Nell’indifferenza generale proseguono le sconcertanti dichiarazioni
sia da parte dei politici che da parte delle agenzie di rating sulla
situazione italiana. Quelle che mi hanno colpito di più in questi giorni
in cui, con l’approvazione dell’italicum, si è surrettiziamente
modificata la forma di governo del paese sono quattro.
La prima certamente è stata quella di Alfredo D’Attorre, deputato PD, il quale in un’intervista trasmessa su LA7 ha candidamente affermato (davanti ad un muto e rassegnato Mario Adinolfi) che Renzi sta facendo interessi stranieri e che la disoccupazione è mantenuta alta volontariamente.
Neppure il tempo di rabbrividire per l’ammissione, ampiamente scontata per me e per gli amici di scenari economici, ed ecco arrivare tre dichiarazioni semplicemente incredibili, da parte di Renzi, Moody e del sempre presente (purtroppo) Mario Monti, una calamità perenne per il Paese.
Renzi, prima dell’approvazione dell’italicum, è saltato fuori con uno strepitoso “potete mandarci a casa ma non potete fermarci”.
Nessuno ovviamente ha pensato di chiedere all’abusivo inquilino di Palazzo Chigi chi è il soggetto che non può essere fermato ma tanto la risposta l’aveva già data D’Attorre: Renzi ovviamente si riferiva agli interessi della finanza.
Il “noi” che ha usato assomiglia tremendamente al “noi” che usano i tifosi sportivi quando la propria squadra vince.
Entrambi non contano nulla ed a vincere sono altri. Ma Renzi è fiero del suo ruolo che lo pone ad essere il capo degli schiavi.
L’agenzia di rating Moody, altrettanto incredibilmente, ha ribadito che l’Italia non è più sovrana ed indipendente (come se ci fosse bisogno di rimarcarlo ancora), affermando con la consueta spudoratezza che la sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni è una “sconfitta”. Ancora una volta è lecito domandarsi per chi. La risposta è sempre la stessa, è una sconfitta per la finanza che Moody rappresenta.
Il pagamento di pensioni più alte è un atto infatti che va nella direzione opposta alla distruzione dei consumi interni del paese e della deflazione che invece gli avversari della democrazia vogliono per cancellare gli ultimi barlumi di libertà.
Moody ha poi parlato dell’italicum e chiaramente il giudizio è stato fortemente positivo a patto che venga abolito anche il Senato elettivo e che dunque effettivamente un solo partito possa porsi al controllo della Nazione attraverso l’occupazione di tutti gli organismi istituzionali, occupazione assai semplice quando si ha la maggioranza assoluta nell’unica Camera.
Maggioranza che uno zoccolo d’uro di un centinaio di parlamentari eletti in base alle nomine dirette del partito rendono ancora più salda e sostanzialmente soggetta ad un vincolo di mandato indirettamente costituito.
Moody definisce la dittatura che consegue a tale nuova forma di governo con il termine “stabilità”.
L’agenzia dunque avrebbe certamente dato un ottimo voto anche al fascimo ed alla Legge Acerbo che consolidò la dittatura nel 1923. Anzi forse avrebbe espresso qualche dubbio, la legge Acerbo era troppo democratica, aveva le preferenze!
Con l’italicum la Repubblica Parlamentare cessa di esistere ed il potere legislativo e giudiziario vengono per sempre subordinati a quello esecutivo.
L’Italia diventa un protettorato in cui un governo fedele alla finanza non avrà più alcun problema ad eseguire gli ordini di volta in volta assegnati, senza fastidiosi ritardi.
Il bersaglio grosso è ovviamente giungere all’abrogazione della Costituzione che con i suoi principi fondamentali immutabili (quella italiana è una Costituzione rigida) rimane una spina nel fianco per il completo smantellamento dell’Italia come nazione sovrana ed indipendente.
Ma non è finita, poteva stare zitto in tutto questo Mario Monti? Certamente no.
Monti si è lanciato in una critica alla Corte Costituzionale per l’ineccepibile sentenza sulle pensioni. d’altronde è una sentenza che lo ha punto sul vivo poiché è stato uno dei provvedimenti di distruzione della domanda interna più efficaci del suo governo illegittimo.
Tale critica rappresenta, ancora una volta, il preludio ideologico a ciò che con l’italicum sarà possibile fare, ovvero nominare una Corte politica che non fermerà la distruzione della carta costituzionale.
Infatti con Parlamento e Presidente della Repubblica in mano alla maggioranza si potrà procedere a superare definitivamente la Costituzione senza timori di essere fermati dalla Corte preposta a difenderla.
Già si dice che la sentenza sulle pensioni sia stata emessa con un solo voto di scarto a favore dell’incostituzionalità. Ciò significa che sei giudici della Corte sono già pesantemente influenzati dalle volontà politiche perché davvero l’incostituzionalità era manifesta a chiunque. Sei giuristi di quel livello, se in buona fede o comunque liberi da condizionamenti, non potevano non accorgersene.
Ma torniamo alla dichiarazione. Precisamente Monti ha affermato: “La Corte Costituzionale guarda uno spicchio significativo di un intero problema, e cioè il blocco delle indicizzazioni delle pensioni, e forse non da altrettanto rilievo ad altri valori di pari rilievo costituzionale come per esempio il vincolo del pareggio in bilancio” e poi ha demenzialmente rincarato “Ma lassù, più in alto, c’è il mondo augusto e distaccato delle Corti Costituzionali”.
Il plurale, come per Renzi, non è un caso. Monti, quale uomo di spicco della finanza, odia tutte le Corti Costituzionali che ostacolano le cessioni di sovranità degli Stati, dunque non solo la Corte italiana.
Monti come di consueto è peraltro in malafede, altrimenti sarebbe un ignorante di proporzioni cosmiche e sappiamo molto bene che così non è.
Mentre Renzi certamente non è una cima e forse poco comprende di alcune dinamiche, Mario Monti è certamente un uomo dei poteri forti in grado sufficientemente elevato per avere chiaro il disegno complessivo.
Infatti è impossibile ritenere che Monti non sappia che i principi fondamentali della Costituzione ed i diritti inalienabili sono valori di rango costituzionale ben superiori all’insignificante pareggio in bilancio che addirittura non è compatibile con essi.
In una Repubblica fondata sul lavoro il pareggio in bilancio, peraltro introdotto proprio da Monti con un colpo di mano palesemente eversivo dell’ordine costituzionale, contrasta con la necessità di eseguire politiche di piena occupazione che inderogabilmente richiedono un deficit di bilancio nel lungo periodo.
L’art. 47 Cost. coerentemente con i principi fondamentali impone alla Repubblica di tutelare ed incoraggiare il risparmio in tutte le sue forme. Il risparmio, ovviamente, è matematicamente possibile solo con politiche di deficit. Se lo Stato tassa quanto spende, o addirittura di più (conseguendo l’avanzo primario che ci contraddistingue da vent’anni) è evidente a qualsiasi persona dotata di intelletto che il risparmio diviene matematicamente impossibile perché ogni anno la moneta che circolerà nell’economia reale diverrà sempre meno.
Il pareggio in bilancio rende dunque impossibile la crescita nel lungo periodo ed impedisce alla Repubblica di adempiere ai propri obblighi fondanti. Non potendo contrastarsi l’effetto del vincolo con il potenziamento delle esportazioni e ciò è sempre vero soprattutto nel lungo periodo.
Al contrario di quanto dice Monti la Corte, in futuro, non dovrà dunque preoccuparsi di analizzare questo vincolo per farlo prevalere sui principi fondamentali, ma anzi dovrà fare l’esatto opposto.
Attraverso una rimissione ad hoc, che spero possa arrivare già a luglio da parte del Tribunale di Genova nella causa da me intrapresa contro la Presidenza del Consiglio per le illegittime cessioni di sovranità compiute, chiarire il ruolo giuridico del deficit e della moneta mettendo fine, e questa volta per sempre, al crimine del pareggio in bilancio.
Esiste un solo limite quantitativo alla crescita economica ed è quello naturale, ovvero la presenza materiale sul pianeta di risorse sufficienti. Questo limite ovviamente non sarebbe superabile neppure per la tutela del lavoro, in quanto sarebbe materialmente impossibile.
Peraltro non si vede come non dovrebbe essere possibile evolvere con politiche ecologicamente sostenibili in campo economico. Farlo è possibile, basterebbe togliere il controllo a chi ha interessi opposti per ragioni di mero profitto. Guarda caso un’azione che la nostra Costituzione consentirebbe!
La linea da prendere dunque è semplicissima: basta fare il contrario di quello che chiede la Troika. Non serve nemmeno sforzarsi, ciò che loro dicono essere buono è per noi male e viceversa.
Quando i limiti dello sviluppo non dipendono dalla terra ma da scelte umane quali quella di rendere finito un bene per definizione infinito com’è la moneta, allora le ragioni sono unicamente politiche. Pertanto il bilanciamento dei valori costituzionali deve portare alla prevalenza dei principi fondanti dell’ordinamento.
Chi antepone la vita al pareggio in bilancio dovrebbe avere una casa molto specifica, quella circondariale (il carcere).
La Corte Costituzionale peraltro si è già espressa in questo senso con la sentenza n. 238/14 nella quale ha affermato la superiorità dei principi fondamentali e dei diritti inalienabili dell’uomo anche nei confronti dei Trattati UE che sono poi l’origine del pareggio in bilancio e più in generale della crisi economica.
Evidentemente questa sentenza non è sfuggita a Monti che sa bene che il successo del suo disegno criminoso che ha sposato passa necessariamente dal controllo sulla Corte Costituzionale.
Tali ragionamenti portano a concludere che la riforma dell’art. 81 Cost. voluta ed attuata dallo stesso nel 2012 rappresenta, in tutto e per tutto, un attentato alla costituzione perché ne ha tradito i valori e dunque Mario Monti e tutti coloro che consapevolmente hanno votato la riforma sono punibili ai sensi e per gli effetti dell’art. 283 c.p.
Vero che dopo l’assurda riforma del codice penale del 2006 l’attentato alla Costituzione o il mutamento della forma di governo (che è poi quanto accaduto surrettiziamente con l’italicum) sono puniti solo se compiuti con la violenza, ma è concetto ampiamente noto in giurisprudenza che la violenza sussiste anche quando vi è coercizione attraverso la cooptazione della volontà.
Lo strumento di coercizione con cui si è mutata la Costituzione e la forma di governo del Paese è ovviamente la crisi economica, crisi che sempre Monti ha dichiarato essere lo strumento migliore, specialmente se la crisi è grave, per obbligare i popoli a cedere la propria sovranità. Infatti l’ex presidente del consiglio (tutto rigorosamente minuscolo) ci ha ricordato che senza gravi crisi i popoli rifiuterebbero le cessioni per il proprio senso di appartenenza nazionale.
C’è bisogno di aggiungere altro?
Il disegno criminale di smantellamento della democrazia costituzionale è in corso (e quasi compiuto) ed il fatto che la finanza voglia un governo fantoccio per il paese ormai è ammesso da una serie di dichiarazioni sempre più folli.
La prima certamente è stata quella di Alfredo D’Attorre, deputato PD, il quale in un’intervista trasmessa su LA7 ha candidamente affermato (davanti ad un muto e rassegnato Mario Adinolfi) che Renzi sta facendo interessi stranieri e che la disoccupazione è mantenuta alta volontariamente.
Neppure il tempo di rabbrividire per l’ammissione, ampiamente scontata per me e per gli amici di scenari economici, ed ecco arrivare tre dichiarazioni semplicemente incredibili, da parte di Renzi, Moody e del sempre presente (purtroppo) Mario Monti, una calamità perenne per il Paese.
Renzi, prima dell’approvazione dell’italicum, è saltato fuori con uno strepitoso “potete mandarci a casa ma non potete fermarci”.
Nessuno ovviamente ha pensato di chiedere all’abusivo inquilino di Palazzo Chigi chi è il soggetto che non può essere fermato ma tanto la risposta l’aveva già data D’Attorre: Renzi ovviamente si riferiva agli interessi della finanza.
Il “noi” che ha usato assomiglia tremendamente al “noi” che usano i tifosi sportivi quando la propria squadra vince.
Entrambi non contano nulla ed a vincere sono altri. Ma Renzi è fiero del suo ruolo che lo pone ad essere il capo degli schiavi.
L’agenzia di rating Moody, altrettanto incredibilmente, ha ribadito che l’Italia non è più sovrana ed indipendente (come se ci fosse bisogno di rimarcarlo ancora), affermando con la consueta spudoratezza che la sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni è una “sconfitta”. Ancora una volta è lecito domandarsi per chi. La risposta è sempre la stessa, è una sconfitta per la finanza che Moody rappresenta.
Il pagamento di pensioni più alte è un atto infatti che va nella direzione opposta alla distruzione dei consumi interni del paese e della deflazione che invece gli avversari della democrazia vogliono per cancellare gli ultimi barlumi di libertà.
Moody ha poi parlato dell’italicum e chiaramente il giudizio è stato fortemente positivo a patto che venga abolito anche il Senato elettivo e che dunque effettivamente un solo partito possa porsi al controllo della Nazione attraverso l’occupazione di tutti gli organismi istituzionali, occupazione assai semplice quando si ha la maggioranza assoluta nell’unica Camera.
Maggioranza che uno zoccolo d’uro di un centinaio di parlamentari eletti in base alle nomine dirette del partito rendono ancora più salda e sostanzialmente soggetta ad un vincolo di mandato indirettamente costituito.
Moody definisce la dittatura che consegue a tale nuova forma di governo con il termine “stabilità”.
L’agenzia dunque avrebbe certamente dato un ottimo voto anche al fascimo ed alla Legge Acerbo che consolidò la dittatura nel 1923. Anzi forse avrebbe espresso qualche dubbio, la legge Acerbo era troppo democratica, aveva le preferenze!
Con l’italicum la Repubblica Parlamentare cessa di esistere ed il potere legislativo e giudiziario vengono per sempre subordinati a quello esecutivo.
L’Italia diventa un protettorato in cui un governo fedele alla finanza non avrà più alcun problema ad eseguire gli ordini di volta in volta assegnati, senza fastidiosi ritardi.
Il bersaglio grosso è ovviamente giungere all’abrogazione della Costituzione che con i suoi principi fondamentali immutabili (quella italiana è una Costituzione rigida) rimane una spina nel fianco per il completo smantellamento dell’Italia come nazione sovrana ed indipendente.
Ma non è finita, poteva stare zitto in tutto questo Mario Monti? Certamente no.
Monti si è lanciato in una critica alla Corte Costituzionale per l’ineccepibile sentenza sulle pensioni. d’altronde è una sentenza che lo ha punto sul vivo poiché è stato uno dei provvedimenti di distruzione della domanda interna più efficaci del suo governo illegittimo.
Tale critica rappresenta, ancora una volta, il preludio ideologico a ciò che con l’italicum sarà possibile fare, ovvero nominare una Corte politica che non fermerà la distruzione della carta costituzionale.
Infatti con Parlamento e Presidente della Repubblica in mano alla maggioranza si potrà procedere a superare definitivamente la Costituzione senza timori di essere fermati dalla Corte preposta a difenderla.
Già si dice che la sentenza sulle pensioni sia stata emessa con un solo voto di scarto a favore dell’incostituzionalità. Ciò significa che sei giudici della Corte sono già pesantemente influenzati dalle volontà politiche perché davvero l’incostituzionalità era manifesta a chiunque. Sei giuristi di quel livello, se in buona fede o comunque liberi da condizionamenti, non potevano non accorgersene.
Ma torniamo alla dichiarazione. Precisamente Monti ha affermato: “La Corte Costituzionale guarda uno spicchio significativo di un intero problema, e cioè il blocco delle indicizzazioni delle pensioni, e forse non da altrettanto rilievo ad altri valori di pari rilievo costituzionale come per esempio il vincolo del pareggio in bilancio” e poi ha demenzialmente rincarato “Ma lassù, più in alto, c’è il mondo augusto e distaccato delle Corti Costituzionali”.
Il plurale, come per Renzi, non è un caso. Monti, quale uomo di spicco della finanza, odia tutte le Corti Costituzionali che ostacolano le cessioni di sovranità degli Stati, dunque non solo la Corte italiana.
Monti come di consueto è peraltro in malafede, altrimenti sarebbe un ignorante di proporzioni cosmiche e sappiamo molto bene che così non è.
Mentre Renzi certamente non è una cima e forse poco comprende di alcune dinamiche, Mario Monti è certamente un uomo dei poteri forti in grado sufficientemente elevato per avere chiaro il disegno complessivo.
Infatti è impossibile ritenere che Monti non sappia che i principi fondamentali della Costituzione ed i diritti inalienabili sono valori di rango costituzionale ben superiori all’insignificante pareggio in bilancio che addirittura non è compatibile con essi.
In una Repubblica fondata sul lavoro il pareggio in bilancio, peraltro introdotto proprio da Monti con un colpo di mano palesemente eversivo dell’ordine costituzionale, contrasta con la necessità di eseguire politiche di piena occupazione che inderogabilmente richiedono un deficit di bilancio nel lungo periodo.
L’art. 47 Cost. coerentemente con i principi fondamentali impone alla Repubblica di tutelare ed incoraggiare il risparmio in tutte le sue forme. Il risparmio, ovviamente, è matematicamente possibile solo con politiche di deficit. Se lo Stato tassa quanto spende, o addirittura di più (conseguendo l’avanzo primario che ci contraddistingue da vent’anni) è evidente a qualsiasi persona dotata di intelletto che il risparmio diviene matematicamente impossibile perché ogni anno la moneta che circolerà nell’economia reale diverrà sempre meno.
Il pareggio in bilancio rende dunque impossibile la crescita nel lungo periodo ed impedisce alla Repubblica di adempiere ai propri obblighi fondanti. Non potendo contrastarsi l’effetto del vincolo con il potenziamento delle esportazioni e ciò è sempre vero soprattutto nel lungo periodo.
Al contrario di quanto dice Monti la Corte, in futuro, non dovrà dunque preoccuparsi di analizzare questo vincolo per farlo prevalere sui principi fondamentali, ma anzi dovrà fare l’esatto opposto.
Attraverso una rimissione ad hoc, che spero possa arrivare già a luglio da parte del Tribunale di Genova nella causa da me intrapresa contro la Presidenza del Consiglio per le illegittime cessioni di sovranità compiute, chiarire il ruolo giuridico del deficit e della moneta mettendo fine, e questa volta per sempre, al crimine del pareggio in bilancio.
Esiste un solo limite quantitativo alla crescita economica ed è quello naturale, ovvero la presenza materiale sul pianeta di risorse sufficienti. Questo limite ovviamente non sarebbe superabile neppure per la tutela del lavoro, in quanto sarebbe materialmente impossibile.
Peraltro non si vede come non dovrebbe essere possibile evolvere con politiche ecologicamente sostenibili in campo economico. Farlo è possibile, basterebbe togliere il controllo a chi ha interessi opposti per ragioni di mero profitto. Guarda caso un’azione che la nostra Costituzione consentirebbe!
La linea da prendere dunque è semplicissima: basta fare il contrario di quello che chiede la Troika. Non serve nemmeno sforzarsi, ciò che loro dicono essere buono è per noi male e viceversa.
Quando i limiti dello sviluppo non dipendono dalla terra ma da scelte umane quali quella di rendere finito un bene per definizione infinito com’è la moneta, allora le ragioni sono unicamente politiche. Pertanto il bilanciamento dei valori costituzionali deve portare alla prevalenza dei principi fondanti dell’ordinamento.
Chi antepone la vita al pareggio in bilancio dovrebbe avere una casa molto specifica, quella circondariale (il carcere).
La Corte Costituzionale peraltro si è già espressa in questo senso con la sentenza n. 238/14 nella quale ha affermato la superiorità dei principi fondamentali e dei diritti inalienabili dell’uomo anche nei confronti dei Trattati UE che sono poi l’origine del pareggio in bilancio e più in generale della crisi economica.
Evidentemente questa sentenza non è sfuggita a Monti che sa bene che il successo del suo disegno criminoso che ha sposato passa necessariamente dal controllo sulla Corte Costituzionale.
Tali ragionamenti portano a concludere che la riforma dell’art. 81 Cost. voluta ed attuata dallo stesso nel 2012 rappresenta, in tutto e per tutto, un attentato alla costituzione perché ne ha tradito i valori e dunque Mario Monti e tutti coloro che consapevolmente hanno votato la riforma sono punibili ai sensi e per gli effetti dell’art. 283 c.p.
Vero che dopo l’assurda riforma del codice penale del 2006 l’attentato alla Costituzione o il mutamento della forma di governo (che è poi quanto accaduto surrettiziamente con l’italicum) sono puniti solo se compiuti con la violenza, ma è concetto ampiamente noto in giurisprudenza che la violenza sussiste anche quando vi è coercizione attraverso la cooptazione della volontà.
Lo strumento di coercizione con cui si è mutata la Costituzione e la forma di governo del Paese è ovviamente la crisi economica, crisi che sempre Monti ha dichiarato essere lo strumento migliore, specialmente se la crisi è grave, per obbligare i popoli a cedere la propria sovranità. Infatti l’ex presidente del consiglio (tutto rigorosamente minuscolo) ci ha ricordato che senza gravi crisi i popoli rifiuterebbero le cessioni per il proprio senso di appartenenza nazionale.
C’è bisogno di aggiungere altro?
Il disegno criminale di smantellamento della democrazia costituzionale è in corso (e quasi compiuto) ed il fatto che la finanza voglia un governo fantoccio per il paese ormai è ammesso da una serie di dichiarazioni sempre più folli.
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