in una località turistica della Tunisia, commessa da seguaci dell’ISIS, nella quale sono stati uccisi una trentina di cittadini britannici. Il colpo di genio di Fallon e del governo Cameron, però, è stato la giustificazione che le operazioni aeree a cui hanno partecipato i propri piloti non erano di iniziativa britannica, bensì delle forze alleate americane o canadesi, e ciò non comportava quindi la necessità di un’autorizzazione parlamentare.
Nonostante il fatto di avere agito in contravvenzione di ben due risoluzioni del Parlamento, né Fallon né tantomeno Cameron sono stati sfiorati da ipotesi di dimissioni. Gli stessi membri dell’opposizione, pur avendo espresso critiche più o meno deboli nei confronti del governo, non hanno sostanzialmente messo in discussione la posizione del ministro della Difesa.
La docilità dell’opposizione ha così contribuito al contrattacco del governo, intenzionato a non fare nessuna marcia indietro. Quando lunedì alla Camera è stato chiesto ad esempio a Fallon se la Difesa intendeva sospendere la partecipazione dei piloti britannici alle operazioni militari in Siria finché il governo non avesse ottenuto un voto favorevole del Parlamento, il ministro ha escluso categoricamente questa possibilità.
Anzi, il governo appare “determinato a impiegare tutte le forze a disposizione per fare ancora di più per combattere l’ISIS” in Siria. Secondo i media britannici, Cameron e Fallon potrebbero chiedere al Parlamento già in autunno l’autorizzazione per condurre incursioni militari “dirette” – ovvero interamente sotto il comando di Londra – contro l’ISIS anche in Siria.
Il primo ministro, parlando domenica al network americano NBC, ha ribadito la necessità di “distruggere il Califfato” in Iraq e in Siria ma, per quanto riguarda le operazioni in quest’ultimo paese, con l’accordo del Parlamento.
Il gabinetto conservatore è ben consapevole di avere agito nella completa illegalità e, pur affrontando la vicenda con un mix di arroganza e ostentata sicurezza, intende ricomporre la relativa frattura creatasi con il Parlamento per timore che altre decisioni unilaterali nell’ambito della guerra in Medio Oriente alimentino ulteriori sentimenti anti-bellici nella popolazione.
Il vero obiettivo del governo Cameron, in ogni caso, coincide con quello degli alleati americani in Iraq e in Siria, vale a dire l’intensificazione dello sforzo militare per rovesciare il regime di Assad, anche se dietro il paravento della lotta all’ISIS.
La classe dirigente di Londra, così come quella di Washington, non intende perciò accettare vincoli legali né l’opinione della popolazione nell’avanzamento dei propri interessi, tanto che alcune voci all’interno dell’establishment della sicurezza in Gran Bretagna già prospettano un’ulteriore escalation del conflitto in atto.
L’ex comandante delle forze armate del Regno, Lord Richards, solo qualche giorno fa ha ad esempio affermato in un’intervista alla BBC che una strategia efficace per sconfiggere l’ISIS dovrà prima poi includere il dispiegamento di truppe di terra.
Ma a distanza di due anni è emerso come il governo abbia deciso di agire in maniera illegale e nella quasi totale segretezza, autorizzando la partecipazione delle proprie forze aeree alla campagna di bombardamenti guidata dagli Stati Uniti in territorio siriano.
Com’è noto, meno di un anno dopo la marcia indietro di Obama sulla guerra in Siria, il cui lancio doveva basarsi su accuse infondate rivolte a Damasco di avere utilizzato armi chimiche contro i “ribelli”, Washington avrebbe ugualmente avviato la propria offensiva nel paese mediorientale. La giustificazione, in questo caso, era stata il dilagare dello Stato Islamico (ISIS).
Nel settembre del 2014, il Parlamento britannico avrebbe dato a sua volta il via libera alla partecipazione delle proprie forze armate alla guerra aerea, ma solo ed esclusivamente in territorio iracheno. Il provvedimento approvato a Londra affermava, in maniera difficilmente equivocabile, che non veniva concessa alcuna autorizzazione a bombardare la Siria ma, per fare ciò, il governo avrebbe dovuto passare attraverso “un voto separato del Parlamento”.
La rivelazione che un certo numero di piloti britannici sono stati e continuano a essere coinvolti nella campagna di bombardamenti in Siria è giunta in seguito all’accoglimento di un’istanza presentata dall’organizzazione umanitaria Reprieve in base alla legge sulla libertà di informazione. Il Ministero della Difesa di Londra ha dovuto così ammettere che i propri uomini fin dall’autunno dello scorso anno avevano iniziato a partecipare a missioni di guerra ufficialmente proibite per le forze britanniche.
Inizialmente, una portavoce del premier aveva cercato di minimizzare la vicenda, sostenendo che fin dagli anni Cinquanta è “pratica comune” per il personale militare britannico partecipare a operazioni di guerra con paesi alleati. Dopo queste dichiarazioni era giunta però la conferma che Cameron era a conoscenza del fatto che soldati del Regno erano impegnati segretamente in operazioni aeree in Siria.
Lunedì, poi, il ministro della Difesa conservatore, Michael Fallon, è apparso alla Camera dei Comuni per rispondere alle domande dell’opposizione sulla questione dell’impiego di militari britannici in Siria. Nonostante le azioni del governo siano state palesemente ingannevoli nei confronti del Parlamento e dei cittadini, non solo Fallon ha potuto chiudere il suo intervento senza troppe difficoltà, ma ha rilanciato le intenzioni del suo gabinetto di intensificare l’impegno in Siria.
Il ministro ha ammesso che cinque piloti britannici hanno partecipato ai bombardamenti aerei in Siria contro l’ISIS e altri 75 soldati hanno preso parte a diverse operazioni militari in questo paese assieme agli alleati.
Fallon ha assicurato che le operazioni erano state preventivamente approvate dal governo e che sono rimaste regrete per “ragioni di sicurezza”. Se, però, al governo fossero state chieste informazioni in proposito da parte dei membri del Parlamento, ha aggiunto Fallon, “ogni dettaglio sarebbe stato certamente fornito”.
Le ragioni suggerite dal ministro della Difesa per avere preso una decisione illegale di estrema gravità sono state molteplici nel corso del suo intervento di lunedì, anche se nessuna legittima. Ad esempio, Fallon ha sostenuto che il voto contrario al governo nell’agosto del 2013 si riferiva a operazioni belliche contro le forze di Assad e non contro l’ISIS.
La campagna contro quest’ultima organizzazione sarebbe inoltre un altro motivo dell’impiego segreto di piloti britannici in Siria, visto che la Gran Bretagna - in questo caso con un voto favorevole del Parlamento - è parte integrante della coalizione messa assieme dagli Stati Uniti per combattere un nemico che opera in buona parte in questo paese.
Inevitabile è stato anche il riferimento alla recente strage in una località turistica della Tunisia, commessa da seguaci dell’ISIS, nella quale sono stati uccisi una trentina di cittadini britannici. Il colpo di genio di Fallon e del governo Cameron, però, è stato la giustificazione che le operazioni aeree a cui hanno partecipato i propri piloti non erano di iniziativa britannica, bensì delle forze alleate americane o canadesi, e ciò non comportava quindi la necessità di un’autorizzazione parlamentare.
Nonostante il fatto di avere agito in contravvenzione di ben due risoluzioni del Parlamento, né Fallon né tantomeno Cameron sono stati sfiorati da ipotesi di dimissioni. Gli stessi membri dell’opposizione, pur avendo espresso critiche più o meno deboli nei confronti del governo, non hanno sostanzialmente messo in discussione la posizione del ministro della Difesa.
La docilità dell’opposizione ha così contribuito al contrattacco del governo, intenzionato a non fare nessuna marcia indietro. Quando lunedì alla Camera è stato chiesto ad esempio a Fallon se la Difesa intendeva sospendere la partecipazione dei piloti britannici alle operazioni militari in Siria finché il governo non avesse ottenuto un voto favorevole del Parlamento, il ministro ha escluso categoricamente questa possibilità.
Anzi, il governo appare “determinato a impiegare tutte le forze a disposizione per fare ancora di più per combattere l’ISIS” in Siria. Secondo i media britannici, Cameron e Fallon potrebbero chiedere al Parlamento già in autunno l’autorizzazione per condurre incursioni militari “dirette” – ovvero interamente sotto il comando di Londra – contro l’ISIS anche in Siria.
Il primo ministro, parlando domenica al network americano NBC, ha ribadito la necessità di “distruggere il Califfato” in Iraq e in Siria ma, per quanto riguarda le operazioni in quest’ultimo paese, con l’accordo del Parlamento.
Il gabinetto conservatore è ben consapevole di avere agito nella completa illegalità e, pur affrontando la vicenda con un mix di arroganza e ostentata sicurezza, intende ricomporre la relativa frattura creatasi con il Parlamento per timore che altre decisioni unilaterali nell’ambito della guerra in Medio Oriente alimentino ulteriori sentimenti anti-bellici nella popolazione.
Il vero obiettivo del governo Cameron, in ogni caso, coincide con quello degli alleati americani in Iraq e in Siria, vale a dire l’intensificazione dello sforzo militare per rovesciare il regime di Assad, anche se dietro il paravento della lotta all’ISIS.
La classe dirigente di Londra, così come quella di Washington, non intende perciò accettare vincoli legali né l’opinione della popolazione nell’avanzamento dei propri interessi, tanto che alcune voci all’interno dell’establishment della sicurezza in Gran Bretagna già prospettano un’ulteriore escalation del conflitto in atto.
L’ex comandante delle forze armate del Regno, Lord Richards, solo qualche giorno fa ha ad esempio affermato in un’intervista alla BBC che una strategia efficace per sconfiggere l’ISIS dovrà prima poi includere il dispiegamento di truppe di terra.
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