L’occasione
più “ghiotta” è stato l’attacco turco nel nord della Siria. Su quella,
il solerte algoritmo di feisbuc non ci ha “pensato” due volte ed è
prontamente ricorso alla mannaia, come successo nei giorni scorsi per Contropiano, Dinamopress, Infoaut
e altri siti, “colpevoli” di non voler tanto bene a Erdogan. Le guerre,
quando si fanno, si fanno per bene: ci si preoccupa di avere una sola e
unica voce in campo, quella di chi la guerra la scatena.
Succede così anche per le guerre non combattute (per ora), con le armi.
Era evidente che, quando lo scorso 19 settembre il parlamento europeo ha decretato, con il pronto “obbedisco” dei deputati italiani leghisti, fascisti, “democratici”, l’equiparazione di nazismo e comunismo, l’obiettivo non era certo, o quantomeno, non soltanto, una (con rispetto parlando) “rivisitazione storica”. I bravi eurodeputati gettano sì un’occhiata all’indietro, ma si occupano soprattutto di guardare avanti.
Se già da qualche anno in Polonia, nei Paesi baltici – tralasciamo il caso estremo dell’Ucraina nazi-golpista – si condannano persone che osino esibire in pubblico falce e martello, bandiere rosse o sovietiche, l’ignobile risoluzione di Bruxelles intenderebbe estendere un simile Ordnung anche agli altri paesi UE, vietando ideologia, simboli e monumenti comunisti.
In attesa che anche in Italia, zelanti Sindaci cambino i nomi alle migliaia di piazze e strade dedicate a partigiani comunisti (anche sovietici), o che i comunisti vengano messi fuori della legge borghese, l’indefesso algoritmo – o chi per lui – pensa bene di oscurare post in cui anche soltanto si dica di voler confrontare (presunti) falsi e (presunti) veri documenti dell’accordo di non aggressione tra Germania e URSS del 23 agosto 1939. Proprio quell’accordo con cui gli infami credono di poter mettere sullo stesso piano Germania hitleriana e Unione Sovietica, come pari responsabili dello scatenamento della Seconda guerra mondiale.
E dunque un semplice intervento di Aleksandr Sever, sul sito istoriki.su, ripreso da zen.yandex.ru, “non rispetta i nostri Standard della community” e quindi “non è visibile a nessun altro”, dal momento che lor signori hanno “creato questi standard per inibire pubblicità falsa, frodi e violazioni della sicurezza”, per impedire di “usare informazioni fuorvianti o non corrette”. Il post semplicemente scompare alla vista.
Si tratta, è vero, di un blocco temporaneo, appena un paio di giorni, ma che in ogni caso testimonia di come l’algoritmo sia “stranamente” sensibile a senso unico: oscura i temi che in qualche misura contraddicano la bibbia decretata a Bruxelles. Salvo poi essere in grado, tale sistema umano, di rendersi conto di “prendere abbagli” e quindi di “correggersi”… Beh, nemmeno a Bruxelles sono così cristianamente pronti a emendare i proprio sbagli!
In una molto estrema sintesi, cosa diceva la pubblicazione incriminata? Oltre a riprodurre i fac-simili dell’originale in lingua russa del cosiddetto “protocollo segreto” allegato al Patto di non aggressione (tra l’altro, pubblicati lo scorso agosto dal Ministero degli esteri russo, dato che sinora si conosceva soltanto la versione russa dell’originale in lingua tedesca), Sever si occupa di sbugiardare la rivista “Diletant”, già distintasi per aver pubblicato un falso manifesto riproducente nienetmeno che un “bombardamento tedesco-sovietico” su Londra.
Ora, invece, pare che sarebbero “tornati alla luce” degli “originali” del Patto Molotov-Ribbentrop: si diceva fossero andati tutti completamente distrutti in un bombardamento alleato, tranne il relativo microfilm, che poi sarebbe quello allegramente diffuso nel 1948 dal Dipartimento di Stato. Ora, invece, si dice che gli originali fossero sempre rimasti al sicuro negli archivi del Ministero degli esteri tedesco. Mah!
Sever mette in dubbio l’autenticità di parte dei documenti ora resi pubblici (lo hanno fatto per anni decine di storici, russi e non), basandosi sulle caratteristiche – timbro, sigillo, ceralacca, numeri di pagina, tipica bordatura dei fogli, ecc. – delle pagine riprodotte. Nulla di più. Lo scorso 14 agosto, la Società storica russa aveva presentato a Mosca il volume di materiali storici “URSS-Germania: 1932-1941”, sulla firma del Patto Molotov-Ribbentrop, messo a punto sulla base “Bollettino dell’Archivio presidenziale”. In esso vengono riprodotti anche i fac simili del Patto di non aggressione, per altro già ampiamente riportati anche nel libro “La coalizione anti-hitleriana. 1939 – formula di un fallimento”, pubblicato lo scorso aprile.
Nulla di nuovo, dunque; nulla di “eretico” nello scritto di Sever.
Ma all’algoritmo si è evidentemente impartito l’ordine di ridurre al silenzio ogni riferimento, esplicito o implicito, alla “verità rivelata” nella ignobile risoluzione del 19 settembre. Il prossimo, prevedibile passo, sarà forse quello di accusare la sola Unione Sovietica di aver scatenato la guerra e, una volta (disgraziatamente per qualcuno) vinta quella, di aver costretto gli USA a sganciare l’atomica sul Giappone. Guai a dubitarne.
Succede così anche per le guerre non combattute (per ora), con le armi.
Era evidente che, quando lo scorso 19 settembre il parlamento europeo ha decretato, con il pronto “obbedisco” dei deputati italiani leghisti, fascisti, “democratici”, l’equiparazione di nazismo e comunismo, l’obiettivo non era certo, o quantomeno, non soltanto, una (con rispetto parlando) “rivisitazione storica”. I bravi eurodeputati gettano sì un’occhiata all’indietro, ma si occupano soprattutto di guardare avanti.
Se già da qualche anno in Polonia, nei Paesi baltici – tralasciamo il caso estremo dell’Ucraina nazi-golpista – si condannano persone che osino esibire in pubblico falce e martello, bandiere rosse o sovietiche, l’ignobile risoluzione di Bruxelles intenderebbe estendere un simile Ordnung anche agli altri paesi UE, vietando ideologia, simboli e monumenti comunisti.
In attesa che anche in Italia, zelanti Sindaci cambino i nomi alle migliaia di piazze e strade dedicate a partigiani comunisti (anche sovietici), o che i comunisti vengano messi fuori della legge borghese, l’indefesso algoritmo – o chi per lui – pensa bene di oscurare post in cui anche soltanto si dica di voler confrontare (presunti) falsi e (presunti) veri documenti dell’accordo di non aggressione tra Germania e URSS del 23 agosto 1939. Proprio quell’accordo con cui gli infami credono di poter mettere sullo stesso piano Germania hitleriana e Unione Sovietica, come pari responsabili dello scatenamento della Seconda guerra mondiale.
E dunque un semplice intervento di Aleksandr Sever, sul sito istoriki.su, ripreso da zen.yandex.ru, “non rispetta i nostri Standard della community” e quindi “non è visibile a nessun altro”, dal momento che lor signori hanno “creato questi standard per inibire pubblicità falsa, frodi e violazioni della sicurezza”, per impedire di “usare informazioni fuorvianti o non corrette”. Il post semplicemente scompare alla vista.
Si tratta, è vero, di un blocco temporaneo, appena un paio di giorni, ma che in ogni caso testimonia di come l’algoritmo sia “stranamente” sensibile a senso unico: oscura i temi che in qualche misura contraddicano la bibbia decretata a Bruxelles. Salvo poi essere in grado, tale sistema umano, di rendersi conto di “prendere abbagli” e quindi di “correggersi”… Beh, nemmeno a Bruxelles sono così cristianamente pronti a emendare i proprio sbagli!
In una molto estrema sintesi, cosa diceva la pubblicazione incriminata? Oltre a riprodurre i fac-simili dell’originale in lingua russa del cosiddetto “protocollo segreto” allegato al Patto di non aggressione (tra l’altro, pubblicati lo scorso agosto dal Ministero degli esteri russo, dato che sinora si conosceva soltanto la versione russa dell’originale in lingua tedesca), Sever si occupa di sbugiardare la rivista “Diletant”, già distintasi per aver pubblicato un falso manifesto riproducente nienetmeno che un “bombardamento tedesco-sovietico” su Londra.
Ora, invece, pare che sarebbero “tornati alla luce” degli “originali” del Patto Molotov-Ribbentrop: si diceva fossero andati tutti completamente distrutti in un bombardamento alleato, tranne il relativo microfilm, che poi sarebbe quello allegramente diffuso nel 1948 dal Dipartimento di Stato. Ora, invece, si dice che gli originali fossero sempre rimasti al sicuro negli archivi del Ministero degli esteri tedesco. Mah!
Sever mette in dubbio l’autenticità di parte dei documenti ora resi pubblici (lo hanno fatto per anni decine di storici, russi e non), basandosi sulle caratteristiche – timbro, sigillo, ceralacca, numeri di pagina, tipica bordatura dei fogli, ecc. – delle pagine riprodotte. Nulla di più. Lo scorso 14 agosto, la Società storica russa aveva presentato a Mosca il volume di materiali storici “URSS-Germania: 1932-1941”, sulla firma del Patto Molotov-Ribbentrop, messo a punto sulla base “Bollettino dell’Archivio presidenziale”. In esso vengono riprodotti anche i fac simili del Patto di non aggressione, per altro già ampiamente riportati anche nel libro “La coalizione anti-hitleriana. 1939 – formula di un fallimento”, pubblicato lo scorso aprile.
Nulla di nuovo, dunque; nulla di “eretico” nello scritto di Sever.
Ma all’algoritmo si è evidentemente impartito l’ordine di ridurre al silenzio ogni riferimento, esplicito o implicito, alla “verità rivelata” nella ignobile risoluzione del 19 settembre. Il prossimo, prevedibile passo, sarà forse quello di accusare la sola Unione Sovietica di aver scatenato la guerra e, una volta (disgraziatamente per qualcuno) vinta quella, di aver costretto gli USA a sganciare l’atomica sul Giappone. Guai a dubitarne.
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