Il Cavaliere è ossessionato da quello che vent’anni fa fu il sogno di
Massimo D’Alema: vederlo chiedere l’elemosina all’angolo di via del
Corso. Il buon Silvio sarebbe preoccupato, ne avrebbe parlato anche con
Napolitano. Non ha superato la mazzata della sentenza Mondadori. E non a
caso sta svendendo quasi tutto il Milan.
Berlusconi di questi tempi grami avrebbe addirittura l’ossessione di
diventare povero. Sarebbe così ossessionato da averne messo a conoscenza
persino il Capo dello Stato, di cui peraltro non è data sapersi alcuna
reazione. Possiamo immaginarla, riproiettandola a diciotto anni fa,
quando quel simpaticone di Massimo D’Alema prefigurò, per il Cav., un
futuro in cui il medesimo sarebbe stato costretto a chiedere l’elemosina
all’angolo di via del Corso.
Se a distanza di quasi un ventennio l’argomento ritorna di
stretta attualità, almeno nell’animo più profondo di Silvio Berlusconi,
è perché – evidentemente – qualcosa è accaduto. Innanzitutto, di
concreto, quello che lui stesso considera uno scippo, quei seicento, o
giù di lì, milioni che gli ha sciroppato l’Ingegnere per la storia
(antichissima) della Mondadori. Quella sentenza è stata per lui un vero e
proprio trauma dal quale non si è più ripreso. Vero che c’è sempre la
Cassazione che potrebbe riportare nelle casse di Mediaset il poderoso
malloppo, ma già con il primo giudizio la grana pesante ha preso la via
della Cir, dove viene gelosamente custodita (e investita).
L’ossessione del Cav. di diventare povero ha
ovviamente stretta correlazione con la congiuntura del momento. Dovrebbe
farci perlomeno sorridere, noi spiantati e lui (ancora) straricco, e
invece qualche significato più recondito lo porta con sé. Ed è l’idea di
terrore. La sensazione, cioè, che non vi sia più nulla di logico che
possa tamponare (intellettualmente) il tracollo economico sotto gli
occhi di tutti, raccontato con enfasi sin troppo drammatica da tutti i
mezzi di informazione. Se ne siamo traumatizzati noi, che per paradosso
ne abbiamo da perdere molto meno, perché non dovrebbe esserlo lui, che
porta la responsabilità di una grandissima azienda? Ecco, perdere
l’azienda e diventare povero tutto d’un colpo. Il sogno di Massimo
D’Alema che si avvera con vent’anni di ritardo sulla tabella di marcia.
Un’azienda che come sappiamo, e come ci ha ripetuto
lo stesso Confalonieri, non se la passa benissimo. Un’azienda che non dà
più molti segni di modernità, un’azienda che allora nacque più giovane
delle altre, ma che è invecchiata infinitamente prima (delle altre). Non
si è rammodernata e francamente lo si vede soprattutto negli uomini. A
parte la fatica di dare una pedata nel sedere a Emilio Fede, alla verde
età di ottant’anni, ma poi in fondo il presentatore non fa testo.
Prendiamo gli altri, i dirigenti d’età più vispa. E prendiamo, a
paradigma di una certa condizione, la «contendibilità» dei dirigenti
Mediaset/Fininvest all’interno di un mercato più ampio. Praticamente
zero. Ormai, nel mondo dell’economia, è tutto un cacciare teste.
L’ultimo, Mario Greco per Generali. Da quanto non ricordate un dirigente
di Silvio Berlusconi che è stato strappato alle sue aziende con la
forza, con la potenza, con la struttura, della sua sola professione?
Quell’ossessione di diventare povero è
reale, vera, concreta. Lo si nota col Milan, dove sta andando in onda
solo una commedia e senza neppure gli equivoci. Si svende, ragazzi. Si
fa vergognosamente cassa. Adesso infiocchetta Ibra e lo spedisce
all’emiro del Psg. Peraltro meno male, un rompicoglioni in meno. Poi si
vorrebbe vendere anche l’unico buono che c’è, Thiago Silva, il
Barcellona preme.
Il pacchetto vale più o meno un centinaio di milioni. Che finirebbero
immediatamente sotto il lettone di Putin. Per ogni evenienza.
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