Vi sono individui che si situano a cavallo di un’epoca, riassumendone
i tratti. Essi non sono la causa o i creatori delle temperie del dato
frammento storico, ma ne rappresentano spiritualmente il carattere. Gli
anni 80 di Reagan e Craxi in Italia, il Blairismo, il Neue Mitte di
Gerhard Schröder, il berlusconismo… Essi promuovono e incarnano una
certa “forma del mondo” e si adoperano, nei casi più carismatici, a
sostituirla con quella precedente inaugurando un nuovo tempo. Matteo
Renzi si situa al culmine della parabola liberista-libertaria originata
nel ’68 e sancita storicamente dal crollo del Muro nell’89. Almeno per
quanto riguarda la storia italiana, Renzi esprime pienamente i mutamenti
di una borghesia e di un capitalismo che ha chiuso definitivamente con
la forma moderna dei rapporti di forza. Se il capitalismo italiano si
basava su piccole e medie imprese, sulla dimensione familistica,
relazionale e nazionale, ora il sistema economico (tradotto: la
competizione con macro-attori in termini di produttività sul piano
internazionale) impone uno scenario trans-nazionale. Ciò che ci
interessa mettere in luce, sono alcuni aspetti socio-culturali che
questo nuovo scenario comporta e che Renzi ci pare rappresentare. Il
renzismo esige una nuova classe media, non più identificata con il
proprio territorio e con la propria comunità, come poteva essere la
piccola-borghesia elogiata dal Longanesi di Ci salveranno le vecchie
zie?.
Renzi punta a rappresentare quel ceto europeo-transnazionale che ha sostituito alla casa, come Heimat, la liquidità del viaggio di lavoro, espressione di una costitutiva a-topia. Il nuovo italianoeuropeo dovrà essere un punto interscambiale: occhiale da designer, camicia bianca, corsi di leadership e life coaching. Ciò che si mira a colpire maggiormente è lo “spazio pubblico”, cioè la partecipazione alla dimensione politica e non individualistica dell’esistenza. Tesi: la condizione minima perché vi sia démos è che vi sia radicamento; altrimenti vi è solo molteplicità, sommatoria. La contrapposizione è tra popolo (organismo) e massa (molteplicità indistinta). L’identità del singolo non pre-esiste alla comunità, ma si costruisce nel suo rapporto all’interno di essa; la sua esistenza è già da sempre ek-stasis, proiezione verso l’Altro, trascendimento del proprio (ego)centro. In termini pratici, l’individuo trae dal proprio contesto di appartenenza il proprio ruolo sociale e le norme di comportamento. Anche là dove egli si dovesse distanziare dal gruppo-comunità, egli ne sarebbe comunque ancora in rapporto – d’altronde, la comunità non può mai essere immutabile e atemporale, ma è sempre storica, altrimenti verrebbe ipostatizzata tramutandosi in regime-gabbia. Con un linguaggio hegeliano, potremmo dire che l’”io” è un momento del “noi”.
Ora non si vuole qui operare una sorta di Reductio ad Hitlerum contro Renzi. Il punto politico è la consapevolezza di quest’ultimo dei cambiamenti del tempo. Vale a dire l’esigenza di portare avanti un riassetto delle istituzioni e della rappresentanza eliminando corpi intermedi e legami sociali. Il paradosso di questo tempo – la sfida che Renzi cerca di raccogliere – è quello di rimanere all’interno di una formale cornice democratica, ma svuotata di senso: una democrazia senza spirito democratico. Omologazione senza totalitarismo. E, come in ogni paradigma economico di successo, il luogo in cui operare precipuamente è l’antropologia. Da qui il nuovo ceto medio di cui sopra. Un nuovo italiano cosmopolita (quindi a-politico, disinteressato al proprio contesto) che mastica l’inglese, professionalizzato nella sua specifica mansione tecnica, incapace di visione sistemica e di un pensiero critico rispetto ai processi politici in cui è immerso. Un italiano imbevuto di una retorica tutta incentrata sul futuro – il passato è un limite in quanto luogo delle responsabilità e delle continuità storiche – e condannato ad una ricerca incessante del nuovo, il quale si rivela, in ultima istanza, ripetizione del Medesimo (non è un caso che l’azione politica di Renzi riproponga alla fin fine modelli di una stagione politica precedente come il laburismo liberista di Blair, oppure a tentativi di riforma cercati nell’era berlusconiana).
Il legame sociale deve essere distrutto semplicemente perché funziona, in termini psicoanalitici, come memento del “limite” al godimento e alla volontà soggettiva, e quindi come ostacolo alle nuove forme biopolitiche del capitalismo. Se Hegel aveva posto il buon funzionamento di una comunità politica nell’incontro tra libertà soggettiva (che potremmo ritradurre come quello spazio individuale che la modernità ha meritoriamente fatto emergere) con la libertà oggettiva (i doveri derivanti dal contesto comunitario dei costumi e delle prassi condivise), il nuovo spirito del tempo assolutizza il primo lato e sostituisce il secondo con il modello della libera circolazione di uomo-merce. La massa, in un contesto a-democratico come quello descritto, non può che decadere al rango di spettatore votante. Nel momento in cui viene meno il rapporto di solidarietà tra prossimi, si instaura quello che Alain De Benoist ha definito come «il fantasma di auto-generazione», cioè l’idea che ognuno può bastare a se stesso e creare la sua vita dal niente. E quando ciò avviene, ne consegue paradossalmente la distruzione delle differenze, ridotte ad un’unica misura quantitativa; un modello di vita politica che si traduce nell’indifferenza reciproca, sintetizzato dall’espressione di Pietro Barcellona «Essere figli di se stessi, disporre di tutto».
Le critiche riguardanti quanto Renzi sia liberista o meno rimangono sulla superficie del discorso politico. Il problema rimane situato in quell’eliminazione dei corpi intermedi prima accennata che ricalca lo schema uno a uno dello Stato moderno, in cui vi è una relazione diretta tra individui indifferenziati e potere centrale. Bisogna capire allora che lo stato assistenziale non è l’opposto dello stato moderno liberale, ma ne è una correzione originata dalla necessità di sopperire in qualche modo all’antropologia individualista e all’ideologia del successo. L’alternativa socialdemocratica è destinata a rimanere fallimentare finché ricalca un certo modello politico di democrazia in cui le forme di vita sono le stesse di quello liberale, entrando poi in quel loop di crisi dei costi del pubblico. In altre parole, nel momento in cui la solidarietà naturale viene meno, lo Stato deve farsi interamente carico dell’assistenza sociale in origine operata dalle strutture comunitarie. Laddove il legame sociale è debole, lo Stato sarà centralizzato e forte.
Nell’Italia di Renzi, su ogni livello si segue una logica verticistica e non più organica. Pensiamo soltanto all’Italicum e al fastidio per la mediazione del parlamento; o alla Buona Scuola, dove tramite la figura del dirigente-caporale e con l’introduzione dei bonus dei privati verrà distrutto il concetto di scuola pubblica come corpo partecipato, come organismo. (Perché è ovvio che un privato non andrà a mettere soldoni – che significa poi sponsorizzarsi, non è certo pia carità – nella scuola disagiata, ma finanzierà quella già di fascia alta)
Questa nuova Italia, infine, non poteva che essere sancita da una rottura simbolica di rilievo. Si pensi al caso dell’Inno per l’inaugurazione dell’Expo. Quel “siam pronti alla vita” non è solo l’ipertrofia di un Presidente del Consiglio che non conosce rispetto per la tradizione storica del Paese, ma, ancor di più, è la rimodellazione di un orizzonte di senso. Tutto viene fatto giocare secondo analogie infantili vita-bene, morte-male, eludendo il senso della morte e del sacrificio come negazione del proprio particolarismo. Quell’esperienza della morte – non necessariamente come reale annullamento – che permette l’universalizzazione del proprio Sé e, quindi, l’accesso ad una dimensione pubblica dell’esistenza, non rinchiusa esclusivamente nella propria gabbia privata. In alcuni modelli politici ellenico-repubblicani la figura dell’anziano (il senatore) era considerato il più adatto alla vita politica, proprio in virtù di quella vicinanza alla morte che lo distaccava dall’interesse egoistico. La Nuova Italia, adeguandosi al corso storico, non ha più bisogno né di proletari né di borghesi né di “vecchie zie”, ma soltanto di operatori internazionali made in Italy.
Renzi punta a rappresentare quel ceto europeo-transnazionale che ha sostituito alla casa, come Heimat, la liquidità del viaggio di lavoro, espressione di una costitutiva a-topia. Il nuovo italianoeuropeo dovrà essere un punto interscambiale: occhiale da designer, camicia bianca, corsi di leadership e life coaching. Ciò che si mira a colpire maggiormente è lo “spazio pubblico”, cioè la partecipazione alla dimensione politica e non individualistica dell’esistenza. Tesi: la condizione minima perché vi sia démos è che vi sia radicamento; altrimenti vi è solo molteplicità, sommatoria. La contrapposizione è tra popolo (organismo) e massa (molteplicità indistinta). L’identità del singolo non pre-esiste alla comunità, ma si costruisce nel suo rapporto all’interno di essa; la sua esistenza è già da sempre ek-stasis, proiezione verso l’Altro, trascendimento del proprio (ego)centro. In termini pratici, l’individuo trae dal proprio contesto di appartenenza il proprio ruolo sociale e le norme di comportamento. Anche là dove egli si dovesse distanziare dal gruppo-comunità, egli ne sarebbe comunque ancora in rapporto – d’altronde, la comunità non può mai essere immutabile e atemporale, ma è sempre storica, altrimenti verrebbe ipostatizzata tramutandosi in regime-gabbia. Con un linguaggio hegeliano, potremmo dire che l’”io” è un momento del “noi”.
Ora non si vuole qui operare una sorta di Reductio ad Hitlerum contro Renzi. Il punto politico è la consapevolezza di quest’ultimo dei cambiamenti del tempo. Vale a dire l’esigenza di portare avanti un riassetto delle istituzioni e della rappresentanza eliminando corpi intermedi e legami sociali. Il paradosso di questo tempo – la sfida che Renzi cerca di raccogliere – è quello di rimanere all’interno di una formale cornice democratica, ma svuotata di senso: una democrazia senza spirito democratico. Omologazione senza totalitarismo. E, come in ogni paradigma economico di successo, il luogo in cui operare precipuamente è l’antropologia. Da qui il nuovo ceto medio di cui sopra. Un nuovo italiano cosmopolita (quindi a-politico, disinteressato al proprio contesto) che mastica l’inglese, professionalizzato nella sua specifica mansione tecnica, incapace di visione sistemica e di un pensiero critico rispetto ai processi politici in cui è immerso. Un italiano imbevuto di una retorica tutta incentrata sul futuro – il passato è un limite in quanto luogo delle responsabilità e delle continuità storiche – e condannato ad una ricerca incessante del nuovo, il quale si rivela, in ultima istanza, ripetizione del Medesimo (non è un caso che l’azione politica di Renzi riproponga alla fin fine modelli di una stagione politica precedente come il laburismo liberista di Blair, oppure a tentativi di riforma cercati nell’era berlusconiana).
Il legame sociale deve essere distrutto semplicemente perché funziona, in termini psicoanalitici, come memento del “limite” al godimento e alla volontà soggettiva, e quindi come ostacolo alle nuove forme biopolitiche del capitalismo. Se Hegel aveva posto il buon funzionamento di una comunità politica nell’incontro tra libertà soggettiva (che potremmo ritradurre come quello spazio individuale che la modernità ha meritoriamente fatto emergere) con la libertà oggettiva (i doveri derivanti dal contesto comunitario dei costumi e delle prassi condivise), il nuovo spirito del tempo assolutizza il primo lato e sostituisce il secondo con il modello della libera circolazione di uomo-merce. La massa, in un contesto a-democratico come quello descritto, non può che decadere al rango di spettatore votante. Nel momento in cui viene meno il rapporto di solidarietà tra prossimi, si instaura quello che Alain De Benoist ha definito come «il fantasma di auto-generazione», cioè l’idea che ognuno può bastare a se stesso e creare la sua vita dal niente. E quando ciò avviene, ne consegue paradossalmente la distruzione delle differenze, ridotte ad un’unica misura quantitativa; un modello di vita politica che si traduce nell’indifferenza reciproca, sintetizzato dall’espressione di Pietro Barcellona «Essere figli di se stessi, disporre di tutto».
Le critiche riguardanti quanto Renzi sia liberista o meno rimangono sulla superficie del discorso politico. Il problema rimane situato in quell’eliminazione dei corpi intermedi prima accennata che ricalca lo schema uno a uno dello Stato moderno, in cui vi è una relazione diretta tra individui indifferenziati e potere centrale. Bisogna capire allora che lo stato assistenziale non è l’opposto dello stato moderno liberale, ma ne è una correzione originata dalla necessità di sopperire in qualche modo all’antropologia individualista e all’ideologia del successo. L’alternativa socialdemocratica è destinata a rimanere fallimentare finché ricalca un certo modello politico di democrazia in cui le forme di vita sono le stesse di quello liberale, entrando poi in quel loop di crisi dei costi del pubblico. In altre parole, nel momento in cui la solidarietà naturale viene meno, lo Stato deve farsi interamente carico dell’assistenza sociale in origine operata dalle strutture comunitarie. Laddove il legame sociale è debole, lo Stato sarà centralizzato e forte.
Nell’Italia di Renzi, su ogni livello si segue una logica verticistica e non più organica. Pensiamo soltanto all’Italicum e al fastidio per la mediazione del parlamento; o alla Buona Scuola, dove tramite la figura del dirigente-caporale e con l’introduzione dei bonus dei privati verrà distrutto il concetto di scuola pubblica come corpo partecipato, come organismo. (Perché è ovvio che un privato non andrà a mettere soldoni – che significa poi sponsorizzarsi, non è certo pia carità – nella scuola disagiata, ma finanzierà quella già di fascia alta)
Questa nuova Italia, infine, non poteva che essere sancita da una rottura simbolica di rilievo. Si pensi al caso dell’Inno per l’inaugurazione dell’Expo. Quel “siam pronti alla vita” non è solo l’ipertrofia di un Presidente del Consiglio che non conosce rispetto per la tradizione storica del Paese, ma, ancor di più, è la rimodellazione di un orizzonte di senso. Tutto viene fatto giocare secondo analogie infantili vita-bene, morte-male, eludendo il senso della morte e del sacrificio come negazione del proprio particolarismo. Quell’esperienza della morte – non necessariamente come reale annullamento – che permette l’universalizzazione del proprio Sé e, quindi, l’accesso ad una dimensione pubblica dell’esistenza, non rinchiusa esclusivamente nella propria gabbia privata. In alcuni modelli politici ellenico-repubblicani la figura dell’anziano (il senatore) era considerato il più adatto alla vita politica, proprio in virtù di quella vicinanza alla morte che lo distaccava dall’interesse egoistico. La Nuova Italia, adeguandosi al corso storico, non ha più bisogno né di proletari né di borghesi né di “vecchie zie”, ma soltanto di operatori internazionali made in Italy.
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