Dopo una considerevole tempesta mediatica che da mesi impazza nel tourbillon dell’informazione
globale sono scattati i primi dazi all’Italia – da parte degli USA –
nell’ambito del più generale ciclo dazi e varie penalità nei confronti
dei paesi dell’Unione Europea.
Queste misure, a detta di Bankitalia,
“riguarderanno una quota relativamente limitata delle esportazioni
italiane verso gli Stati Uniti”, ma i cui “effetti indiretti potrebbero
essere significativi”. Per gli esperti di Via Nazionale sarebbero
colpite esportazioni italiane per 400 milioni di Euro, ma vanno
considerati anche gli effetti “trasmessi attraverso l’interscambio con i
nostri partner commerciali dell’area o mediante una possibile revisione
dei piani delle imprese”.
Non è bastata la visita a Washington di Mattarella per ammorbidire la posizione di Trump il quale, nel dichiarare che “prenderà in considerazione le rimostranze dell’amico italiano”. ha aggiunto: “L’Europa ha approfittato enormemente degli Stati Uniti, ma posso rimediare a questa situazione molto facilmente”.
Subito
dopo il Presidente USA si è appellato alla «reciprocità tra alleati»,
sia sul versante del commercio che su quello del rilancio della NATO,
chiedendo all’ospite di aumentare i contributi all’Alleanza Atlantica.
“L’Italia paga solo l’1% invece del 2% alla NATO, spero che aumenti le spese”,
ha detto il capo della Casa Bianca. Questa specie di manfrina per
evidenziare che se qualche elemento di flessibilità può essere concessa
agli “amici italiani” sul versante della guerra commerciale questa, poi,
dovrà essere compensata da un aumento delle spese militari ed una
rinnovata fedeltà atlantista.
Ritorna,
quindi, nella immanente dinamica del capitalismo internazionale, una
misura – i dazi ed il loro corollario di provvedimenti protezionistici –
che sembrava espunta dall’attuale dibattito finanziario ed economico
tipico della globalizzazione e relegata alla stregua di un vecchio orpello della letteratura economica ottocentesca.
Anzi, a dimostrazione che le tensioni commerciali sono oramai un dato acquisito della contemporaneità capitalistica (competizione interimperialistica)
il Fondo Monetario Internazionale, nelle settimane scorse, si è
affrettato a tagliare le stime di crescita del PIL mondiale e di
conseguenza anche quelle italiane che già mostravano indici e previsioni
ridicole.
Infatti
lo scorso 15 ottobre, all’apertura del meeting annuale del Fondo
Monetario e della Banca Mondiale (World Economic Outlook 2019) è stato
presentato un allarmato Rapporto dal titolo abbastanza netto e chiaro: “Manifattura globale in calo, barriere commerciale in aumento”
il quale fotografa l’accresciuta tensione tra aree monetarie, potenze
commerciali e blocchi valutari e registra una impennata nell’utilizzo, a
larga scala, dello strumento dei dazi e del vero e proprio
Protezionismo.
E’
evidente che siamo di fronte a convulsioni diplomatiche ed economiche,
ben oltre la nostrana pacchiana guerra del parmigiano o del prosecco, le
quali alludono sia ad una fase di ulteriori tensioni ma, soprattutto,
ad una progressiva modifica delle gerarchie economiche planetarie. Il
tutto dentro un contesto politico e geo/politico che presenta una larga
banda di oscillazione che alterna fasi di accordo a periodi di minacce
reciproche e tregue momentanee con altrettante esibizione/esternazione
di toni ultimativi tra i vari competitori di questa sfida mondiale.
Si
colloca in tale dinamica globale – con l’obiettivo di inquadrare la
fase che stiamo attraversando e le conseguenze che si producono a vario
titolo nei variegati campi della produzione e della riproduzione sociale
– la riflessione che la Rete dei Comunisti sta sollecitando e
che vedrà, nel prossimo Forum del 26 ottobre, a Roma, un interessante
momento di confronto ed approfondimento tra i comunisti, i movimenti di
lotta indipendenti e quanti sono interessati a discutere attorno a
questi snodi teorici e pratici i quali non sono collocati, unicamente,
nel cielo della teoria ma riverberano nella società e nelle agende
politiche generali.
Una discussione che come caratteristica dello stile di lavoro della RdC riveste un immediato compito politico/pratico!
Dazi,
guerre monetarie, politiche protezionistiche, competizioni economiche,
politiche e militari sono atti e strumenti di un ciclo temporale (di cui
non possiamo prevederne la durata) che abbiamo definito di “stallo degli Imperialismi”.
Chi
conosce la nostra elaborazione teorica sa che – da marxisti – siamo
distanti da ogni teorizzazione afferente ad improbabili “periodi di pace duratura sul piano globale”
anzi la permanenza del corso della crisi strutturale del capitalismo
conferma la tendenza generale allo “scontro tra potenze” con buona pace
delle fumisterie ideologiche di chi intravedeva una “governance mondiale del capitalismo”.
Non
possiamo però non registrare che – al momento – pur in presenza di un
accumularsi di tutte le contraddizioni tipiche del modo di produzione
capitalistico (nella sua maturità imperialistica) – il, relativo,
riequilibrio delle forze, tra i vari predoni imperialisti, evidenzia una
condizione che abbiamo definito “di stallo” in quanto non
prevale ancora nettamente, nello scenario internazionale e nei vari
quadranti di crisi, una egemonia unipolare (di “vecchio” o di “nuovo”
tipo) a tutto tondo.
Ma il Forum “Lo stallo degli Imperialismi” (http://lnx.retedeicomunisti.net/2019/10/04/dazi-monete-e-competizione-globale-lo-stallo-degli-imperialismi/) a cui invitiamo a partecipare vuole essere anche una conferma che l’obiettivo strategico della costruzione dell’alternativa di società non è una sterile petizione di principio o una esortazione da libro dei sogni ma è una necessità moderna ed attuale.
La
competizione globale, la guerra delle monete e l’uso dei dazi sono –
prima di tutto – un elemento fondante delle politiche di attacco alle
condizioni di vita dell’ umanità lavoratrice in un periodo storico in
cui ogni “valenza progressiva della globalizzazione/mondializzazione dei mercati” ha esaurito, da tanto tempo, ogni anelito di progresso e di civiltà.
Avanza
una profonda deriva antisociale mentre si moltiplicano, con una
crescente e sorprendente velocità, le evidenze di regressione materiale e
morale che questo sistema sta inducendo in ogni latitudine come
drammaticamente è dimostrato dalla diffusa e crescente preoccupazione
verso un possibile infarto ecologico del pianeta.
Il
rilancio di ciò che continuiamo a chiamare lotta per il Socialismo e
per il Comunismo resta per noi l’obiettivo strategico della riflessione
che prospettiamo e proponiamo e fonda la nostra azione militante a tutto
campo che sforziamo di delineare e sperimentare.
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