Voglio augurare a tutti un 2013 un po più sereno di quanto sia stato il 2012....anno orribile su molti punti di vista...speriamo che ci sia la tanto attesa svolta....!
Blog che si occupa di commentare fatti e avvenimenti dell'attualità politica e della società
lunedì 31 dicembre 2012
giovedì 20 dicembre 2012
UN NATALE AMARO
Con questo post colgo l'occasione per mandare a tutti i più calorosi e sinceri auguri di buon natale e felice anno nuovo, anche se purtroppo per tanti famiglie saranno festività all'insegna del risparmio e dei pochi soldi nel portafoglio. L'IMU e altre tasse e balzelli hanno dilapidato le tredicesime (per quei fortunati che se la sono visti elargire)..consoliamoci con la frase che si dice sempre... che il Natale non deve essere consumistico...ecco quest'anno anche forzatamente non sarà un natale consumistico ma dell'animae dello spirito...almeno quello si spera non possono portarcelo via :)
Arrivederci nel 2013....sempre che non abbiano ragione i Maya :)
Arrivederci nel 2013....sempre che non abbiano ragione i Maya :)
martedì 11 dicembre 2012
BERLUSCONI SANTO E MARTIRE
La candidatura di Berlusconi alle prossime elezioni
di febbraio, probabile mese in cui si tornerà alle urne, è scontata. I
suoi avvocati consigliano da tempo al cavaliere questa ‘discesa in
campo’, metafora di moda adatta all’ex premier; potrà così usare lo
schermo della politica per rinviare udienze e processi. Al suo fianco i
fedelissimi di sempre come Marcello Dell’Utri, che proprio qualche
giorno fa ha rilasciato un’intervista in cui promuove la persona di
Berlusconi a santo, attuando un processo di beatificazione dell’amico
politico: «Berlusconi ha fatto più miracoli di padre Pio». Così si
esprime l’ex senatore condannato per le sue relazioni con gli ambienti
mafiosi. Berlusconi diviene agli occhi di Dell’Utri un dispensatore di
miracoli e benefici di cui molti si sono approfittati sfruttando la sua
buona fede e coscienza. Il discorso si sposta sul vecchio corollario
della demagogia berlusconiana, quello delle ‘toghe rosse’ che tramano ai
danni del nuovo santo imprenditore e benefattore di Arcore.
Riassumendo, la tesi di Dell’Utri recita così: Berlusconi agisce per il
bene comune ma non è capito e viene ingiustamente attaccato dalla
magistratura che lo vuole condannare.
Il ragionamento porta alla memoria il discorso del I e del II libro della Repubblica
di Platone, ossia i passi in cui il sofista Trasimaco e i fratelli di
Platone coinvolgono Socrate sul concetto di giustizia e
dell’ingiustizia. Il discorso è lungo e complesso e si alterna in una
dialettica di tesi e antitesi; ne riassumo una parte che ben si adatta
alla visione di Dell’Utri. È un passo in cui si ragiona sulla giustizia,
si passa a confronto due modi di vita, la vita dell’uomo giusto e
quella dell’uomo ingiusto.
L’ingiustizia è vista dagli uomini come qualcosa di negativo, questo è assodato: per cui l’uomo idealmente ingiusto sarà colui che saprà realizzare perfettamente la sua ingiustizia, e in questo non sarà mai un dilettante né si fermerà a metà strada. Allo stesso tempo, poiché l’ingiustizia è vista come negatività, dovrà fare di tutto per apparire giusto. Per cui la trama dell’ingiustizia nell’uomo consisterà nell’essere pienamente ingiusto ma nel sembrare, all’opinione comune, perfettamente giusto. Questa è la forma pura o ideale di ingiustizia.
La forma di giustizia pura, al contrario, si realizza quando l’uomo giusto, continuando a comportarsi in modo corretto non commettendo alcuna ingiustizia, apparirà invece continuamente ingiusto. L’uomo perfettamente ingiusto riuscirà in tutto, otterrà successo e potere, mentre l’altro non avrà né pace né successo: al contrario, finirà per essere condotto in tribunale. Questa forma di giustizia è incarnata per Platone dal suo maestro Socrate, l’uomo profondamente giusto ma ingiustamente condannato da una restaurata democrazia ateniese. Su questa forma di ingiustizia il filosofo costruirà uno stato ideale, Repubblica, al governo del quale metterà i migliori cittadini.
L’ingiustizia è vista dagli uomini come qualcosa di negativo, questo è assodato: per cui l’uomo idealmente ingiusto sarà colui che saprà realizzare perfettamente la sua ingiustizia, e in questo non sarà mai un dilettante né si fermerà a metà strada. Allo stesso tempo, poiché l’ingiustizia è vista come negatività, dovrà fare di tutto per apparire giusto. Per cui la trama dell’ingiustizia nell’uomo consisterà nell’essere pienamente ingiusto ma nel sembrare, all’opinione comune, perfettamente giusto. Questa è la forma pura o ideale di ingiustizia.
La forma di giustizia pura, al contrario, si realizza quando l’uomo giusto, continuando a comportarsi in modo corretto non commettendo alcuna ingiustizia, apparirà invece continuamente ingiusto. L’uomo perfettamente ingiusto riuscirà in tutto, otterrà successo e potere, mentre l’altro non avrà né pace né successo: al contrario, finirà per essere condotto in tribunale. Questa forma di giustizia è incarnata per Platone dal suo maestro Socrate, l’uomo profondamente giusto ma ingiustamente condannato da una restaurata democrazia ateniese. Su questa forma di ingiustizia il filosofo costruirà uno stato ideale, Repubblica, al governo del quale metterà i migliori cittadini.
Quale dei due stili di vita, quello del perfettamente giusto e del
perfettamente ingiusto, si adatta al discorso di dell’Utri su Berlusconi
(e di Berlusconi su se stesso)? Faticoso immaginare il cavaliere nei
panni di Socrate, fautore della cura dell’anima, del vero e del dialogo
maieutico, per cui non resta che una chiave di lettura, quella dell’uomo
perfettamente ingiusto; pur avendo semplificato molto, il fondamento di
un discorso fatto duemilaquattrocento anni fa è ancora incredibilmente
attuale.
sabato 1 dicembre 2012
SALVATE IL SOLDATO SALLUSTI
Premetto l'odio verso Sallusti e le sue idee...ma penso che il carcere per un giornalista e per un reato di opinione..sia spropositato e antidemocratico...nel 2012 non deve accadere nulla di tutto ciò...i benpensanti di sinistra...ovviamente..non essendo un loro allineato..ironizzano...lo sfottono...non gridano alla libertà di stampa...va bene cosi....e invece no...non va bene...è una anomalia grande come una casa..ripeto...salvate il soldato sallusti...!
lunedì 19 novembre 2012
L'INGIUSTO STATO SOCIALE DEI TECNICI
Una riforma, che possa essere definita tale, di uno qualsiasi dei presidi sociali fondamentali dello stato, ha il compito di rimuovere le distorsioni attuali e garantire la stabilità del contesto socio-economico a lungo termine.
Questa definizione, evidentemente troppo complessa, sfuggiva alla comprensione della Gelmini in tema di scuola almeno quanto sfugge oggi a Michel Martone in tema di pensioni, dato che ieri si è prodotto nell’ennesimo spot televisivo volto a screditare ulteriormente (se ce ne fosse bisogno), sia il valore dei ministri e sottosegretari “tecnici”, sia quello del mondo accademico in generale.
Il tema è l’equità della riforma Fornero delle pensioni. Secondo Michel Martone è equa perché ristabilisce un corretto legame tra le generazioni che posso facilmente riassumere nella frase “ognuno per se e Dio per tutti”. Infatti bisogna essere fortemente credenti nell’esistenza di un paradiso fantastico per credere che i provvedimenti in tema di pensioni assicurano la “stabilità sociale” nel lungo periodo.
Secondo Fornero-Martone, la distorsione era rappresentata dal fatto che il sistema retributivo assegnava ai pensionati di oggi più risorse di quelle che avranno in futuro i giovani.
Bisogna subito tranquillizzarli, il problema della pensione della “generazione X” , non si pone, in quanto in nessun caso, un lavoratore precario che ha cominciato a lavorare ad esempio nel 2002, potrà aspirare ad una pensione superiore a quella sociale. Sono calcoli semplici, Martone può farli come compito a casa.
I contributi versati dai precari, pochi e super tassati con aliquota paranormale, sono stati utilizzati per pagare le pensioni anche ai Vescovi (come ha dimostrato uno studio del Sole 24 ore), in quanto la cassa dei contributi a tempo determinato era in avanzo, essendoci oggi moltissimi precari al lavoro e quasi nessun precario pensionato.
Fra 30 anni ci sarà una massa di precari che busseranno all’Inps e casse vuote, compito 2: trovare l’equità.
Per essere equi fino in fondo, i tecnici hanno spedito a casa senza lavoro ne pensione gli ormai famosi “esodati”, l’equità si trova facilmente, mica possono soffrire solo i precari, quindi un’equità nella sofferenza. La logica è che l’età pensionabile deve aumentare, così si pagano meno pensioni, la gente prima o poi è destinata a morire. Questo permette di abbassare drasticamente il monte pensioni complessivo per oggi ed anche per domani, dato che il precario che andrà in pensione potrà aspirare ad un massimo di 500 euro mensili, pur avendo svolto nella vita lo stesso lavoro di un lavoratore a tempo indeterminato, possiamo chiamarla equità nelle mansioni?
Per completare il concetto di equità che hanno in testa i tecnici, c’è da ricordare che non si è impostato un tetto massimo ai pensionati del settore pubblico, che non si è revocata la possibilità di cumulo per 2 o più pensioni del settore pubblico e che si è ben lontani da porre un tetto “decente” agli stipendi ed alle buonuscite dei managers e dirigenti del settore pubblico.
In questo caso l’ostacolo è il “diritto acquisito”, chi ha pagato contributi enormi perché intascava stipendi enormi, pagati dai contribuenti, ha diritto a ricevere pensioni enormi. Tale ostacolo si aggira facilmente per gli “esodati” e non si può applicare ai precari ed ai disoccupati perché uno stipendio vero non lo vedranno mai.
L’equità in salsa Fornero-Martone è equità “contabile” non “economica”, aggiusta i conti per oggi, non garantisce la stabilità a lungo termine, perché eventuali rivolte sociali sono un fattore “economico” di cui si deve tenere conto.
C’è un altro problema, senza necessariamente essere prosaici, la riduzione delle erogazioni pensionistiche presenti e future garantisce, come tutte le misure recessive, una caduta dei consumi e quindi del PIL tanto più accentuata quanto colpisce gli individui a basso reddito.
Martone non lo sa e tutti i giorni dà la colpa al debito pubblico, qualcuno gli spieghi per favore che riducendo il PIL è impossibile ridurre il peso del debito, che è infatti aumentato nel periodo delle riforme recessive della coppia Fornero-Monti.
giovedì 8 novembre 2012
COME SMONTARE IL NEOLIBERISMO
1) Si comincia col libero mercato, il cui perimetro
di libertà è sempre presente, non è mai libertà assoluta e che viene
definito dal politico e non certo dall’economico. Sono stati governi a
decretare prima libero e poi non più libero lo schiavismo, il commercio
dell’oppio, il lavoro minorile. Poiché il concetto di libertà è quindi
dato dal politico, i liberisti sono ideologi di un certo tipo di libertà
relativa, quella che fa quadrare i conti degli interessi che
sostengono.
2) Le aziende condotte dal principio del “valore per gli azionisti”
non creano valore produttivo ma finanziario e spesso lo fanno tagliando
dipendenti ed investimenti e strozzando fornitori. Jack Welch, ex CEO
di GE che nel 1981 coniò il concetto di “shareholder value” pare che
recentemente abbia mutato giudizio definendola “l’idea più stupida del
mondo”.
3) I lavoratori non vengono pagati per il loro valore assoluto,
ma relativamente alle cornici di contesto delle singole economie-paese.
Pensare di mettere tutti i lavoratori in uno stesso mercato planetario è
una truffa. Un guidatore di autobus svedese ha un salario 50 volte
superiore a quello di un collega indiano quando semmai l’indiano ha ben
più capacità visto che deve muoversi tra carretti, pedoni
indisciplinati, animali e biciclette. In realtà agisce un potente
sbarramento, di nuovo politico, un protezionismo del lavoro agito
tramite barriere all’immigrazione che nessun liberale si sogna di
rimuovere. Così, “produttività” è un concetto sistemico, quindi
economico-nazionale, non certo dipendente dal singolo individuo e dalla
sua “flessibilità”.
4) La quarta tesi è ad effetto: la lavatrice ha cambiato il mondo più di internet.
Chang picchia duro su uno di quei topos con i quali si costruisce la
nostra visione del mondo. L’economia dell’immateriale è stata una falsa
promessa, un fenomeno di ben più misurata significanza rispetto a quanto
si vada ripetendo nei mantra post moderni.
5) Il presupposto dell’egoismo razionale dal quale
discende l’intera teoria economica quantificabile, individualista,
razionale è del tutto arbitrario. L’individuo asociale è un disturbato e
così la teoria economica che da questo patologico presupposto discende (autistic economy).
6) La stabilità economica che dipende dall’azzeramento dell’inflazione,
quindi dalla gestione della moneta, serve solo come protezione di chi
ha ingenti capitali da investire. Nel dopoguerra con inflazione si
cresceva più del doppio degli ultimi trent’anni senza inflazione. Una
moderata inflazione addirittura potrebbe fare bene alla crescita e
comunque è certo che zero inflazione non porta di per sé alcuna crescita
correlata.
7) Le politiche liberiste sul commercio internazionale rendono più
ricchi i paesi ricchi e non certo i paesi poveri. Riecheggiano qui le
osservazioni dell’economista tedesco Friedrich List (1789-1846). Tra
l’altro, gli Stati Uniti furono protezionisti almeno dal 1830 al 1940 e
la Gran Bretagna dal 1720 al 1850. Si può così notare come la furia libero mercatistica
emerga solo quando il paese a capitalismo egemone sull’intero
sistema-mondo, inizia la sua fase più prettamente imperiale. La libertà
allora è quella dell’agente imperiale che “deve” poter entrare nella tua
economia per eterodirigerla a sua convenienza.
8) La transnazionalità globalizzata va
ridimensionata. Vere e proprie imprese transnazionali sono pochissime,
per lo più sono imprese nazionali con prospezione internazionale. Nei
servizi poi questo radicamento nazionale si accentua data
l’impossibilità di prestare servizi a distanza. La maggior parte degli
investimenti esteri comprano aziende già esistenti (per ristrutturarle e
rivenderle ) e non ne creano di nuove e molte aziende manifatturiere
svolgono sull’estero soprattutto attività finanziaria e non produttiva.
9) Anche la favola dell’era post-industriale va
ridimensionata. Spesso l’industria contribuisce al PIL meno che in
passato perché le attività dei servizi hanno un valore più alto, anche
in ragione dell’aumento di produttività che è più marcato proprio nelle
attività industriali. Outsourcing e riclassificazioni di attività prima
conteggiate come manifattura alterano le statistiche. Diminuzione
dell’industria inoltre provoca dipendenza, sbilancia la bilancia dei
pagamenti, depotenzia le possibilità di crescita e deprime
l’occupazione. L’unica vera economia post industriale è quella delle
Seychelles.
10) Gli Stati Uniti non hanno il tenore di vita più alto del mondo.
Molto dipende da come si effettuano conteggi e comparazioni ma
empiricamente un paese con tra i più alti indici di diseguaglianza,
criminalità, ore lavorate (quindi mancanza di tempo libero), vita meno
lunga e maggiore mortalità infantile non si può dire un paese felice.
11) Non esiste alcuna ragione strutturale che condanna l’Africa al
sottosviluppo. La mancanza di possibilità al cambiamento è dovuta per lo
più dall’ingerenza occidentale che continua a
condizionare per sfruttare, le immense ricchezze del continente. Il dato
peggiorativo proviene proprio dalla dissennata applicazione coatta di
politiche di libero mercato e di programmi di aggiustamento strutturale
imposti da Fmi e WB.
12) Anche l’assunto per il quale la capacità di intervento dello stato
sulla complessità del mercato sarebbe impedita da un velo d’ignoranza è
falso. L’autore che è coreano, riporta proprio casi del suo paese che è
passato da economia primitiva ad economia di punta grazie ad un
strategia coordinata in cui c’è la visibilissima mano dello stato. Così
per Giappone, Francia ed anche se non lo dicono gli stessi Stati Uniti
per quanto attiene alle tecnologie dell’informazione, biotecnologia,
aerospazio. Altresì casi come Windows Vista o Nokia N-Gage dimostrano
possibili errori macroscopici anche da parte del mercato. Di fronte
all’errore, stato e mercato quantomeno si equivalgono.
13) È qui la volta del famigerato “trickle down”
ovvero quella irrazionale convinzione per la quale facendo i ricchi
sempre più ricchi poi la ricchezza di questi “colerebbe” sugli strati
inferiori tramite investimenti che producono poi crescita e quindi
ricchezza per tutti. Anche qui si possono leggere dati empirici del
tutto contrari comparando il trentennio post bellico redistributivo e
crescista con il trentennio neoliberale, che fa corrispondere bassi e
stentati livelli di crescita a fronte di una impennata degli indici di
diseguaglianza. Ma anche il senso comune può soccorrerci. Un milione in
più ad un miliardario diventa proprietà accumulata o investimento che
date le caratteristiche degli attuali mercati beneficerà un altro
sistema paese. Cento euro di più ad un metalmeccanico diventano consumo,
il consumo chiama produzione che chiama occupazione e il tutto fa
crescita e circolazione della ricchezza.
14) Gli esorbitanti stipendi dei top manager non
sono fenomeni spontanei del mercato. Essi sono determinati in buona
parte proprio dal potere che questi top manager hanno assunto, potere di
autodeterminare il proprio stipendio. Questo è schizzato a ordini di
centinaia di volte quello dei sottoposti e negli USA a tre, quattro
volte quello degli omologhi europei o giapponesi.
15) Nei paesi più poveri non è vero che manchi intraprendenza,
anzi ce ne è sicuramente di più di quanta ce ne sia in Occidente
proprio perché maggiore è la richiesta di arte di arrangiarsi. Altresì
la figura dell’eroe individuale che con la propria forza di volontà
riesce ad emergere, a fabbricare il proprio destino è pura letteratura.
Senza politiche di contesto, infrastrutture, legislazioni, sistemi
complessi spesso promossi da una autorità statale, non c’è alcuna
possibilità di far crescere ed affermare un’impresa.
16) Il presupposto dell’iper-razionalità delle
scelte economiche individuali, il presupposto che regge come “se”,
l’”allora” dell’intera presunta scienza economica è palesemente
inconsistente. La nostra razionalità è assai limitata, condizionata,
agita entro grandi semplificazioni di complessità e routine fideistiche
ed abitudinarie senza le quali non potremmo vivere. Viviamo immersi in
oceani di incertezza e non abbiamo alcuna possibilità di fare calcoli
neanche probabilistici del rischio effettivo.
17) Altresì non esiste alcuna correlazione provata
tra il livello medio di istruzione generale di un paese ed il suo
successo economico. Molte attività meccanizzate o informatizzate
addirittura richiedono solo mansueti esecutori. Le materie di
insegnamento servono ad altro che non ad aumentare la produttività e
l’inflazione di “alti studi” non fa che rendere maggiormente classista
l’entrata nel mondo di quei lavori a maggiori opportunità. La Svizzera è
uno dei paesi più ricchi del pianeta ed ha il tasso d’immatricolazione
universitaria più basso tra i paesi sviluppati. Da buon
istituzionalista, Chang rimarca l’importanza di condizioni di contesto
per creare benessere economico, condizioni alla portata di istituzioni
collettive, tra cui lo stato.
18) Gli interessi dell’imprenditori privata non coincidono sempre con quelli della nazione.
Gli interessi della nazione debbono essere promossi dal governo, cioè
dallo stato, anche come regolamento di contesto nell’interesse stesso
dell’imprenditoria privata.
19) L’ostracismo alla pianificazione in economia non è totalmente
giustificato anche perché anche le cosiddette economie di mercato hanno
parti abbondantemente pianificate. Certo la totale pianificazione
centralizzata, soprattutto all’evolversi ipercomplesso delle nostre
economie fallisce, ma la pianificazione dei contesti o “pianificazione indicativa”
è stata ampiamente praticata con successo dalla Francia, alla
Finlandia, Norvegia, Austria, Giappone, Corea, Taiwan, così le politiche
economiche di settore e la politica industriale in particolare. Esiste
ancora intrapresa economica statalizzata e il settore della ricerca e
sviluppo è totalmente supportato negli Stati Uniti d’America. Così le
aziende, tanto più grandi sono tanto maggiore è la loro pianificazione
pluriennale, con grande articolazione di strategie. Così per i paesi,
più grandi e diversificati sono più controllano ed agiscono in favore
della propria economia.
20) L’uguaglianza delle opportunità è nulla se non c’è uguaglianza delle possibilità (il vecchio dibattito tra “liberta da” e “libertà di”).
21) Lo stato sociale aiuta ad assumersi rischi ed
assumendosi i rischi del cambiamento la società è più dinamica ed
aperta. Le automobili più veloci hanno anche i migliori impianti
frenanti. Questo è un dato solido e concreto che si può desumere dalla
comparazione tra indici di spesa sociale e crescita del PIL a livello
delle economia più sviluppate.
22) Tra mercati finanziari ed economia reale c’è una asimmetria nei tempi.
Il capitale impaziente della speculazione ha una logica diversa dal
capitale paziente che si richiede nello sviluppo di una iniziativa
economica reale. Occorre render più difficili le acquisizioni ostili,
vietare le vendite allo scoperto, aumentare gli obblighi di margini,
introdurre restrizioni alla libera circolazione dei capitali. Occorre
cioè domare e limitare la finanza la cui totale libertà è altamente
dannosa.
23) Minore crescita, maggiore instabilità economica, maggiore
diseguaglianza, crisi ripetute e crollo del 2008. Questo il pacchetto
dei risultati dell’economia liberista. Di contro, l’intero pacchetto
della formidabile crescita orientale degli ultimi anni è stata fatta in
totale assenza di economisti. Gli economisti liberisti non solo
hanno fatto cattiva economia ma soprattutto hanno svolto un ruolo
altamente ideologico basato sulla sistematica inversione del buonsenso:
l’ineguaglianza fa bene, le tecnologie sono tutto, l’incertezza
esistenziale è propedeutica alla crescita, svendere la propria industria
fa bene, non bisogna occuparsi di politica economica perché l’economia
si autoregola, abbandoniamo lo stato ed abbandoniamoci al mercato, diamo
più soldi ai ricchi, esaltiamo l’egoismo, distruggiamo la società. Un lungo delirio istituzionalizzato!
giovedì 1 novembre 2012
FIAT E LICENZIAMENTI
La Fiat licenzia 19 operai per rappresaglia
Condannata a reintegrare i lavoratori licenziati perché iscritti alla Fiom la società di Torino si vendica. Furibonda la Cgil: «Si chiama ricatto».
Oltre ad essere l'azienda privata più sovvenz
Condannata a reintegrare i lavoratori licenziati perché iscritti alla Fiom la società di Torino si vendica. Furibonda la Cgil: «Si chiama ricatto».
Oltre ad essere l'azienda privata più sovvenz
ionata dallo Stato italiano, la Fiat dovrà essere ricordata nei libri di storia italiani anche per essere l'azienda che, a un certo punto, decide di rivedere da cima a fondo, e in tutta autonomia, i rapporti industriali degli ultimi 50 anni. Non perde occasione, infatti, per riscrivere le regole e le prassi che finora sono sempre valse nei rapporti di lavoro.
Stavolta l'occasione deve essere sembrata ghiotta all'amministratore delegato Sergio Marchionne: la Corte d'Appello ha condannato Fiat a riassumere 19 lavoratori iscritti alla Fiom che l'azienda aveva licenziato. Secondo i giudici quel licenziamento era discriminatorio. Oggi Fiat ha annunciato che si adeguerà alla decisione del giudice ma che, come conseguenza, ci sarà il licenziamento o meglio la "messa in mobilità" per altre 19 persone assunte nel 2011, quando (grazie ai soldi dello Stato) era stata creata la newco di Pomigliano che ha lanciato la Nuova Panda: "L'azienda ha da tempo sottolineato - si legge nel comunicato - che la sua attuale struttura è sovradimensionata rispetto alla domanda del mercato italiano ed europeo da mesi in forte flessione e che, di conseguenza, ha già dovuto fare ricorso alla cassa integrazione per un totale di venti giorni. Altri dieci sono programmati per fine novembre". Fiat dice di volersi impegnare a "individuare la soluzione che consenta di eseguire l'ordinanza creando il minor disagio possibile a tutti quei dipendenti che hanno condiviso il progetto e, con grande entusiasmo e spirito di collaborazione, sono stati protagonisti del lancio della Nuova Panda".
L'annuncio ha immediatamente scatenato forti reazioni. Intanto, i sindacati hanno espresso "dubbi" circa la possibilità che 19 persone possano essere messe in mobilità, perché la legge prevede infatti che per ottenere l'indennità si sia in possesso di almeno 12 mesi di anzianità aziendale di cui almeno sei di effettivo lavoro. Nella newco di Pomigliano, spiega il segretario nazionale Uilm, Giovanni Sgambati, le prime assunzioni sono state effettuate a novembre 2011.
Ma aldilà della sorte che toccherà a 19 lavorarori (scelti come? E' la domanda che ricorre) il problema sta nel principio: se un giudice dichiara illegittimo un licenziamento, a pagare non possono essere altri lavoratori. "E' proprio una vergogna, Marchionne non perde occasione per cercare di dividere i lavoratori. Adesso dichiara anche guerra alla magistratura per far pesare sui giudici la situazione che si sta creando", ha detto Maurizio Di Costanzo, uno dei 19 licenziati, che dovrebbe rientrare in possesso del suo posto di lavoro entro il 28 novembre, e che ora si trova nella non facile situazione di essere la causa del licenziamento di altri colleghi. ""Questo è un ricatto inaccettabile" - ha detto Elena Lattuada, segretario confederale della Cgil "A quale Fiat bisogna credere?- prosegue Lattuada - A quella che ieri annunciava che non intende chiudere alcuno stabilimento o a quella che con la decisione di oggi avvia una irresponsabile campagna di licenziamenti? Se è davvero quest'ultima la risposta e' assolutamente inaccettabile. Nel rivendicare il diritto inappellabile dei lavoratori di potersi scegliere liberamente il sindacato, e a non essere discriminati per questo, non abbiamo mai chiesto né mai pensato che altri lavoratori dovessero essere subire tale ricatto. E' solo e soltanto la vergognosa decisione - conclude Lattuada- di un'azienda che per coprire le lacune del suo piano non trova di meglio che mettere lavoratori contro lavoratori".
Andrea Amendola, segretario della Fiom di Napoli dice: "Ce lo aspettavamo, è chiaro che si tratta di un ricatto, per la Fiat 19 lavoratori non cambiano nulla". Quella di Marchionne, insomma, è un atto politico. Di "ricatto" parla anche il leader dell'Idv Antonio Di Pietro. Ma in campo scende anche il responsabile Economico del Pd Stefano Fassina, che parla di una chiara ritorsione: "E' gravissima la ritorsione di Fiat-Chrysler su 19 lavoratori assunti a Fabbrica Italia Pomigliano in risposta alla condanna per discriminazione sindacale. Dopo la raccolta di firme avviata nei giorni scorsi tra i lavoratori dello stabilimento campano contro la sentenza della Corte d'Appello di Roma, l'azienda continua a alimentare la guerra tra i lavoratori. E' un comportamento inaccettabile. Nonostante la situazione di sottoutilizzo degli impianti, si poteva trovare una soluzione diversa
Stavolta l'occasione deve essere sembrata ghiotta all'amministratore delegato Sergio Marchionne: la Corte d'Appello ha condannato Fiat a riassumere 19 lavoratori iscritti alla Fiom che l'azienda aveva licenziato. Secondo i giudici quel licenziamento era discriminatorio. Oggi Fiat ha annunciato che si adeguerà alla decisione del giudice ma che, come conseguenza, ci sarà il licenziamento o meglio la "messa in mobilità" per altre 19 persone assunte nel 2011, quando (grazie ai soldi dello Stato) era stata creata la newco di Pomigliano che ha lanciato la Nuova Panda: "L'azienda ha da tempo sottolineato - si legge nel comunicato - che la sua attuale struttura è sovradimensionata rispetto alla domanda del mercato italiano ed europeo da mesi in forte flessione e che, di conseguenza, ha già dovuto fare ricorso alla cassa integrazione per un totale di venti giorni. Altri dieci sono programmati per fine novembre". Fiat dice di volersi impegnare a "individuare la soluzione che consenta di eseguire l'ordinanza creando il minor disagio possibile a tutti quei dipendenti che hanno condiviso il progetto e, con grande entusiasmo e spirito di collaborazione, sono stati protagonisti del lancio della Nuova Panda".
L'annuncio ha immediatamente scatenato forti reazioni. Intanto, i sindacati hanno espresso "dubbi" circa la possibilità che 19 persone possano essere messe in mobilità, perché la legge prevede infatti che per ottenere l'indennità si sia in possesso di almeno 12 mesi di anzianità aziendale di cui almeno sei di effettivo lavoro. Nella newco di Pomigliano, spiega il segretario nazionale Uilm, Giovanni Sgambati, le prime assunzioni sono state effettuate a novembre 2011.
Ma aldilà della sorte che toccherà a 19 lavorarori (scelti come? E' la domanda che ricorre) il problema sta nel principio: se un giudice dichiara illegittimo un licenziamento, a pagare non possono essere altri lavoratori. "E' proprio una vergogna, Marchionne non perde occasione per cercare di dividere i lavoratori. Adesso dichiara anche guerra alla magistratura per far pesare sui giudici la situazione che si sta creando", ha detto Maurizio Di Costanzo, uno dei 19 licenziati, che dovrebbe rientrare in possesso del suo posto di lavoro entro il 28 novembre, e che ora si trova nella non facile situazione di essere la causa del licenziamento di altri colleghi. ""Questo è un ricatto inaccettabile" - ha detto Elena Lattuada, segretario confederale della Cgil "A quale Fiat bisogna credere?- prosegue Lattuada - A quella che ieri annunciava che non intende chiudere alcuno stabilimento o a quella che con la decisione di oggi avvia una irresponsabile campagna di licenziamenti? Se è davvero quest'ultima la risposta e' assolutamente inaccettabile. Nel rivendicare il diritto inappellabile dei lavoratori di potersi scegliere liberamente il sindacato, e a non essere discriminati per questo, non abbiamo mai chiesto né mai pensato che altri lavoratori dovessero essere subire tale ricatto. E' solo e soltanto la vergognosa decisione - conclude Lattuada- di un'azienda che per coprire le lacune del suo piano non trova di meglio che mettere lavoratori contro lavoratori".
Andrea Amendola, segretario della Fiom di Napoli dice: "Ce lo aspettavamo, è chiaro che si tratta di un ricatto, per la Fiat 19 lavoratori non cambiano nulla". Quella di Marchionne, insomma, è un atto politico. Di "ricatto" parla anche il leader dell'Idv Antonio Di Pietro. Ma in campo scende anche il responsabile Economico del Pd Stefano Fassina, che parla di una chiara ritorsione: "E' gravissima la ritorsione di Fiat-Chrysler su 19 lavoratori assunti a Fabbrica Italia Pomigliano in risposta alla condanna per discriminazione sindacale. Dopo la raccolta di firme avviata nei giorni scorsi tra i lavoratori dello stabilimento campano contro la sentenza della Corte d'Appello di Roma, l'azienda continua a alimentare la guerra tra i lavoratori. E' un comportamento inaccettabile. Nonostante la situazione di sottoutilizzo degli impianti, si poteva trovare una soluzione diversa
sabato 20 ottobre 2012
Scandalo F-35, ci costeranno 47 milioni in più ad aereo –
Il costo per l’acquisto dei cacciabombardieri F-35 (ad oggi circa 13 miliardi), fortemente voluto dal governo Monti e, prima, da Berlusconi, è destinato a lievitare pesantemente: dagli 80 milioni (annunciati a febbraio) a 127 milioni di dollari a velivolo (ricordiamo che ne abbiamo acquistati un centinaio). Le stime precedenti, infatti, sono risultate imprecise poiché riferite al velivolo “nudo” e ad una pianificazione ormai superata. Ed è proprio a causa dell’incertezza su queste previsioni che alcuni governi, tra cui Canada e Australia, si erano ritirati dal programma Joint Strike Fighter. L’Italia, invece, vi è rimasta dentro. E ora ne paga il prezzo.
In un momento di grave crisi economica era necessario spendere questi soldi per aerei militari?
In un momento di grave crisi economica era necessario spendere questi soldi per aerei militari?
martedì 9 ottobre 2012
La morale spiegata da Briatore
Onestamente non ho ancora capito se Flavio Briatore sia un
imprenditore di successo o una mezza tacca. Devo essere tardo io, ma non
l’ho capito. E i giornali, i miei, cari, amati, giornali, non aiutano.
Hanno mai raccontato bene la sua galassia, i suoi interessi, il modo con
cui guadagna i suoi sudatissimi denari? No. Si gira sempre intorno ai
locali di lusso, ora chiude qui, domani apre là, si parla tanto dei suoi
barconi e dei suoi resort, ma una cavolo di indagine chiara non l’ho
ancora letta (L’unica cosa abbastanza definita è che in F.1 dev’essere
stato fico). Mentre so diverse cose su Leonardo Del Vecchio, il patron
di Luxottica, illustrato in maniera più equilibrata e minuziosa, anche
nelle critiche (cito Del Vecchio come esempio, ma ce ne sarebbero anche
altri come lui).
Insomma, se dovessi chiedere a uno dei due il punto sul Paese, tra rilievi sociali e aspettative di ripresa, mi
rivolgerei noiosamente a Del Vecchio. Farei la mia bella intervista, le
domande del caso, butterei in pagina e poi non leggerebbe nessuno. Non
leggerebbe nessuno perché avrei posto delle domande a una persona
competente sulle questioni, titolata a rispondere su quegli argomenti. E
di conseguenza fuori appeal, passato, antico. Che palle. (Un mio sogno
che non si avvererà mai è un’intervista a Enrico Bondi, il risanatore
Parmalat. Anche in quel caso due palle).
Vedo, invece, che in questo periodo amaro furoreggia il nostro Flavio. Gli
chiedono di tutto, gli affidano di tutto. Sino a un reality dalla
comica cornice, prodotto dal figlio di Paolo Mieli (pensa tu i figli),
dove i punti più esilaranti coincidono plasticamente con due espressioni
del Boss (come lo chiamano i poveretti che si disputano un posto nella
sua azienda): «Sei una capra!» , modesto ma significativo omaggio a
Vittorio Sgarbi, e «sei fuori!», pronunciato con enfasi cuneese mentre
il braccio si tende alla Concetto Lo Bello.
A me, uno così ha sempre fatto sorridere. Sinceramente. E
capisco anche il meccanismo giornalistico che sostiene orgogliosamente
la scelta di interpellarlo per dirimere le questioni morali del Paese.
Morali, sì morali, perché il nostro si esercita anche sui campi
dell’etica e dunque puoi anche apprezzarne lo spirito liquidatorio nei
confronti di questa classe politica. La classe politica dei Fiorito,
tanto per capirci. Il meccanismo è che su certi argomenti così delicati è
tanto divertente affidarsi all’Uomo Improbabile, alla persona
apparentemente lontana miglia e miglia da quelle tematiche e che invece
capita possa rivelarsi come un’autentica sorpresa, colpendoti di ritorno
con risposte davvero sopraffine o anche sconcertanti. (L’unico a cui
avrei sempre chiesto la «sua», dagli asparagi all’immortalità
dell’anima, era Carmelo Bene).
Purtroppo, questo è il tempo in cui le ciambelle si sa già come escono e se addirittura l’Huffington Post italiano
ritiene di scomodare l’apertura del suo giornale per dedicarla a
un’intervista a Briatore sulla politica, Monti, Berlusconi, l’etica e la
moralità, le primarie del Pd, la spending review e non sulle babbucce
più morbide da indossare appena si scende dal letto, ebbene la
conclusione è che quelle risposte te le poteva dare, con la stessa
passione civile, anche il tuo panettiere sotto casa.
Il problema è capire se Briatore sopravviverà alla nostra stanchezza, nel
senso che quando abbandoneremo il ring del Paese per manifesta
inferiorità a comprenderne le dinamiche, lui sarà ancora sulla tolda,
cercato e pregato dai giornali perché dica la sua. In fondo, con quei
capelli argentei l’uomo ha una sua saggezza di fondo, non avendo mai
aderito al progetto tricologico berlusconiano di passare direttamente a
una nuova calotta color rosso Ferrari.
Non ti preoccupare Flavio, noi sgommiamo in fretta.
Non ti preoccupare Flavio, noi sgommiamo in fretta.
lunedì 1 ottobre 2012
SE TUTTI I PENSIONATI FOSSERO COME NAPOLITANO...
In Italia i disoccupati censiti dall’Istat sono 2,7 milioni
mentre secondo la Cgil oltre 1,6 milioni di cittadini non cerca più un
lavoro o è in cassa integrazione. Se vai a parlare con queste persone
sono “incazzate nere” con la politica: non ne possono più di soffrire e pagare le tasse
per mantenere il benessere di chi governa. Chiesa e Presidente della
Repubblica, dinanzi all’evidenza, chiedono a bassa voce più rigore. I
vari Lusi, Belsito, Fiorito
si difendono sfoggiando tutta la loro arroganza, in fondo sono dalla
parte della ragione: se si sono comportati così è perché qualcuno glielo
ha permesso e/o altri prima di loro hanno fatto le stesse cose. “Mani
pulite” non si è tradotta in un esempio di virtù e buona politica,
paradossalmente sono gli stessi politici che chiedono: “La politica dev’essere più trasparente”.
La coerenza non è una caratteristica dei nostri rappresentati.
Napolitano ha firmato senza batter ciglio: lo scudo fiscale, legittimo
impedimento, decreto salva-liste. Il nostro garante della Repubblica è
un politico navigato: è stato eletto deputato nel 1953 e da quel momento
la sua carriera non si è più arrestata. Perchè non ha mai trovato
parole dure sugli sprechi di denaro pubblico, sui comportamenti immorali
dei suoi colleghi? Anche lui gode di privilegi? Ebbene sì. In un video
girato nel 2004 da una tv tedesca il giornalista chiede a Napolitano
europarlamentare spiegazioni sui suoi voli low cost che vengono
rimborsati per intero (l’esempio: spesa 90 euro, rimborso 800 euro, 710
“guadagno”) lui risponde stizzito: “Se non mi lasciate stare chiamo la
polizia”. I cittadini comuni per sopravvivere devono contare sul loro
stipendio qualsiasi altra entrata o immobile fa cumulo: viene tutto
accuratamente tassato e non possono rispondere all’Agenzia delle
Entrate: “Se non mi lasci vivere, chiamo la polizia”. In Italia ogni
anno vengono evasi 120 miliardi di euro, ci sono soggetti sconosciuti al fisco e vivono benissimo.
Tornando a Napolitano, nel 1974 è stata varata la legge Mosca
che ci costa svariati milioni di euro perché bastava una dichiarazione
di un rappresentante di partito o del sindacato per aver diritto alla
pensione (con tanto di arretrati a partire dal 1948). Fra coloro che
beneficiano di una “pensioncina” (che si aggiunge alle altre ad es. da
parlamentare): Armando Cossutta, Achille Occhetto, Franco Marini,
Ottaviano Del Turco ed ovviamente Giorgio Napolitano. Tutto l’arco costituzionale sta attento a non parlare di questo miracolo parlamentare e l’Inps chiede indietro le quattordicesime
a chi ha superato di qualche spicciolo il reddito minimo (8.000 euro).
Il legislatore priva i cittadini dei diritti fondamentali previsti dalla
Costituzione, mentre per se stesso solo benefici e privilegi con
l’avallo di dirigenti, resi compiacenti con incarichi da milioni di
euro. Se il lavoro, la pensione, il salario erano diritti
acquisiti e sono stati abrogati, allora dovrebbero essere eliminati
anche i diritti acquisiti dalla casta. Se vogliamo incominciare
a parlare di rigore, l’Inps dovrebbe chiedere indietro le pensioni
delle 40mila persone beneficiarie della legge Mosca.
domenica 23 settembre 2012
IL PASTICCIO DELL'ILVA
Ricorderete la campagna di UIL, CISL e UGL a sostegno del Modello Marchionne e delle deroghe al contratto nazionale. Rifiutare quella imposizione avrebbe comportato, a detta di tali sindacati, la chiusura degli stabilimenti Fiat e il disinvestimento produttivo in Italia.
Ma a pochissimi anni di distanza… gli investimenti non sono mai arrivati, concreta è la minaccia di chiusura delle fabbriche Fiat in Italia, con il ricatto occupazionale (allora come oggi), che ha prodotto i suoi effetti: seminare paura, rassegnazione, espellere dagli stabilimenti la FIOM e i sindacati di base, rafforzare lo strapotere del padrone sugli operai emarginando operai e delegati più combattivi
Un ragionamento analogo lo possiamo fare per l’Ilva. Anche a Taranto UIL, UGL e CISL suonano la stessa musica e si ergono a difesa dell’occupazione sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini. Veniamo da decenni nei quali la salute e la sicurezza sono state merce di scambio con l’occupazione e avere abbassato la guardia in tema di prevenzione e sicurezza è servito ai padroni per non investire.
Invece di mettere al sicuro lavoratori, ambienti e processi produttivi, hanno tentato con ogni mezzo (legale e illegale) di salvaguardare il loro profitto portandosi dietro una lunga scia di morti e di lutti.
Chi oggi parla lo stesso linguaggio dei Riva (padroni dell’Ilva) è lo stesso che sposava la linea Marchionne, lo stesso che in questi anni ha ritenuto superflua la battaglia per la salute e la sicurezza accettando aumento dei tempi di lavoro, riduzione delle pause, intensificazione dei ritmi.
La questione della sicurezza (dei lavoratori e dei cittadini) va di pari passo con la difesa di interessi collettivi e di condizioni di lavoro e di vita dignitose
E’ una colossale bugia la notizia secondo la quale in Italia molte fabbriche sono state chiuse per intervento della ASL a seguito di richiesta di ottemperanza alle normative di sicurezza. E’ invece vero l’esatto contrario, ossia che gli interventi sono stati tardivi oppure non ci sono mai stati con il risultato di peggiorare ulteriormente la tragica statistica dei morti e dei malati. E’ accaduto alla Thyssen Krupp, alla Eternit di Casale Monferrato, ma anche in tantissimi altri piccoli siti produttivi.
Chi oggi non tutela la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro ha già svenduto diritti e tutele collettive, ha accettato deroghe ai contratti e imposizioni di ogni genere
La disinformazione è funzionale a salvaguardare i profitti aziendali e per raggiungere questo scopo si costruiscono campagne miranti a dipingere come terroristi e facinorosi gli operai e i cittadini che si oppongono.
mercoledì 12 settembre 2012
Basta falsità sull'11 Settembre
La stampa occidentale non spiega le ragioni
per le quali i parenti delle vittime dell'11 settembre americano non
hanno voluto "politici" alla cerimonia di ricordo dei loro cari periti
per il crollo delle Torri Gemelle (in effetti le torri crollate furono
tre, una terza si accartocciò su se stessa come fosse di ricotta nel
pomeriggio dell'impatto senza essere stata impattata da nessun aereo)
Penso che nella opinione pubblica americana sia oramai prevalente lo scetticismo sulla versione governativa dell'attacco "terroristico". Non so se i parenti delle vittime abbiamo fatto causa allo Stato Federale ma penso che qualcuno deve rendere loro giustizia e certo non Bin Laden ma il suo mandanteche potrebbe avere avuto infiltrazioni nel tessuto della politica americana se non nell'allora aministrazione guidata da Bush.
Penso che nella opinione pubblica americana sia oramai prevalente lo scetticismo sulla versione governativa dell'attacco "terroristico". Non so se i parenti delle vittime abbiamo fatto causa allo Stato Federale ma penso che qualcuno deve rendere loro giustizia e certo non Bin Laden ma il suo mandanteche potrebbe avere avuto infiltrazioni nel tessuto della politica americana se non nell'allora aministrazione guidata da Bush.
Vedere Obama e la moglie con la mano
sul cuore mentre si fingono contriti quando suona il silenzio per i
morti è davvero stomachevole.
lunedì 3 settembre 2012
Le Elezioni spettacolo dell'America
Ho assistito alla cerimonia di investitura del mormone miliardario Romney, candidato alla presidenza USA per il partito Repubblicano, nella solita artificiale atmosfera di spacconate e di ottimismo, con il contorno, applauditissimo dell’intervento del pistolero di professione Clint Eastwood. Intervento di tale rozzezza che ci rivela il livello primitivo dell’elettore medio americano, che si sente gonfio di orgoglio e gratificato nel sentire una star connessa sulla sua lunghezza d’onda. La pirlata più grossa pronunciata con la sicumera dell’attore consumato è la seguente: “noi siamo i proprietari del paese, e i politici sono i nostri dipendenti”: Applausi a scroscio, grasse signore in estasi, convinte di aver ascoltato la verità rivelata. Fa veramente schifo vedere prendere per il culo i cittadini con tanto cinismo proprio in quel paese in cui i proprietari sono le multinazionali e i politici sono a libro paga di queste. L’America è un paese dove i presidenti, eletti dopo laboriosissime e defatiganti primarie, sono solo dei volti più o meno accattivanti, che si devono piegare, democratici o repubblicani che siano, al potere della economia, delle lobby, delle banche, del Pentagono e del complesso militare-industriale collegato alla politica di eterne guerre con 800 basi militari sparse in tutto il mondo. Sono questi i padroni dell’America e del mondo, e vedere chi si entusiasma per plateali panzane è uno spettacolo al tempo stesso patetico e preoccupante. Preoccupante perché è segno che esiste un livello di disinformazione scientifica di grande raffinatezza, che fabbrica bamboccioni capaci di bersi qualsiasi stronzata, del tipo che gli USA sono andati in Irak perché si preoccupavano che Saddam usasse armi chimiche, e che oggi sono in Afghanistan per combattere il “terrorismo internazionale”. Certo vi è negli USA una entità religiosa, la chiesa evangelica, che dà un notevole aiuto al rimbambimento popolare, definendo i marines “Legionari di Cristo”, alleando la religione alla politica guerrafondaia, snaturando senza vergogna tutto il messaggio cristiano. Comunque è un fatto che una sostanziale dittatura delle oligarchie economiche, sommata al costante ricorso alla forza militare per risolvere le controversie internazionali, viene definita grande democrazia, un modello a cui ispirarsi, anche qui in Italia, sia dalla destra che dalla sinistra, anche se dalla fine della 2° guerra mondiale subiamo l’umiliazione di una totale subalternità alle decisioni dell’America e della Nato, cosa che ci costa enormemente anche in termini economici (compresi 100 bombardieri da acquistare dagli USA) e fattore determinante del nostro declino economico. Francamente mi sembra più serio il Carnevale di RIO dell’interminabile rito delle elezioni politiche americane, una ignobile e pacchiana fiera di retorica, balle imperiali, luoghi comuni, dove tutto viene promesso, ma senza impegno, come Obama che non è nemmeno riuscito a fare la riforma sanitaria per l’opposizione delle lobby della sanità privata, e ha perduto anche contro la lobby delle armi di cui voleva abolire la libera vendita e detenzione. Se poi avesse voluto diminuire il bilancio militare avrebbe incontrato un “pazzo” che l’avrebbe democraticamente spedito a raggiungere Kennedy e i suoi fratelli.
domenica 26 agosto 2012
DISOCCUPAZIONE O CONTAMINAZIONE?
C’è perfino un negazionismo che non ammette l’esistenza della questione ambientale. A Taranto, per una grave regressione dell’intelletto, in molti se la sono presa con i giudici, hanno deriso gli epidemiologi che parlano di oltre 400 morti e di innumerevoli malati, hanno accusato di estremismo chi sollevava il problema. E anziché marciare contro la fabbrica hanno pensato di marciare contro la magistratura.
Anche in Sardegna i negazionisti difendono l’industrialismo estremo. La stessa follia che ha colpito Taranto e altre parti d’Italia. Anche qua silenzio della politica, silenzio di certi sindacalisti e delle comunità che non vogliono vedere.
Ma per fortuna anche qua esistono cittadini testardi, una parte della stampa è integra, ci sono epidemiologi onesti. Anche qua processi contro gli inquinatori. Sono spaventosi gli eccessi di mortalità e di malattie a Portoscuso e Porto Torres. Anche tra i bambini si manifestano malattie gravi legate alle condizioni ambientali. Però ancora oggi alcuni rispondono con accuse di complotti contro il lavoro a chi denuncia questa tragedia sanitaria collettiva.
A Portoscuso le tre industrie Eurallumina, Portovesme srl e Alcoa annaspano. E’ un terremoto sociale. All’Alcoa lavorano circa 600 operai. Ma l’indotto vale molti più posti. Portoscuso conta 5.300 abitanti e con le industrie fallisce il paese. In questi anni non è stata proposta un’alternativa. L’agricoltura intorno è stata cancellata. Enorme la quantità di residui tossici ed è in corso un processo per traffici illegali di quelle sostanze pericolose. La mortalità per malattie respiratore è raddoppiata negli uomini di Portoscuso (205 casi contro 125 attesi). I morti per malattie polmonari provocate dalle polveri sono quattro volte quelli della popolazione normale (117 casi contro i 30 attesi).
A Porto Torres l’avvelenamento dei suoli e delle acque è talmente grave che lo Stato si è costituito parte civile al processo contro Polimeri Europa e Vinyls e il Ministero dell’Ambiente chiederà i danni per lo smaltimento in mare di cadmio, mercurio, cianuri, benzene, idrocarburi. Gli stabilimenti spenti continuano a inquinare le falde. E così la contaminazione aumenta insieme alla disoccupazione. Nell’acqua di falda le concentrazioni del cancerogeno benzene sono 400.000 volte superiori al limite di 1 microgrammo per litro. Una distilleria di benzene. Nel mare del porto industriale il benzene è “solo” 2000 volte superiore alla norma. Se ne percepisce perfino la presenza nell’aria.
Un orrore, mentre a pochi chilometri si sguazza in acque che i tour operator cantano come le più belle e incontaminate del Mediterraneo. Ci affidiamo alla fortuna, ma la fortuna sembra finita.
lunedì 6 agosto 2012
Un Europa da colonizzare
E' fallace, e
fa anche ridere, l’idea che si possa reggere un sistema
fondato sull’economia e la moneta ma privo di unità politica. Lo diceva
nel 1991 anche Helmut Kohl, il cancelliere dell’unità
tedesca. E esiste anche una ulteriore “conditio sine qua non”: per
creare un’effettiva unità - nel nostro caso “europea” - occorre la
scomparsa degli Stati nazionali.
Ed è questa la volontà nascosta, di chi attualmente manovra Bruxelles: estirpare gli Stati nazionali distruggendo ciò che è invece la forza storica della nostra cultura comune, appunto le identità nazionali. Cancellato questo humus - e i banksters e i tecnocrati e i professori lo stanno facendo alacremente - però, non si “costruisce” un bel nulla. L’idea di far nascere dalla “moneta unica” dal “fisco unico”, dalle “banche uniche” un’entità forte è semplicemente folle, irrealizzabile. La devastazione delle sue radici renderà, al contrario, al massimo, il nostro continente una grande area di libro scambio, di libera speculazione per la grande finanza e le multinazionali apolidi. Altro che “unità politica”. Quella si fa soltanto con un atto di forza politico, appunto. Aggregando l’Europa delle patrie in un unico Stato nazionale europeo.
Ma non è questo che vogliono, i Lor signori. Non vogliono un’Europa unita e forte, ma debole e da colonizzare.
Ed è questa la volontà nascosta, di chi attualmente manovra Bruxelles: estirpare gli Stati nazionali distruggendo ciò che è invece la forza storica della nostra cultura comune, appunto le identità nazionali. Cancellato questo humus - e i banksters e i tecnocrati e i professori lo stanno facendo alacremente - però, non si “costruisce” un bel nulla. L’idea di far nascere dalla “moneta unica” dal “fisco unico”, dalle “banche uniche” un’entità forte è semplicemente folle, irrealizzabile. La devastazione delle sue radici renderà, al contrario, al massimo, il nostro continente una grande area di libro scambio, di libera speculazione per la grande finanza e le multinazionali apolidi. Altro che “unità politica”. Quella si fa soltanto con un atto di forza politico, appunto. Aggregando l’Europa delle patrie in un unico Stato nazionale europeo.
Ma non è questo che vogliono, i Lor signori. Non vogliono un’Europa unita e forte, ma debole e da colonizzare.
lunedì 30 luglio 2012
Siamo come la Grecia ma non lo dicono
C’è una legge molto elementare che vige in medicina: accertato
l’avvenuto decesso, è inutile somministrare al paziente altre cure.
Parto dalla medicina perché quella del malato e della cura è una
metafora fin troppo abusata dai tecnici del governo: loro i curatori
(fallimentari) e l’Italia il malato terminale. Però provo a proporne una
lettura diversa: il malato in questione, quello che loro pretendono di
rianimare, non è affatto lo Stato Italiano, quanto piuttosto il modello
di sviluppo fondato sul capitalismo bancario. È quello il paziente che
hanno intenzione di far resuscitare. Resuscitare, non "guarire",
perché trattandosi di cadavere non è possibile usare altro termine.
La "spending review" doveva insomma tagliare le spese
inutili, invece taglierà posti di lavoro, ferie, scuole e ospedali.
Siamo come la Grecia, ma non lo sappiamo neppure.
Si dice: questo è un governo tecnico, che deve realizzare delle
riforme impopolari che nessun governo politico avrebbe né il coraggio né
l’interesse di fare. Ma la questione non va posta in questi termini. I
procedimenti del governo Monti non sono sbagliati perché impopolari,
sono sbagliati perché inutili. Anzi peggio: sono proprio dannosi. Perché
rispondono ad una logica suicida, che permette a questo sistema di
continuare ad operare anche da morto. Ed è un sistema che “produce deficit”:
cioè ha bisogno che gli vengano fornite più energie di quelle che poi
riesce a restituire. Un esempio? I governi europei si indebitano con la
BCE per convincerla ad emettere nuovo denaro e a concedere prestiti
agevolati all’1% alle banche dei vari Paesi. Poi chiedono a quelle
stesse banche di comprare i propri titoli di Stato per non essere
sommersi dal debito. E se le banche non li comprano? La soluzione è
presto trovata: costituire una sorta di cassa comune europea – il tanto
famigerato Scudo Anti-Spread – affinché la BCE compri i buoni del tesoro
di quegli Stati che sono sotto il mirino della speculazione
finanziaria. Solo che, per costituire quella cassa comune, gli Stati
sono costretti a versare altri soldi: dunque, ancora una volta, ci
indebitiamo per tenere sotto controllo il nostro debito. Roba da
esaurimento nervoso.
Nel frattempo, oggi ci tolgono i diritti sindacali, domani ci
abbassano gli stipendi, dopodomani aumentano le accise sulla benzina. E
noi accettiamo tutto con l’illusione che fare questi sacrifici, in
fondo, ci convenga. E invece ci sveniamo per versare il nostro sangue in
un colabrodo, senza chiederci quand’è che basta:
quando decideremo che avremo rinunciato ad un pezzo abbastanza grande
della nostra felicità e della nostra libertà da non volerne cedere
oltre? Qualcuno ci ha spiegato le regole del gioco? Continuiamo ad
accettare questa austerità a tempo indeterminato, senza tuttavia
comprendere né domandare circa l’obiettivo che intendiamo perseguire coi
nostri sacrifici.
Se proprio i sacrifici vanno fatti, che almeno servano a costruire
un nuovo modello di vita, radicalmente diverso, con fondamenta nuova e
una grammatica completamente modificata. Soluzioni facili non ce ne
sono, né bacchette magiche.
Si può costruire
un’economia più sana, su scala più ridotta? Si può ridurre lo
sfruttamento delle risorse, evitando di smangiucchiarsi la Terra un
morso dopo l'altro? Si può riscrivere una carta costituzionale
attraverso la partecipazione di milioni di persone? Si può evitare di
affidare la gestione dei nostri diritti a istituzioni assenti e lontane
migliaia di chilometri, misurate in anni-luce e in anni-welfare?
Non che tutto questo sia fattibile nell’immediato, certo. Ma forse
converrebbe farsi domande del genere, ogni volta che qualcuno si prende
un’altra libbra dalla nostra carne, anziché starnazzare impanicati come
un branco di anatre che si fingono minacciose, per poi tornare
all’ordinario indulgere al nostro confortevole nulla quotidiano.
giovedì 19 luglio 2012
I CONFLITTI D'INTERESSE DI NAPOLITANO
Il ventennale della strage di Via D’Amelio, dopo i giorni delle accuse, degli attacchi, delle delegittimazioni istituzionali ai magistrati di Palermo che conducono l’inchiesta sulla trattativa Stato-Cosa Nostra, non poteva essere “celebrato” in modo più inimmaginabile: e cioè con il decreto sul conflitto di attribuzione stilato da Napolitano nei confronti della procura palermitana.
Secondo il ministro della Giustizia si tratta del
percorso più lineare che poteva essere intrapreso dal Capo dello Stato e
di un’occasione per chiarire ed integrare da parte della Corte Costituzionale
una disciplina giuridica “lacunosa” in materia materia di
intercettazioni indirette, quando a sollevare la cornetta sia un’alta
carica dello Stato.
Può darsi che sotto il profilo tecnico ed in un’ottica di
giurisprudenza costituzionale sticto sensu, si tratti di un’occasione di
chiarimento.
Ma sotto il profilo politico e del rapporto, mai così compromesso tra
cittadini ed istituzioni, la mossa della presidenza della Repubblica,
motivata dall’intento dichiarato di tenere “la facoltà immune da qualsiasi incrinatura” nello spirito di Einaudi, suona come la rivendicazione esibita di assoluto arbitrio ed intangibilità.
L’articolo 90 della Costituzione a cui fa riferimento esplicito il decreto sul conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato contro il presunto abuso della
procura di Palermo, rea di non aver interrotto e/o distrutto
immediatamente le intercettazioni intercorse tra Nicola Mancino ed il Quirinale, stabilisce che “Il
presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti
nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per
attentato alla Costituzione”.
Sembrerebbe lecito e pertinente domandarsi se, accanto e
parallelamente alla rete di telefonate intercorse tra il consigliere
giuridico del Quirinale e Mancino tutte tese a rassicurare l’indagato per falsa testimonianza
e ad attivarsi in tal senso, anche le due dirette tra l’ex ministro ed
il presidente della Repubblica debbano essere considerate tra “gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni”.
A prescindere del fatto fondamentale che si tratta di intercettazioni “casuali ed indirette” è un delitto di lesa maestà
chiedersi se nelle funzioni del capo dello Stato, tra l’altro garante
della Costituzione e presidente dell’organo di autogoverno dei
magistrati, rientrino le cure e gli imput per tutelare un ex ministro
che da testimone stava (consapevolmente) diventando imputato per false
dichiarazioni ai Pm?
Sulla attendibilità delle dichiarazioni di Nicola Mancino si
pronunceranno i magistrati; però noi possiamo intanto
liberamente valutare secondo il nostro buon senso se quello che va
dicendo in TV o in contesti pubblici in merito alla trattativa, o come
la si voglia chiamare, ha un fondamento o una parvenza di verità.
Nicola Mancino ha ribadito che non ha incontrato privatamente Paolo Borsellino il 1 luglio
del ’92, appena insediato al Viminale, che non si sono parlati e che
comunque non lo ricorda dato che non sapeva che faccia avesse il
magistrato più famoso d’Italia, dopo Giovanni Falcone. E a seguire ha
negato di aver mai incontrato il generale Dalla Chiesa, di “essersi sempre sentito lontano dalla Sicilia” , di aver incontrato Calogero Mannino, massimo esponente siciliano della sinistra Dc di cui Mancino faceva parte, una sola una volta in Translatantico.
Senza fare esercizio spericolato di fantasia e di dietrologia è
quantomeno possibile identificare il perimetro degli argomenti che
possono aver toccato l’ex ministro ed ex potente democristiano, ora
semplice cittadino imputato, ed il Capo dello Stato nei momenti più
calienti dell’inchiesta in quelle telefonate top secret.
Se come ha rivendicato Napolitano, elevando un conflitto di
attribuzione con la magistratura, che non ha precedenti nella storia
repubblicana (altra cosa quello con il ministro della giustizia in
materia di grazia risolto con sentenza costituzionale n.200/2006), il
bene tutelato sarebbe quello di tenere “la facoltà immune da qualsiasi incrinatura”, la strada maestra era quella di lasciar “piangere il telefono” o in subordine di dare in qualche modo conto ai cittadini del contenuto di quelle conversazioni.
martedì 10 luglio 2012
Tempi di macelleria sociale
“Ma perché non lo dice in televisione che non è possibile che
continuano a prendere i soldi solo a noi e che i ricchi non li tocca
nessuno”? La signora è proprio arrabbiata e vorrebbe che i democratici
che conosce uscissero da un silenzio
accondiscendente per schierarsi.
Mi spaventa che nelle grandi analisi su quel che sta facendo il
governo Monti queste realtà siano ignorate. Non è questo il terreno su
cui populismo e demagogia attingono a piene mani? E come far capire a
chi ha sempre pagato le tasse, che continua a pagarle, che si è
dissanguato per avere servizi che ora rischia di perdere, che i
possessori di grandi patrimoni, gli evasori, i furbi, continuano a
restare impuniti? Va bene il senso di responsabilità, ma perché non
guardare anche a questa base del Paese che non conta più per nessuno,
quella base che non sa, non è in grado o non vuole urlare ma che è solo
capace di prendersela con chi è altrettanto o più povero?
La logica dei mercati, dello spread, delle borse è diventata una
camicia di forza asfissiante che ottunde anche le intelligenze. Ho
sentito affermare in tv da un illustre esponente del Pdl che ormai lo
stato sociale del secolo scorso è un vecchio arnese buono solo per i
nostalgici. E con cosa lo sostituiamo? Perché non viene prospettato quel
che ci sarà dopo il tanto bramato “risanamento”? Finalizzati a cosa
sono i tagli dei servizi, degli impieghi, dei posti letto, dei
tribunali? Con tante leggi scritte solo per tutelare chi ha commesso
gravi reati, perché non ci si ricorda mai delle tante vittime che
aspettano soltanto di avere giustizia? E quando mai la otterranno se
anche i luoghi fisici del diritto vengono fatti sparire? E perché
attaccare le risorse che spettano alle regioni a Statuto Speciale? E’
vero che non siamo più alle prese con il Circo Barnum berlusconiano, ma
non sarà il caso di riprendere ragionamenti politici, accanto a quelli
ragionieristici? Se anche il presidente di Confindustria parla del
rischio di “macelleria sociale”, visto che lui gli operai li conosce
direttamente e non per aver letto solo qualche pregnante trattato, ci
sarà qualche ragione, o dobbiamo sospettare che anche lui si stia
preparando a ‘scendere in campo’ per le prossime elezioni?
Va benissimo mostrarsi
responsabili, ma non sulla vita degli altri, degli esclusi, dei non
garantiti, dei precari, dei pensionati. Ci sono molte strade per far guarire
questo Paese. Quella che si sta percorrendo rischia di danneggiare
soprattutto chi non ha neppure una qualche collocazione sociale. Ed è lì
che rischia di scatenarsi una violenta guerra fra poveri.
domenica 1 luglio 2012
Internet. Come il “grande fratello” conosce i nostri interessi e condiziona i nostri stili di vita
Condividendo sempre più informazioni e documenti online nei motori di ricerca e nei social network, aziende specializzate come la Acxiom, ci conoscono sempre meglio. Il procedimento è molto semplice: grazie alle tracce che lasciamo nella rete, quando condividiamo un post in Facebook o in Twitter, oppure quando facciamo una ricerca di un prodotto che vorremmo acquistare su un motore di ricerca, queste società catalogano gli interessi e fanno per ognuno di noi una scheda del “consumatore perfetto” di determinati prodotti.
Dal 2005 ad oggi, il numero di intermediari a “caccia” dei nostri dati è raddoppiato….
Una delle maggiori aziende, che per noi è sconosciuta, èla Acxiom con sede operativa in Arkansas. Con i suoi 23mila server e 50mila miliardi di dati, ha prodotto 500milioni di profili di “perfetti clienti”.
Secondo il New York Times, la Acxiom ha raccolto la più grande massa di dati al mondo sui consumatori. Tutti queste informazioni vengono poi rivendute ad altre aziende importanti (banche, case automobilistiche, grandi magazzini e grandi multinazionali) che vogliono sapere se stanno offrendo la cosa giusta al momento giusto.
Secondo una ricerca del Wall Street Journal dello scorso anno, i cinquanta siti più popolari del mondo, hanno istallato in media 64 cookie e beacon carichi di dati su di noi. E’ così che ci ritroveremo, mentre guardiamo la nostra posta elettronica, delle pubblicità che ci propongono (guarda caso) lo stesso prodotto che avevamo cercato in precedenza in motori di ricerca come Google o Yahoo.
Un tempo internet era un mezzo anonimo in cui tutte le persone potevano essere chiunque, ma ora tutto questo è cambiato, è diventato marketing allo stato puro. Se fosse solo un modo per vendere pubblicità mirata, sarebbe grave. Ma non troppo. Il problema è che la personalizzazione non condiziona solo quello che compriamo, ma il nostro stile di vita. E potrebbe essere molto pericoloso.
Bisogna, dunque, trasformale il virus in antivirus. Utilizzare internet a nostro vantaggio e non il contrario. Perché, altrimenti, saremo schiavi controllati e addomesticati dai venditori del nulla.
giovedì 21 giugno 2012
NO ALL'ECONOMIA SHOCK
Mentre l'economia greca è sconvolta dal quinto anno consecutivo di
recessione e la riduzione del suo prodotto interno lordo - a causa
delle misure di «austerità» imposte al paese dalla troika - ha superato
il 17%, si sta verificando una catastrofe sociale senza precedenti.
Il
tasso di disoccupazione ha oltrepassato il 21%, il che significa che
in un paese con meno di 11 milioni di abitanti e una forza lavoro
inferiore a 5 milioni, oltre 1.200.000 persone non riescono a trovare
nemmeno un lavoro part time che gli permetta di guadagnare 400 euro al
mese, e tra queste soltanto il 30% ha diritto, per un periodo massimo
di 12 mesi, al povero sussidio di disoccupazione di 300 euro.
Inoltre,
per le stesse ragioni, il paese sta assistendo alla distruzione dei
servizi sociali (sanità, istruzione, assegno di disoccupazione,
assistenza pensionistica e sanitaria) e i poveri (pensionati,
disoccupati e sottopagati) sono costretti a pagare di tasca propria i
farmaci e le cure mediche, oltre alla fornitura di elettricità (acqua
etc.), proprio mentre la compagnia Greek Petroleum ha annunciato di
aver aumentato del 5% i suoi profitti e la Banca Piraeous del 18%
circa.
Il 29 maggio scorso le autorità economiche europee hanno
annunciato il trasferimento di 18 miliardi di euro alle quattro
principali banche private greche, le quali controllano oltre il 70% del
settore bancario ellenico e le cui azioni sono detenute in maggioranza
da fondi europei privati e istituzionali, per aumentare la loro
adeguatezza patrimoniale. In questa misura di assistenza finanziaria
europea non sono invece state incluse le due banche pubbliche del
Paese. Il giorno successivo (il 30 maggio) l'Agenzia nazionale per la
salute (Eoppy) ha annunciato di non essere in grado di rimborsare ai
farmacisti i soldi che deve a questi ultimi per i medicinali
prescritti.
Nel frattempo i funzionari dell'Unione europea e i
loro protettori (speculatori, banchieri e leader politici) fanno a gara
a chi spaventa di più il popolo greco, affinché non voti contro i
partiti che hanno sottoscritto le misure di «austerità» e quelle
previste dal Memorandum, in cambio della liquidità accordata con nuovi
prestiti al settore bancario ellenico. Un memorandum - sottoscritto da
Nuova democrazia, Laos e Pasok - che invece di favorire il
riorientamento produttivo dell'economia greca riducendo l'enorme
evasione fiscale della quale beneficiano gli operatori medio alti e gli
intermediari, cancella almeno il 30% dello stipendio annuale dei
lavoratori e delle classi medio-basse, annulla gli standard del
contratto collettivo mentre l'inflazione avanza al ritmo del 4-5%. Si
pretende inoltre che i lavoratori paghino a caro prezzo beni e servizi
di prima necessità e di tasca propria i servizi sociali, nonostante
sborsino già contributi assicurativi altissimi, così come alta è la
tassazione sul reddito e l'Iva a cui sono sottoposti.
Ma c'è di
più dietro queste misure punitive: il tentativo è quello di far sentire
colpevole il cittadino greco se non riuscirà - a qualsiasi costo, per
sé e per la sua famiglia - a restituire, ad alti tassi d'interesse, i
debiti che le sue classi dirigenti hanno contratto per importare dalla
Germania, dall'Olanda e dall'Italia merci che hanno spazzato via dal
mercato interno i prodotti greci e danneggiato le sue prospettive
produttive e di impiego.
Le classi dominanti europee e greche, il
cui dominio si basa su patrimoni finanziari immateriali, sanno molto
bene che nel contesto capitalistico la riformulazione dell'economia
europea presuppone la distruzione delle classi medie che si sono
sviluppate nel secondo dopoguerra e la degradazione dei servizi
pubblici e di quelli sociali. Quale migliore e inevitabile soluzione
per l'enigma greco provano dunque ad applicare la scelta del «letto di
Procuste», ribattezzata per l'occasione Financial assistance facility
agreement.
Secondo questo accordo, il popolo greco deve pagare
più denaro ai suoi creditori (oltre 35 miliardi di euro ogni anno per i
prossimi 30 anni) e meno per salari, pensioni e misure assistenziali.
Salari e pensioni, secondo l'accordo, vanno corrisposti solo dopo che i
creditori hanno ottenuto le rate dei loro rimborsi.
In passato
una parte di questi prestiti, che andava ad alimentare i consumi,
garantiva il consenso delle classi medie al progetto dell'area euro,
anche se la maggior parte di quel denaro serviva per riprodurre il
privilegio dell'élite politica e della borghesia compradora e
finanziaria. Negli ultimi vent'anni il paese si è trasformato in
un'economia di servizi basata sul turismo e sul commercio e il popolo
greco, a causa dell'euro forte, ha perso una porzione importante della
sua capacità produttiva, ma non dei suoi valori umani. Nonostante le
élite europee e nazionali gli chiedano di accettare il destino di
diventare vassalli, i greci resistono seguendo i loro sentimenti di
libertà e le loro aspirazioni a una vita dignitosa. Proprio questa
prospettiva alternativa rappresenta ciò che le élite europee temono di
più, perché può dare l'avvio a una catena di cambiamenti radicali in
tutta l'Europa.
Il voto del 6 maggio scorso ha rivelato che
l'applicazione della dottrina dello shock, descritta in maniera
autorevole da Naomi Klein, non è applicabile all'Europa, dove la
memoria storica e la cultura democratica, invece di essere cancellate,
risvegliano la coscienza libertaria dei popoli.
Le ultime elezioni
in Grecia hanno dimostrato che l'Europa sta dando l'addio all'era
neoliberale. Ma questa prospettiva non è ancora sicura, perché siamo in
un equilibrio precario in cui - come direbbe Antonio Gramsci - «il
nuovo non è ancora nato e il vecchio resiste». È per questo che in
Grecia molte aziende stanno distribuendo ai loro dipendenti dei
questionari che chiedono in quale paese preferirebbero trasferirsi per
lavorare, nel caso Syriza diventasse il partito di governo dopo le
elezioni del prossimo 17 giugno. È per questo che in tutta Europa le
classi dominanti stanno utilizzando il loro arsenale per terrorizzare
il popolo greco e convincerlo a non votare contro i partiti che hanno
sottoscritto la violazione della sua esistenza dignitosa.
Questa
testimonianza dall'anello debole della catena europea si trasmetterà
all'Europa progressista, spingendo verso la legittimazione di un
governo europeo autorevole e reattivo. O siamo diretti verso la
disintegrazione e il rafforzamento dei nazionalismi?
La risposta non «soffia nel vento», ma nei sentimenti dei popoli e nella loro aspirazione a una vita dignitosa.
venerdì 8 giugno 2012
IL BERLUSCONI POVERO ?!
Il Cavaliere è ossessionato da quello che vent’anni fa fu il sogno di
Massimo D’Alema: vederlo chiedere l’elemosina all’angolo di via del
Corso. Il buon Silvio sarebbe preoccupato, ne avrebbe parlato anche con
Napolitano. Non ha superato la mazzata della sentenza Mondadori. E non a
caso sta svendendo quasi tutto il Milan.
Berlusconi di questi tempi grami avrebbe addirittura l’ossessione di
diventare povero. Sarebbe così ossessionato da averne messo a conoscenza
persino il Capo dello Stato, di cui peraltro non è data sapersi alcuna
reazione. Possiamo immaginarla, riproiettandola a diciotto anni fa,
quando quel simpaticone di Massimo D’Alema prefigurò, per il Cav., un
futuro in cui il medesimo sarebbe stato costretto a chiedere l’elemosina
all’angolo di via del Corso.
Se a distanza di quasi un ventennio l’argomento ritorna di
stretta attualità, almeno nell’animo più profondo di Silvio Berlusconi,
è perché – evidentemente – qualcosa è accaduto. Innanzitutto, di
concreto, quello che lui stesso considera uno scippo, quei seicento, o
giù di lì, milioni che gli ha sciroppato l’Ingegnere per la storia
(antichissima) della Mondadori. Quella sentenza è stata per lui un vero e
proprio trauma dal quale non si è più ripreso. Vero che c’è sempre la
Cassazione che potrebbe riportare nelle casse di Mediaset il poderoso
malloppo, ma già con il primo giudizio la grana pesante ha preso la via
della Cir, dove viene gelosamente custodita (e investita).
L’ossessione del Cav. di diventare povero ha
ovviamente stretta correlazione con la congiuntura del momento. Dovrebbe
farci perlomeno sorridere, noi spiantati e lui (ancora) straricco, e
invece qualche significato più recondito lo porta con sé. Ed è l’idea di
terrore. La sensazione, cioè, che non vi sia più nulla di logico che
possa tamponare (intellettualmente) il tracollo economico sotto gli
occhi di tutti, raccontato con enfasi sin troppo drammatica da tutti i
mezzi di informazione. Se ne siamo traumatizzati noi, che per paradosso
ne abbiamo da perdere molto meno, perché non dovrebbe esserlo lui, che
porta la responsabilità di una grandissima azienda? Ecco, perdere
l’azienda e diventare povero tutto d’un colpo. Il sogno di Massimo
D’Alema che si avvera con vent’anni di ritardo sulla tabella di marcia.
Un’azienda che come sappiamo, e come ci ha ripetuto
lo stesso Confalonieri, non se la passa benissimo. Un’azienda che non dà
più molti segni di modernità, un’azienda che allora nacque più giovane
delle altre, ma che è invecchiata infinitamente prima (delle altre). Non
si è rammodernata e francamente lo si vede soprattutto negli uomini. A
parte la fatica di dare una pedata nel sedere a Emilio Fede, alla verde
età di ottant’anni, ma poi in fondo il presentatore non fa testo.
Prendiamo gli altri, i dirigenti d’età più vispa. E prendiamo, a
paradigma di una certa condizione, la «contendibilità» dei dirigenti
Mediaset/Fininvest all’interno di un mercato più ampio. Praticamente
zero. Ormai, nel mondo dell’economia, è tutto un cacciare teste.
L’ultimo, Mario Greco per Generali. Da quanto non ricordate un dirigente
di Silvio Berlusconi che è stato strappato alle sue aziende con la
forza, con la potenza, con la struttura, della sua sola professione?
Quell’ossessione di diventare povero è
reale, vera, concreta. Lo si nota col Milan, dove sta andando in onda
solo una commedia e senza neppure gli equivoci. Si svende, ragazzi. Si
fa vergognosamente cassa. Adesso infiocchetta Ibra e lo spedisce
all’emiro del Psg. Peraltro meno male, un rompicoglioni in meno. Poi si
vorrebbe vendere anche l’unico buono che c’è, Thiago Silva, il
Barcellona preme.
Il pacchetto vale più o meno un centinaio di milioni. Che finirebbero
immediatamente sotto il lettone di Putin. Per ogni evenienza.
giovedì 31 maggio 2012
Nell'era del social network
Grazie a noi, Zuckemberg diventa miliardario mentre noi, grazie a lui, perdiamo
privacy e vita, tanta, troppa, e perdiamo anche baricentro,
concentrazione e obiettivo. Perdiamo, e basta.
Perché a fare un’analisi sincera, a fare due conti veri, e non da tossico che imbroglia sui grammi di “roba” giornalieri, le ore passate sui social media sono veramente troppe. Sì, sono minuti, a volte solo secondi che rubo al mio lavoro, a una lettura che interrompo perdendo climax e segno, e solo per comunicare al mondo i 140 caratteri che mi piacciono di più, per tenerlo al corrente dei miei progressi e delle mie letture, come se gliene fregasse qualcosa, al mondo, di me e delle mie scoperte. Forse, di rimando invierà due righe da una poesia della Merini, e che l’abbia letta per intero, c’è anche da scommetterci.
Ma naturalmente questo dubbio facciamo bene a tenercelo per noi, visto che dietro l’icona chiunque può fingersi ciò che non è.
Ma una buona volta, almeno adesso che sembriamo così responsabili e civili, facciamo una prova, e mettiamoli assieme questi attimi rubati, contiamoli, e il risultato sarà ragguardevole, forse, in molti casi spaventoso.
Perché anziché stare a sentire l’emozione di un tramonto crescere e serrarci il respiro, invece di cercare di capire dove risiede e da dove arriva quel brivido, scattiamo una foto e la mettiamo lì. Invece di sentire l’acquolina che sale in bocca, a tavola, prendiamo il piatto e lo mettiamo lì, lo mostriamo al mondo e al mondo diciamo: lo vedi? Non sono abbastanza bravo anch’io?
E ogni “mi piace” ci dà l’illusione di avere qualcuno seduto alla nostra tavola deserta, e a ogni commento di approvazione, è come se qualcuno bussasse alla porta di casa dove pare manchi sempre qualcosa.
Ma cos’è che ci manca veramente, qual è il vuoto e quanto è profondo per giustificare il continuo e ossessivo aggiornamento di stato?
Questa “ammucchiata partecipativa”, di cui parla il sociologo Geert Lovink che a dieci anni dal suo primo saggio lancia un secondo allarme con il libro “Ossessioni collettive”, quanto ci farà male?
Quanto siamo stretti, piegati e piagati, nell’affermazione di un “sé” che non è più deciso dal talento vero e proprio ma solo dall’incontro giusto e da un paio di retweet che ci danno l’illusione di cambiarci la vita?
Non mi va di levarmi su in alto ed elargire consigli o poetiche soluzioni, non posso, so di non avere l’autorevolezza né il carattere per farlo e anche perché, io per prima, ci sto dentro fino al collo. Semplicemente, sono alcune settimane che mi ripeto che così non va.
Credo di aver mancato troppi tramonti negli ultimi tre anni, troppe torte fatte in casa e corse, e sicuramente molto di più. E ho perso anche la nozione del tempo.
Facebook è stata la finestra da cui mostrare al mondo che valevo qualcosa.
In un momento in cui tutto crollava, la mia azienda, il matrimonio, il mio futuro, è stata un’illusione che mi ha aiutata, sì, ma mi ha anche fatto perdere lucidità e tempo.
FB ci dà solo la possibilità di provare con un clic di essere presenti, e di valere qualcosa in più, anche se la nostra vita così com’è ci soddisfa poco, perché poi, si sa che ciò che conta veramente non è l’approvazione di un post, ma continua a essere, e così sarà sempre, e giustamente, il riscontro effettivo, l’effetto reale delle nostre azioni sul vivere quotidiano.
FB non mi consente di dissentire, è una società virtuale tutta votata al positivo che ci costringe a essere compassionevoli per forza, comunque assai poco distante da twitter, dove migliaia di persone fanno a gara per scrivere qualcosa che sia più cool, più giusto, più divertente o più amaro degli altri.
Ma cosa cambia nelle nostre vite? Cosa ci sarà di diverso domani a parte qualche follower in più? Cosa sarà cambiato nel rapporto tra stato e cittadino.
Finora non mi pare che non abbiamo ribaltato il sistema né affossato lo strapotere delle banche. Questo, è un dato di fatto.
Fino ad oggi, a parte il consumo delle parole, anche le più belle e inusuali, e i Koan più complessi della tradizione zen ridotti a battute, mi pare che nulla sia cambiato.
È vero che il popolo del web organizza mobilitazioni, è vero che mostra solidarietà verso vittime innocenti e piange lacrime virtuali di fronte alle ingiustizie, ma succedeva anche prima e forse, l’effetto si consumava anche più lentamente.
Io confesso.
Sono stata presa nella rete, sono rimasta impigliata nelle maglie strettissime di questa falsa condivisione e al momento, mi pare anche che senza, il mondo rischierebbe di sparire all’improvviso ingoiato dai pixel.
Ma la verità, l’unica e tangibile, è che alla mia tavola siedono gli amici di sempre e che il mio blog riceve visite non da persone che cliccano “mi piace” ai miei post perché chi lo fa, compie atto di presenza, e basta. Come l’ospite invitato al vernissage che arriva imbellettato e solo per conoscere gente “che conta” e mangiare gratis al buffet. Chi condivide articoli senza nemmeno leggerli, non è troppo distante dal tizio che alla mia festa non vede l’ora di andarsene dopo aver bevuto cinque bicchieri di qualcosa ed essersi ingozzato di tartine.
Perché non siamo diventati più buoni, non siamo più impegnati socialmente, né più consapevoli.
La mia cultura e la mia consapevolezza vengono da lontano, da un mondo 0.0 e dalle ore che ho passato sui libri, e a teatro, e nei locali, ad ascoltare musica live. E anche quando siamo lì, oggi, tra la gente, nel mondo reale, mi domando perché continuiamo a sentirci in dovere di mettere al corrente il mondo su cosa facciamo, ciò che guardiamo, cosa mangiamo, chi vediamo.
È sempre un modo per affermarsi e mostrarsi, dimostrare a noi stessi, prima che agli altri, di essere ancora in vita.
Ci sentiamo vivi partecipando alle disgrazie altrui, ma sempre meno alle gioie e alle vittorie dell’altro, purtroppo, visto che questa realtà vive la frustrazione di un vero scollamento dal “friendly” cui siamo abituati on line, perché Zuk, ci ha dato l’illusione di poter giudicare chiunque e accedere ovunque quando poi, nella realtà, è sempre e solo la telefonata giusta che ci farà assumere da qualche parte o pubblicare da qualcuno.
Mi auguro soltanto, come ipotizza Lovink, che tra un po’ sarà molto poco cool controllare di continuo il proprio smartphone in pubblico.
Perché a fare un’analisi sincera, a fare due conti veri, e non da tossico che imbroglia sui grammi di “roba” giornalieri, le ore passate sui social media sono veramente troppe. Sì, sono minuti, a volte solo secondi che rubo al mio lavoro, a una lettura che interrompo perdendo climax e segno, e solo per comunicare al mondo i 140 caratteri che mi piacciono di più, per tenerlo al corrente dei miei progressi e delle mie letture, come se gliene fregasse qualcosa, al mondo, di me e delle mie scoperte. Forse, di rimando invierà due righe da una poesia della Merini, e che l’abbia letta per intero, c’è anche da scommetterci.
Ma naturalmente questo dubbio facciamo bene a tenercelo per noi, visto che dietro l’icona chiunque può fingersi ciò che non è.
Ma una buona volta, almeno adesso che sembriamo così responsabili e civili, facciamo una prova, e mettiamoli assieme questi attimi rubati, contiamoli, e il risultato sarà ragguardevole, forse, in molti casi spaventoso.
Perché anziché stare a sentire l’emozione di un tramonto crescere e serrarci il respiro, invece di cercare di capire dove risiede e da dove arriva quel brivido, scattiamo una foto e la mettiamo lì. Invece di sentire l’acquolina che sale in bocca, a tavola, prendiamo il piatto e lo mettiamo lì, lo mostriamo al mondo e al mondo diciamo: lo vedi? Non sono abbastanza bravo anch’io?
E ogni “mi piace” ci dà l’illusione di avere qualcuno seduto alla nostra tavola deserta, e a ogni commento di approvazione, è come se qualcuno bussasse alla porta di casa dove pare manchi sempre qualcosa.
Ma cos’è che ci manca veramente, qual è il vuoto e quanto è profondo per giustificare il continuo e ossessivo aggiornamento di stato?
Questa “ammucchiata partecipativa”, di cui parla il sociologo Geert Lovink che a dieci anni dal suo primo saggio lancia un secondo allarme con il libro “Ossessioni collettive”, quanto ci farà male?
Quanto siamo stretti, piegati e piagati, nell’affermazione di un “sé” che non è più deciso dal talento vero e proprio ma solo dall’incontro giusto e da un paio di retweet che ci danno l’illusione di cambiarci la vita?
Non mi va di levarmi su in alto ed elargire consigli o poetiche soluzioni, non posso, so di non avere l’autorevolezza né il carattere per farlo e anche perché, io per prima, ci sto dentro fino al collo. Semplicemente, sono alcune settimane che mi ripeto che così non va.
Credo di aver mancato troppi tramonti negli ultimi tre anni, troppe torte fatte in casa e corse, e sicuramente molto di più. E ho perso anche la nozione del tempo.
Facebook è stata la finestra da cui mostrare al mondo che valevo qualcosa.
In un momento in cui tutto crollava, la mia azienda, il matrimonio, il mio futuro, è stata un’illusione che mi ha aiutata, sì, ma mi ha anche fatto perdere lucidità e tempo.
FB ci dà solo la possibilità di provare con un clic di essere presenti, e di valere qualcosa in più, anche se la nostra vita così com’è ci soddisfa poco, perché poi, si sa che ciò che conta veramente non è l’approvazione di un post, ma continua a essere, e così sarà sempre, e giustamente, il riscontro effettivo, l’effetto reale delle nostre azioni sul vivere quotidiano.
FB non mi consente di dissentire, è una società virtuale tutta votata al positivo che ci costringe a essere compassionevoli per forza, comunque assai poco distante da twitter, dove migliaia di persone fanno a gara per scrivere qualcosa che sia più cool, più giusto, più divertente o più amaro degli altri.
Ma cosa cambia nelle nostre vite? Cosa ci sarà di diverso domani a parte qualche follower in più? Cosa sarà cambiato nel rapporto tra stato e cittadino.
Finora non mi pare che non abbiamo ribaltato il sistema né affossato lo strapotere delle banche. Questo, è un dato di fatto.
Fino ad oggi, a parte il consumo delle parole, anche le più belle e inusuali, e i Koan più complessi della tradizione zen ridotti a battute, mi pare che nulla sia cambiato.
È vero che il popolo del web organizza mobilitazioni, è vero che mostra solidarietà verso vittime innocenti e piange lacrime virtuali di fronte alle ingiustizie, ma succedeva anche prima e forse, l’effetto si consumava anche più lentamente.
Io confesso.
Sono stata presa nella rete, sono rimasta impigliata nelle maglie strettissime di questa falsa condivisione e al momento, mi pare anche che senza, il mondo rischierebbe di sparire all’improvviso ingoiato dai pixel.
Ma la verità, l’unica e tangibile, è che alla mia tavola siedono gli amici di sempre e che il mio blog riceve visite non da persone che cliccano “mi piace” ai miei post perché chi lo fa, compie atto di presenza, e basta. Come l’ospite invitato al vernissage che arriva imbellettato e solo per conoscere gente “che conta” e mangiare gratis al buffet. Chi condivide articoli senza nemmeno leggerli, non è troppo distante dal tizio che alla mia festa non vede l’ora di andarsene dopo aver bevuto cinque bicchieri di qualcosa ed essersi ingozzato di tartine.
Perché non siamo diventati più buoni, non siamo più impegnati socialmente, né più consapevoli.
La mia cultura e la mia consapevolezza vengono da lontano, da un mondo 0.0 e dalle ore che ho passato sui libri, e a teatro, e nei locali, ad ascoltare musica live. E anche quando siamo lì, oggi, tra la gente, nel mondo reale, mi domando perché continuiamo a sentirci in dovere di mettere al corrente il mondo su cosa facciamo, ciò che guardiamo, cosa mangiamo, chi vediamo.
È sempre un modo per affermarsi e mostrarsi, dimostrare a noi stessi, prima che agli altri, di essere ancora in vita.
Ci sentiamo vivi partecipando alle disgrazie altrui, ma sempre meno alle gioie e alle vittorie dell’altro, purtroppo, visto che questa realtà vive la frustrazione di un vero scollamento dal “friendly” cui siamo abituati on line, perché Zuk, ci ha dato l’illusione di poter giudicare chiunque e accedere ovunque quando poi, nella realtà, è sempre e solo la telefonata giusta che ci farà assumere da qualche parte o pubblicare da qualcuno.
Mi auguro soltanto, come ipotizza Lovink, che tra un po’ sarà molto poco cool controllare di continuo il proprio smartphone in pubblico.
lunedì 21 maggio 2012
In quale contesto sociale e politico si inserisce l'attentato di Brindisi?
Il dolore atroce che si rovescia sulla vita civile del nostro Paese, nel
giorno dell’attentato che ha profanato la gioventù di Brindisi, è ancora
una volta l’ingrediente sanguinario che puntualmente si inserisce
dall’ombra nei momenti cruciali della storia nazionale.
Le bombe che scoppiano fra la gente hanno sempre favorito lo stesso obiettivo: convalidare un restringimento della libertà in nome della sicurezza e disinnescare le possibilità di cambiamento democratico mentre si approntano nuovi equilibri.
L’attentato di Brindisi, un episodio che si aggiunge alla lunga serie del terrorismo stragista italiano, emerge come un evento di grande importanza perché si affaccia tragicamente in un crocevia di crisi politiche ed economiche che stanno ridisegnando la sovranità, i rapporti sociali e di potere, la forma stessa del sistema politico: esattamente come accadde in questi stessi giorni vent’anni fa, quando la strage di Capaci fu un fatto decisivo nel passaggio drammatico della nostra storia in cui crollava la cosiddetta Prima Repubblica, un momento di crisi che travolse vite, carriere, movimenti politici e speranze di rinnovamento, il tutto in mezzo a stragi, tensioni, ricatti, messaggi trasversali e misteri mai risolti, che hanno pregiudicato la vita democratica italiana nei vent’anni successivi.
Alla vigilia di un netto peggioramento della crisi, alla quale la tragedia economica delle Grecia sta per fare da innesco, l’entrata in scena di questa forma di violenza deve suscitare il massimo allarme democratico.
Non sfugge a nessuno il fatto che l’attentato stragista è perpetrato davanti a una scuola intitolata proprio a una delle vittime della strage di Capaci, Francesca Morvillo Falcone.
Così come non ci sfugge un’altra singolare coincidenza: è colpita per prima la città portuale italiana che funge da “porta della Grecia”, quasi ad aprire simbolicamente una nuova fase in cui convergeranno tutti i fattori di crisi.
Il governo Monti-Napolitano, che si è costituito per un grave deficit di democrazia e ha continuato ad agire su quella strada, appare come il meno adatto e il più pericoloso a gestire questa fase di crisi: recentemente, di fronte al crescere delle tensioni sociali aggravate dalle loro scelte politiche, i governanti hanno fatto presagire una militarizzazione della loro risposta, accompagnata da indiscriminati allarmi antiterrorismo.
Il laboratorio politico Alternativa fa appello ai movimenti, ai cittadini, a tutte le forze popolari che hanno a cuore la difesa della Costituzione, affinché vigilino e non cedano sulla difesa delle libertà fondamentali. Con l’obiettivo di avere un governo che non sia gravato dal deficit di democrazia.
Le bombe che scoppiano fra la gente hanno sempre favorito lo stesso obiettivo: convalidare un restringimento della libertà in nome della sicurezza e disinnescare le possibilità di cambiamento democratico mentre si approntano nuovi equilibri.
L’attentato di Brindisi, un episodio che si aggiunge alla lunga serie del terrorismo stragista italiano, emerge come un evento di grande importanza perché si affaccia tragicamente in un crocevia di crisi politiche ed economiche che stanno ridisegnando la sovranità, i rapporti sociali e di potere, la forma stessa del sistema politico: esattamente come accadde in questi stessi giorni vent’anni fa, quando la strage di Capaci fu un fatto decisivo nel passaggio drammatico della nostra storia in cui crollava la cosiddetta Prima Repubblica, un momento di crisi che travolse vite, carriere, movimenti politici e speranze di rinnovamento, il tutto in mezzo a stragi, tensioni, ricatti, messaggi trasversali e misteri mai risolti, che hanno pregiudicato la vita democratica italiana nei vent’anni successivi.
Alla vigilia di un netto peggioramento della crisi, alla quale la tragedia economica delle Grecia sta per fare da innesco, l’entrata in scena di questa forma di violenza deve suscitare il massimo allarme democratico.
Non sfugge a nessuno il fatto che l’attentato stragista è perpetrato davanti a una scuola intitolata proprio a una delle vittime della strage di Capaci, Francesca Morvillo Falcone.
Così come non ci sfugge un’altra singolare coincidenza: è colpita per prima la città portuale italiana che funge da “porta della Grecia”, quasi ad aprire simbolicamente una nuova fase in cui convergeranno tutti i fattori di crisi.
Il governo Monti-Napolitano, che si è costituito per un grave deficit di democrazia e ha continuato ad agire su quella strada, appare come il meno adatto e il più pericoloso a gestire questa fase di crisi: recentemente, di fronte al crescere delle tensioni sociali aggravate dalle loro scelte politiche, i governanti hanno fatto presagire una militarizzazione della loro risposta, accompagnata da indiscriminati allarmi antiterrorismo.
Il laboratorio politico Alternativa fa appello ai movimenti, ai cittadini, a tutte le forze popolari che hanno a cuore la difesa della Costituzione, affinché vigilino e non cedano sulla difesa delle libertà fondamentali. Con l’obiettivo di avere un governo che non sia gravato dal deficit di democrazia.
Tratto da: Brindisi e la democrazia | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/05/21/brindisi-e-la-democrazia/#ixzz1vU8K1ErQ
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
giovedì 10 maggio 2012
GLI SCANDALI DI EQUITALIA
Equitalia”, oltre ad applicare tassi di interesse pazzeschi (in pochi anni la cifra dovuta raddoppia, triplica…) strappa alle famiglie in difficoltà economica la casa, spesso pagata in anni e anni di rinunce e sacrifici:
Con le nuove normative approvate recentemente (in silenzio) Equitalia
potrà prelevare i soldi direttamente dai conti correnti, e pignorare le
case in SOLI 2 MESI dalla partenza delle procedure: (vedi articolo)
la cosa che fa ancora più schifo, viene le case dei poveri vengono
SVENDUTE all’asta, a qualche ricco speculatore (magari un evasore
fiscale che ricicla i soldi sporchi, anche tramite prestanome) che la
acquista a prezzo stracciato, per rivenderla con calma, al doppio: anche
se impiega 2,3 anni per venderla, è sempre un ottimo investimento…
Facciamo un esempio:
La tua casa vale 200.000 Euro:
con gli interessi di un mutuo ventennale, ne hai restituiti 350.000:
con gli interessi di un mutuo ventennale, ne hai restituiti 350.000:
Se la casa non viene venduta alla prima asta, viene ripetuta, e il
prezzo di partenza di abbassa di volta in volta: pertanto diventa una
prassi, che alla prima non venga mai venduta:
Alla prima asta, il prezzo di partenza è di 130.000: niente!
L’asta si ripete: partendo da 100.000….. niente!
alla terza asta, si parte da 70.000 … e viene venduta.
L’asta si ripete: partendo da 100.000….. niente!
alla terza asta, si parte da 70.000 … e viene venduta.
Poniamo che il tuo debito nei confronti di equitalia sia stato di
30.000 Euro: (magari l’importo dovuto è di 10.000 ma tra interessi e
penali, in qualche anno è arrivato a 30.000) per recuperarli, svendono
la tua casa a 70.000, dopodiché ti trattengono i 30.000 che devono, ti
addebitano le spese (dell’asta e delle pratiche) per un importo di
ulteriori 5.000 e ti restituiscono……….. 35.000 euro!
per sanare un debito iniziale di 10.000 Euro, ti hanno privato della
tua casa che hai pagato 350.000 euro, restituendoti 35.000 Euro: in
pratica, quel debito ti è costato la bellezza di 305.000 Euro, ovvero i
10.000 del debito iniziale sommati ai 35.000 che ti hanno restituito
dopo la vendita all’incanto.
UNA SOLA PAROLA: SCANDALOSO!
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