Nel
bel mezzo delle polemiche che infuriano per gli incontri riservati tra
servizi segreti italiani e autorità statunitensi, il premier Giuseppe
Conte
– come a parlare di corda in casa dell’impiccato – ha partecipato alla
cerimonia per il giuramento delle nuove “barbe finte” del Sistema di
Informazione per la sicurezza della Repubblica, ossia i nuovi assunti
nei servizi segreti italiani.
Il
Presidente del Consiglio ha avuto parole di miele per l’intelligence
italiana. Secondo Conte “è il presidio della democrazia, non essendo
concepibile che si muova al di fuori del controllo parlamentare e dei
compiti che il Governo le assegna”. Il premier ha sottolineato poi che
“l’interesse nazionale è il perno dell’azione dei servizi”. Non ha
mancato di ribadire “l’ancoraggio dell’Italia alla comunità euroatlantica e a un multilateralismo
avveduto, aggiornato e realmente efficiente rappresentano per il nostro
Paese un punto di riferimento imprescindibile della proiezione
internazionale, come pure strumento migliore per far si che le logiche
cooperative si impongano e prevalgano su quelle competitive”.
Come
noto, fino ad oggi ed in entrambi i suoi governi, Conte ha la delega ai
servizi segreti. Una competenza che, alla luce degli incontri riservati
tra servizi italiani e autorità statunitensi, getta una ombra piuttosto
sconveniente sul premier. L’uso degli apparati dello Stato come fattore
di “facilitazione” nelle relazioni con un governo di un altro Stato e
del suo controverso presidente (Trump), indica una improvvisazione
irricevibile in un ambito per sua natura delicatissimo. Mettere il naso
negli affari interni di un altro paese (e di un paese peso massimo come
gli Usa) per facilitarne una componente (l’attuale amministrazione),
significa pregiudicarsi i rapporti in futuro qualora prevalga un altra
componente (i democratici). Insomma un errore che le vecchie volpi del
passato non avrebbero mai commesso.
Prima
di lui, e con analoga pervicacia, era stato Renzi a “improvvisare”
cercando uno stretto controllo di Palazzo Chigi sui servizi, fino a
cercare di infilare uno dei suoi fedelissimi amici e supporter, Marco
Carrai, ai vertici dei servizi. Una operazione che fu però stroncata dai
vertici dei servizi stessi per la sua invadenza e la sua
“inopportunità”. Insomma se su vicende come queste c’è qualcuno che
dovrebbe tacere, questi è proprio Renzi.
Sui contatti riservati – e non potrebbe essere altrimenti – tra la nostra intelligence e il General Attorney (ossia il ministro della giustizia) degli Usa William Barr, il presidente del consiglio si è detto pronto a riferire al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
Era agosto, quando a
Palazzo Chigi è arrivata una richiesta dall’ambasciata Usa con cui le
autorità statunitensi chiedevano di consentire al ministro Barr di
ottenere notizie su un controverso personaggio maltese Joseph Mifsud, professore alla altrettanto controversa Link University, che Washington considera legato al Russiagate e resosi irreperibile
da tempo. La Link University è una creatura di ex ministro
democristiano, Vincenzo Scotti, istituita nel 1999 come filiale
dell’università di Malta.
Secondo la presentazione che viene fatta è “un’Università dell’Ordinamento Universitario Italiano. Il Ministro
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, con proprio Decreto
del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (n. 374
del 21 settembre 2011) e previo parere favorevole dell’Agenzia nazionale
di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), ha
accreditato i Corsi di Laurea”. Ma, a seguito dell’istituzione
dell’Università degli Studi Link Campus University, “per assicurarne la
governance da parte di soggetti giuridici non più legati all’Università
di Malta, in data 1° agosto 2011 è stata costituita la Fondazione Link
Campus University, soggetto promotore dell’Università; i servizi
necessari al funzionamento generale dell’Ateneo e dei suoi Corsi di
Laurea sono garantiti da società dedicata”.
Secondo
l’inchiesta del procuratore Robert Mueller – il docente della Link
University, Joseph Mifsud, avrebbe rivelato a George Papadopoulos,
consigliere della campagna elettore di Trump, l’esistenza delle mail
compromettenti della sua rivale Hillary Clinton.
Ad
agosto il controverso personaggio diventato rilevante nella vicenda
Russiagate ha fornito una deposizione audio al Procuratore John Durham.
George Papadopoulos è un giovanissimo collaboratore della campagna
elettorale di Trump e viene presentato da Vincenzo Scotti a Mifsud
durante un master alla Link Campus. In incontri successivi Mifsud dice a
Papadopoulos che il Governo russo che lui rappresenta ha del “materiale
compromettente” sulla Clinton.
Secondo il giornalista investigativo statunitense John Solomon: “Mifsud
era un collaboratore di vecchia data dei servizi di intelligence
occidentali cui venne richiesto specificatamente dai suoi contatti alla
Link University di Roma e London Center of International Law Practice
(Lcilp) – due gruppi accademici legati alle diplomazie e servizi di
intelligence occidentali – di incontrare Papadopoulos a pranzo a Roma a
metà marzo 2016″. Solomon
afferma di aver ottenuto queste informazioni direttamente dall’avvocato
del professor Mifsud, Stephan Roh. L’avvocato sta cercando di
dimostrare al procuratore John Durham che il suo assistito è un
collaboratore dell’intelligence occidentale a cui è stato chiesto di
presentare Papadopoulos ai russi. In una intervista rilasciata circa due
anni fa a La Repubblica, Mifsud si limita ad ammettere che “Tutto
quello che ho fatto è favorire rapporti tra fonti non ufficiali, e tra
fonti ufficiali e non, per risolvere una crisi. Si fa in tutto il mondo.
Ho messo in contatto think- tank con think- tank, gruppi di esperti con
altri esperti”. Un linguaggio e categorie classiche di chi agisce nella
zona grigia dei servizi segreti.
Di
fronte alla richiesta statunitense, Conte questa estate ha autorizzato
il gen.Vecchione (capo del Dipartimento Sicurezza che coordina i servizi
segreti italiani) a ospitare Barr nella sede dei servizi segreti a
Roma, nella nuova sede in piazza Dante. Era stato un incontro
preliminare, a seguito del quale il gen.Vecchione ha poi organizzato una
riunione effettiva con Barr alla presenza dei vertici di Aisi (servizi
interni) e Aise (servizi per l’estero) cioè il prefetto Mario Parente e il generale Luciano Carta.
Adesso
Conte dovrà riferire al Copasir, affidato al leghista Raffaele Volpi
(ex sottosegretario alla Difesa durante il primo governo Conte).
Difficile prevedere se vorrà o saprà rendere più trasparente la zona
grigia – o meglio ancora il verminaio – in cui tutta questa vicenda
appare ben avviluppata.
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