Unione
Europea, abolizione dei visti, aiuti umanitari, finanziamenti:
l’Ucraina nazi-golpista proclama dal 2014 tali “conquiste”, per cercare
di giustificare la propria bancarotta economica e sociale, ma
soprattutto militare, in Donbass.
Ma, sin dall’inizio si sapeva che tali “conquiste” avevano un prezzo: un prezzo che i cittadini ucraini hanno cominciato da subito a pagare, in termini di imposizioni di FMI, Banca Mondiale, UE, apripista dei concreti interessi occidentali nel paese.
Se prima del 2014 gli ucraini subivano le conseguenze della guerra per bande oligarchiche, occupate a spartirsi i resti del patrimonio sovietico, dopo il golpe neonazista, a questo, si sono aggiunti anche i debiti contratti a occidente.
Una delle cambiali che stanno venendo a scadenza (tra un anno esatto; ma già tra due settimane, è atteso a Kiev il “sopralluogo” del FMI) è quella della privatizzazione dei terreni ancora “di nessuno”, dettata dal FMI. Terreni ricchi, che fanno gola soprattutto ai monopoli agro-alimentari stranieri (statunitensi, britannici, russi, cinesi, olandesi, ecc.), che intanto, per aggirare le pastoie locali, possono benissimo “limitarsi” a imporre produzioni, seminativi, rotazioni, agli agricoltori locali.
Non a caso, l’Ucraina è uno dei pochissimi paesi al mondo ancora ricco di un’enorme estensione di terre nere molto fertili (si parla dell’8,7% mondiale) associate a un clima temperato, ideale per l’agricoltura. Oggi, circa 28 milioni di ettari sono in mano privata, suddivisi tra piccole o medie aziende locali, ma soprattutto accaparrati da grossi investitori, a loro volta controllati da trust stranieri (che così aggirano la moratoria sull’acquisto di terra: ad esempio, già nel 2015 l’americana Cargill deteneva oltre il 5% della più grossa holding agricola ucraina, la UkrLandFarming), mentre rimangono al demanio 14 milioni di ettari.
Con l’ulteriore, inevitabile, concentrazione fondiaria, gran parte della popolazione agricola – circa ¼ di quella totale – diverrebbe “superflua”. Ciò, indipendentemente dal fatto che, se oggi molti ucraini lavorano come braccianti nei campi polacchi o rumeni, per salari (quasi) polacchi o rumeni, la terra privatizzata, in mano alle grosse imprese ucraine o straniere, riporterebbe in “patria” quei braccianti: ovviamente, a ghiotti – per il padrone – salari ucraini.
Aleksandr Khaldej ricorda su iarex.ru che, a livello planetario, il 33% del suolo fertile è praticamente già inutilizzabile, a causa del passato cattivo sfruttamento; ciò non fa che accrescere gli appetiti non solo stranieri, ma anche dei clan regionali, sulla terra ucraina. La lotta a coltello tra famelici privatizzatori è così aspra che, già da diverso tempo, sono fermi alla Rada ben cinque disegni di legge diversi, ognuno dei quali patrocinato da altrettante cordate affaristiche, spinte sicuramente anche da “sponsor” stranieri.
Proprio ieri, uno dei leader della frazione parlamentare “Piattaforma d’opposizione” (secondo partito alla Rada, con 44 deputati, dietro ai 252 del partito presidenziale “Servo del popolo”) Jurij Bojko, ha chiesto un referendum sul tema. Né Banca Mondiale, né speculatori stranieri, ha detto Bojko, devono prender parte all’elaborazione del disegno di legge; “la terra è l’unica risorsa rimasta alla gente. Aprire la terra al mercato, senza un referendum, è un delitto contro il proprio popolo”. Ma sarà problematico controllare chi si nasconda dietro chi.
Detto questo, oggi gli ucraini sembrano comunque più preoccupati della storia che del presente. Pare abbia suscitato “sdegno” a Kiev il rifiuto della commissione parlamentare tedesca di accogliere la petizione avanzata dalla “comunità ucraina di Monaco”, affinché il Bundestag riconoscesse come “genocidio del popolo ucraino”, la carestia degli anni 1932-’33 che, dai tempi di Stepan Bandera e dei propagandisti goebbelsiani, viene definita “holodomor”.
Alla base della decisione del Bundestag pare siano in realtà non motivazioni di coerenza storica – la carestia, infatti, fu indotta dalla gravissima siccità del 1931, che colpì, più e peggio dell’Ucraina, vaste aree di Russia, Caucaso, Kazakhstan – ma limitati calcoli di bottega: Berlino teme che, una volta riconosciuto il “holodomor” – che’ i neo-banderisti imputano alla “malvagità di Stalin” – poi Kiev possa chiedere alla Germania stessa nuove riparazioni di guerra. I media ucraini, nota topwar.ru, sono così sdegnati, che accusano le autorità tedesche di “posizioni apertamente anti-ucraine, il che indica il continuo avvicinamento tra Berlino e Mosca“.
“Posizioni anti-ucraine” che Kiev imputa ora addirittura anche ai padrini yankee: ai neo-nazisti di “Azov” non è andata giù che una quarantina di congressisti USA abbiano chiesto al Dipartimento di Stato di inserire il reggimento nella lista delle “organizzazioni terroristiche straniere”, parlando di connessioni tra “Azov” e Brenton Tarrant, il terrorista australiano autore della sparatoria a Christchurch, in Nuova Zelanda, nel marzo scorso, vantatosi di essersi addestrato in Ucraina con “Azov”. Dopo di che, gli autori delle sparatorie a Powey, in California, e El Paso, in Texas, hanno dichiarato di essere stati influenzati dall’attacco di Christchurch: la “connessione tra ‘Azov’ e gli attacchi terroristici in America è ovvia “, affermano i deputati.
I nazisti rispondono che questo sarebbe un “attacco alla sovranità ucraina e alla sua sicurezza statale”, dal momento che, dicono, “Azov” è inquadrato nella Guardia nazionale, agli ordini del Ministero degli interni e dello Stato maggiore; la qual cosa, nota news-front.info, a loro parere li dovrebbe rendere quegli “eroi” dei mostri morali meno abietti.
Mica come “Pravyj Sektor” o la “Legione georgiana”, che dal 2015 al 2017 hanno contato nelle proprie file assassini e disertori – quali gli yankee Craig Lang e Alex Zwiefelhofer – “abili arruolati” per l’aggressione ucraina, insieme a riconosciuti mercenari georgiani che, con il benestare ufficiale di Tbilisi, sono inquadrati da cinque anni nelle bande naziste. Benché, quanto a fascisti stranieri, lo stesso reggimento “Azov” possa vantare anche italici camerati, come quelli che, pochi mesi fa, disponevano di un razzo aria-aria, da usarsi non certo contro qualche fascio-leghista governativo. Tutti, in compagnia di fascisti o islamisti da Russia, repubbliche caucasiche o centro-asiatiche ex sovietiche, wahhabisti ceceni o ingusci, veterani dei raggruppamenti islamisti mediorientali, che hanno fatto o fanno la spola tra Siria, Turchia e Ucraina.
Insomma, l’Ucraina golpista, con tutti gli annessi e connessi orpelli “ideologici” banderisti, va bene fintanto che i “patrioti” gridano solo contro la “aggressione russa” e servono gli interessi occidentali; per il resto, anche a ovest, di loro cominciano a esserne stanchi.
Ma, sin dall’inizio si sapeva che tali “conquiste” avevano un prezzo: un prezzo che i cittadini ucraini hanno cominciato da subito a pagare, in termini di imposizioni di FMI, Banca Mondiale, UE, apripista dei concreti interessi occidentali nel paese.
Se prima del 2014 gli ucraini subivano le conseguenze della guerra per bande oligarchiche, occupate a spartirsi i resti del patrimonio sovietico, dopo il golpe neonazista, a questo, si sono aggiunti anche i debiti contratti a occidente.
Una delle cambiali che stanno venendo a scadenza (tra un anno esatto; ma già tra due settimane, è atteso a Kiev il “sopralluogo” del FMI) è quella della privatizzazione dei terreni ancora “di nessuno”, dettata dal FMI. Terreni ricchi, che fanno gola soprattutto ai monopoli agro-alimentari stranieri (statunitensi, britannici, russi, cinesi, olandesi, ecc.), che intanto, per aggirare le pastoie locali, possono benissimo “limitarsi” a imporre produzioni, seminativi, rotazioni, agli agricoltori locali.
Non a caso, l’Ucraina è uno dei pochissimi paesi al mondo ancora ricco di un’enorme estensione di terre nere molto fertili (si parla dell’8,7% mondiale) associate a un clima temperato, ideale per l’agricoltura. Oggi, circa 28 milioni di ettari sono in mano privata, suddivisi tra piccole o medie aziende locali, ma soprattutto accaparrati da grossi investitori, a loro volta controllati da trust stranieri (che così aggirano la moratoria sull’acquisto di terra: ad esempio, già nel 2015 l’americana Cargill deteneva oltre il 5% della più grossa holding agricola ucraina, la UkrLandFarming), mentre rimangono al demanio 14 milioni di ettari.
Con l’ulteriore, inevitabile, concentrazione fondiaria, gran parte della popolazione agricola – circa ¼ di quella totale – diverrebbe “superflua”. Ciò, indipendentemente dal fatto che, se oggi molti ucraini lavorano come braccianti nei campi polacchi o rumeni, per salari (quasi) polacchi o rumeni, la terra privatizzata, in mano alle grosse imprese ucraine o straniere, riporterebbe in “patria” quei braccianti: ovviamente, a ghiotti – per il padrone – salari ucraini.
Aleksandr Khaldej ricorda su iarex.ru che, a livello planetario, il 33% del suolo fertile è praticamente già inutilizzabile, a causa del passato cattivo sfruttamento; ciò non fa che accrescere gli appetiti non solo stranieri, ma anche dei clan regionali, sulla terra ucraina. La lotta a coltello tra famelici privatizzatori è così aspra che, già da diverso tempo, sono fermi alla Rada ben cinque disegni di legge diversi, ognuno dei quali patrocinato da altrettante cordate affaristiche, spinte sicuramente anche da “sponsor” stranieri.
Proprio ieri, uno dei leader della frazione parlamentare “Piattaforma d’opposizione” (secondo partito alla Rada, con 44 deputati, dietro ai 252 del partito presidenziale “Servo del popolo”) Jurij Bojko, ha chiesto un referendum sul tema. Né Banca Mondiale, né speculatori stranieri, ha detto Bojko, devono prender parte all’elaborazione del disegno di legge; “la terra è l’unica risorsa rimasta alla gente. Aprire la terra al mercato, senza un referendum, è un delitto contro il proprio popolo”. Ma sarà problematico controllare chi si nasconda dietro chi.
Detto questo, oggi gli ucraini sembrano comunque più preoccupati della storia che del presente. Pare abbia suscitato “sdegno” a Kiev il rifiuto della commissione parlamentare tedesca di accogliere la petizione avanzata dalla “comunità ucraina di Monaco”, affinché il Bundestag riconoscesse come “genocidio del popolo ucraino”, la carestia degli anni 1932-’33 che, dai tempi di Stepan Bandera e dei propagandisti goebbelsiani, viene definita “holodomor”.
Alla base della decisione del Bundestag pare siano in realtà non motivazioni di coerenza storica – la carestia, infatti, fu indotta dalla gravissima siccità del 1931, che colpì, più e peggio dell’Ucraina, vaste aree di Russia, Caucaso, Kazakhstan – ma limitati calcoli di bottega: Berlino teme che, una volta riconosciuto il “holodomor” – che’ i neo-banderisti imputano alla “malvagità di Stalin” – poi Kiev possa chiedere alla Germania stessa nuove riparazioni di guerra. I media ucraini, nota topwar.ru, sono così sdegnati, che accusano le autorità tedesche di “posizioni apertamente anti-ucraine, il che indica il continuo avvicinamento tra Berlino e Mosca“.
“Posizioni anti-ucraine” che Kiev imputa ora addirittura anche ai padrini yankee: ai neo-nazisti di “Azov” non è andata giù che una quarantina di congressisti USA abbiano chiesto al Dipartimento di Stato di inserire il reggimento nella lista delle “organizzazioni terroristiche straniere”, parlando di connessioni tra “Azov” e Brenton Tarrant, il terrorista australiano autore della sparatoria a Christchurch, in Nuova Zelanda, nel marzo scorso, vantatosi di essersi addestrato in Ucraina con “Azov”. Dopo di che, gli autori delle sparatorie a Powey, in California, e El Paso, in Texas, hanno dichiarato di essere stati influenzati dall’attacco di Christchurch: la “connessione tra ‘Azov’ e gli attacchi terroristici in America è ovvia “, affermano i deputati.
I nazisti rispondono che questo sarebbe un “attacco alla sovranità ucraina e alla sua sicurezza statale”, dal momento che, dicono, “Azov” è inquadrato nella Guardia nazionale, agli ordini del Ministero degli interni e dello Stato maggiore; la qual cosa, nota news-front.info, a loro parere li dovrebbe rendere quegli “eroi” dei mostri morali meno abietti.
Mica come “Pravyj Sektor” o la “Legione georgiana”, che dal 2015 al 2017 hanno contato nelle proprie file assassini e disertori – quali gli yankee Craig Lang e Alex Zwiefelhofer – “abili arruolati” per l’aggressione ucraina, insieme a riconosciuti mercenari georgiani che, con il benestare ufficiale di Tbilisi, sono inquadrati da cinque anni nelle bande naziste. Benché, quanto a fascisti stranieri, lo stesso reggimento “Azov” possa vantare anche italici camerati, come quelli che, pochi mesi fa, disponevano di un razzo aria-aria, da usarsi non certo contro qualche fascio-leghista governativo. Tutti, in compagnia di fascisti o islamisti da Russia, repubbliche caucasiche o centro-asiatiche ex sovietiche, wahhabisti ceceni o ingusci, veterani dei raggruppamenti islamisti mediorientali, che hanno fatto o fanno la spola tra Siria, Turchia e Ucraina.
Insomma, l’Ucraina golpista, con tutti gli annessi e connessi orpelli “ideologici” banderisti, va bene fintanto che i “patrioti” gridano solo contro la “aggressione russa” e servono gli interessi occidentali; per il resto, anche a ovest, di loro cominciano a esserne stanchi.
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