La legge sulla tortura approvata il 9 aprile scorso dalla Camera è
gradita al "partito della polizia" (la definizione è di Marco Preve). È
netta la valutazione che Lorenzo Guadagnucci, giornalista, vittima
dell'irruzione poliziesca alla scuola Diaz-Pertini di Genova nel luglio
2001 e autore per Altreconomia di “sTortura”, ha riproposto lunedì sera
al convegno milanese “Dal sangue della Diaz al reato di tortura?”. Con
lui al tavolo sono intervenuti anche Valerio Onida, presidente emerito
della Consulta, Enrico Zucca, sostituto procuratore a Genova e pm al
processo Diaz e Vittorio Agnoletto.
Il provvedimento approvato dopo l’inequivocabile sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sui fatti della Diaz dell’aprile scorso rischia infatti di non comprendere fatti analoghi alla macelleria del G8. Un potenziale epilogo paradossale che Guadagnucci ha addebitato non solo all’ingiustificato timore patito dalla politica nei confronti dei corpi delle forze dell’ordine -prova ne sono state le audizioni svolte in Parlamento, che non hanno mai dato spazio alle vittime o ai legali delle vittime- ma anche alle organizzazioni della società civile, intrappolate nel compromesso ricattatorio del "meglio di niente".
"No, è meglio niente", ha detto Guadagnucci, lanciando anche un appello pubblico per cercare di riaprire la discussione parlamentare nel merito. Troppe le manchevolezze del testo della Camera, che si discosta profondamente dalla Convenzione Onu cui invece avrebbe dovuto rifarsi. Su tutte, la natura generica del reato e la cattiva qualificazione della condotta.
“Occorre chiamare le cose con il loro nome” ha affermato poi il pm Zucca, richiamando l’attenzione sulla recente dichiarazione di Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, che si è spinto a dirsi “indignato dopo la sentenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo”, aggiungendo che “i fatti della Diaz sono vergognosi, ma le indagini su quei fatti hanno consentito di individuare le responsabilità, anche dei vertici, senza bisogno del reato di tortura”. Parole “inquietanti” secondo Agnoletto che sono in netto contrasto con quelle evidenze fotografate e sanzionate -all’unanimità- dalla Corte europea.
E se Zucca è giunto ad affermare che questo reato di tortura, così come è impostato, con tutti quei distinguo finalizzati a “non spaventare la polizia”, porta a non spaventare nemmeno le parti insane della Polizia -quando invece dovrebbe farlo, come indica la sentenza della Cedu e nonostante Cantone-, la discussione al Senato, in commissione Giustizia -il relatore è Buemi-, va in tutt’altra direzione. E cioè di una censura al testo della Camera perché ritenuto punitivo nei confronti della divisa. A certificarlo sono i resoconti sommari delle sedute dei commissari di Palazzo Madama, in modo particolare quella del 5 maggio scorso. Dalle “forti perplessità” espresse dal senatore Palma (Forza Italia), che della commissione è presidente, il quale ha invitato i colleghi “a considerare l'opportunità di svolgere un ciclo di audizioni”, alle “perplessità” di Giuseppe Lumia (Pd), secondo cui il testo della Camera “rischia di limitare l'applicazione del reato, sotto il profilo soggettivo, esclusivamente nei confronti dei pubblici ufficiali”. Sulla stessa linea Giovanardi (Ncd-Udc), espressione di un partito di governo, che ha anticipato la propria “indisponibilità a votare il testo con le modifiche apportate dalla Camera, che non appaiono condivisibili”, Orellana (Misto), “il testo iniziale del Senato era più equilibrato”, Malan (Forza Italia), “un testo come quello in esame (può) essere strumentalmente utilizzato per intralciare l'attività delle Forze dell'ordine”, Stefani (Lega Nord), il testo “finisce per incidere nei confronti delle funzioni svolte dalle Forze dell'ordine con il rischio di limitarne e condizionarne l'azione” e Buccarella (M5s), per il quale “la formulazione proposta con riferimento al delitto di tortura dalla Camera si caratterizza per la sussistenza di un dolo specifico idoneo a restringere in maniera eccessiva l'ambito oggettivo di applicazione della fattispecie ed a prestare il fianco al rischio di strumentalizzazione”.
L’unica voce registrata fuori dal coro è stata quella della senatrice Ginetti (Pd), che ha segnalato il rischio insito nel testo della Camera che il reato di tortura possa “risultare inapplicabile a casi analoghi a quelli verificatisi alla scuola Diaz”.
Sta di fatto che oggi, martedì 12 maggio, partiranno le prime audizioni informali volute dal presidente Palma. Anche in questo caso, l’ordine prioritario delle voci da raccogliere non pare cambiato: il capo della Polizia, il comandante generale dell'arma dei carabinieri, il capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il comandante generale della Guardia di finanza, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati e il presidente dell’Unione camere penali. Nessuna ombra della Diaz, com’è stato per la Camera.
Ora il rischio è che l’ennesimo rallentamento porti con sé un frutto avvelenato. E cioè una svolta decisionista che conduca all’approvazione di una legge “sbagliata” e “dannosa” (Guadagnucci). Lontana da Strasburgo e vicina al partito della polizia.
Il provvedimento approvato dopo l’inequivocabile sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sui fatti della Diaz dell’aprile scorso rischia infatti di non comprendere fatti analoghi alla macelleria del G8. Un potenziale epilogo paradossale che Guadagnucci ha addebitato non solo all’ingiustificato timore patito dalla politica nei confronti dei corpi delle forze dell’ordine -prova ne sono state le audizioni svolte in Parlamento, che non hanno mai dato spazio alle vittime o ai legali delle vittime- ma anche alle organizzazioni della società civile, intrappolate nel compromesso ricattatorio del "meglio di niente".
"No, è meglio niente", ha detto Guadagnucci, lanciando anche un appello pubblico per cercare di riaprire la discussione parlamentare nel merito. Troppe le manchevolezze del testo della Camera, che si discosta profondamente dalla Convenzione Onu cui invece avrebbe dovuto rifarsi. Su tutte, la natura generica del reato e la cattiva qualificazione della condotta.
“Occorre chiamare le cose con il loro nome” ha affermato poi il pm Zucca, richiamando l’attenzione sulla recente dichiarazione di Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, che si è spinto a dirsi “indignato dopo la sentenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo”, aggiungendo che “i fatti della Diaz sono vergognosi, ma le indagini su quei fatti hanno consentito di individuare le responsabilità, anche dei vertici, senza bisogno del reato di tortura”. Parole “inquietanti” secondo Agnoletto che sono in netto contrasto con quelle evidenze fotografate e sanzionate -all’unanimità- dalla Corte europea.
E se Zucca è giunto ad affermare che questo reato di tortura, così come è impostato, con tutti quei distinguo finalizzati a “non spaventare la polizia”, porta a non spaventare nemmeno le parti insane della Polizia -quando invece dovrebbe farlo, come indica la sentenza della Cedu e nonostante Cantone-, la discussione al Senato, in commissione Giustizia -il relatore è Buemi-, va in tutt’altra direzione. E cioè di una censura al testo della Camera perché ritenuto punitivo nei confronti della divisa. A certificarlo sono i resoconti sommari delle sedute dei commissari di Palazzo Madama, in modo particolare quella del 5 maggio scorso. Dalle “forti perplessità” espresse dal senatore Palma (Forza Italia), che della commissione è presidente, il quale ha invitato i colleghi “a considerare l'opportunità di svolgere un ciclo di audizioni”, alle “perplessità” di Giuseppe Lumia (Pd), secondo cui il testo della Camera “rischia di limitare l'applicazione del reato, sotto il profilo soggettivo, esclusivamente nei confronti dei pubblici ufficiali”. Sulla stessa linea Giovanardi (Ncd-Udc), espressione di un partito di governo, che ha anticipato la propria “indisponibilità a votare il testo con le modifiche apportate dalla Camera, che non appaiono condivisibili”, Orellana (Misto), “il testo iniziale del Senato era più equilibrato”, Malan (Forza Italia), “un testo come quello in esame (può) essere strumentalmente utilizzato per intralciare l'attività delle Forze dell'ordine”, Stefani (Lega Nord), il testo “finisce per incidere nei confronti delle funzioni svolte dalle Forze dell'ordine con il rischio di limitarne e condizionarne l'azione” e Buccarella (M5s), per il quale “la formulazione proposta con riferimento al delitto di tortura dalla Camera si caratterizza per la sussistenza di un dolo specifico idoneo a restringere in maniera eccessiva l'ambito oggettivo di applicazione della fattispecie ed a prestare il fianco al rischio di strumentalizzazione”.
L’unica voce registrata fuori dal coro è stata quella della senatrice Ginetti (Pd), che ha segnalato il rischio insito nel testo della Camera che il reato di tortura possa “risultare inapplicabile a casi analoghi a quelli verificatisi alla scuola Diaz”.
Sta di fatto che oggi, martedì 12 maggio, partiranno le prime audizioni informali volute dal presidente Palma. Anche in questo caso, l’ordine prioritario delle voci da raccogliere non pare cambiato: il capo della Polizia, il comandante generale dell'arma dei carabinieri, il capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il comandante generale della Guardia di finanza, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati e il presidente dell’Unione camere penali. Nessuna ombra della Diaz, com’è stato per la Camera.
Ora il rischio è che l’ennesimo rallentamento porti con sé un frutto avvelenato. E cioè una svolta decisionista che conduca all’approvazione di una legge “sbagliata” e “dannosa” (Guadagnucci). Lontana da Strasburgo e vicina al partito della polizia.
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