Il presidente della Bce sponsorizza il modello Marchionne
Anche Mario Draghi attacca il contratto nazionale di lavoro. Il presidente della Bce rilancia il suo appello alle riforme strutturali con un deciso endorsement alla contrattazione aziendale: chiede che l’economia flessibile entri nel Dna degli europei, al punto da dare all’Ue i poteri di governance sulle riforme oggi appannaggio dei governi nazionali.
A Sintra, Portogallo, Draghi presiede la seconda edizione del simposio Bce dedicato quest’anno a inflazione e disoccupazione: inevitabile toccare liberalizzazioni, mercato del lavoro, velocizzazione della pubblica amministrazione. Ma Draghi questa volta allarga il campo. E per la prima volta entra nei meccanismi contrattuali, con parole che, in Italia, paiono un endorsement al decentramento della contrattazione salariale di cui la Fiat di Sergio Marchionne è stata alfiere. L’esempio della Germania (che negli anni ’90 ha radicalmente reso più flessibile il mercato del lavoro) mostra, secondo i dati della Bce, che durante le crisi le imprese che applicano la contrattazione aziendale «hanno ridotto gli occupati meno di quelle vincolate dalla contrattazione centralizzata». Una rivoluzione copernicana per Paesi, come l’Italia, dove la contrattazione collettiva è dominante.
Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, non replica sul punto ma si limita a osservare che la previsione di ripresa di Draghi sia «facile dopo sette anni tutti di arretramento», e che in Italia «la disoccupazione continua ad essere a due cifre (13% contro il 4,7% della Germania, ndr)».
Chi invece replica a Draghi sulla contrattazione è il leader della Uil, Carmelo Barbagallo. «Le considerazioni del presidente della Bce a proposito dei due livelli di contrattazione ci lasciano perplessi», dice. «La Uil ha definito una proposta di riforma del sistema contrattuale che prevede un sostanziale necessario rafforzamento della contrattazione aziendale, ma non esclude la contrattazione nazionale come riferimento comune a tutti i lavoratori di ogni singola categoria»
Anche Mario Draghi attacca il contratto nazionale di lavoro. Il presidente della Bce rilancia il suo appello alle riforme strutturali con un deciso endorsement alla contrattazione aziendale: chiede che l’economia flessibile entri nel Dna degli europei, al punto da dare all’Ue i poteri di governance sulle riforme oggi appannaggio dei governi nazionali.
A Sintra, Portogallo, Draghi presiede la seconda edizione del simposio Bce dedicato quest’anno a inflazione e disoccupazione: inevitabile toccare liberalizzazioni, mercato del lavoro, velocizzazione della pubblica amministrazione. Ma Draghi questa volta allarga il campo. E per la prima volta entra nei meccanismi contrattuali, con parole che, in Italia, paiono un endorsement al decentramento della contrattazione salariale di cui la Fiat di Sergio Marchionne è stata alfiere. L’esempio della Germania (che negli anni ’90 ha radicalmente reso più flessibile il mercato del lavoro) mostra, secondo i dati della Bce, che durante le crisi le imprese che applicano la contrattazione aziendale «hanno ridotto gli occupati meno di quelle vincolate dalla contrattazione centralizzata». Una rivoluzione copernicana per Paesi, come l’Italia, dove la contrattazione collettiva è dominante.
Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, non replica sul punto ma si limita a osservare che la previsione di ripresa di Draghi sia «facile dopo sette anni tutti di arretramento», e che in Italia «la disoccupazione continua ad essere a due cifre (13% contro il 4,7% della Germania, ndr)».
Chi invece replica a Draghi sulla contrattazione è il leader della Uil, Carmelo Barbagallo. «Le considerazioni del presidente della Bce a proposito dei due livelli di contrattazione ci lasciano perplessi», dice. «La Uil ha definito una proposta di riforma del sistema contrattuale che prevede un sostanziale necessario rafforzamento della contrattazione aziendale, ma non esclude la contrattazione nazionale come riferimento comune a tutti i lavoratori di ogni singola categoria»
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