L’operazione
sarebbe avvenuta in modo ancora non rivelato, probabilmente con
l’intervento di elicotteri e commandos. Secondo le stesse fonti Usa, Al
Baghdadi si sarebbe fatto esplodere con un giubbotto da kamikaze,
portando con sé anche un paio di mogli.
Sui resti si starebbero conducendo i test del dna per verificare con certezza l’indentità dei cadaveri. Il capo dell’Isis era stato uno dei prigionieri a Guantanamo, quindi le agenzie di “sicurezza” degli Usa dispongono del suo dna originale.
Il resto è nella nebbia.
Fonti siriane, irachene e iraniane, presenti sul terreno (e che dispongono probabilmente di informatori all’interno della sacca di Idlib) confermano la morte di Al Baghdadi.
Quindi dovrebbe essere vera, visto che non corre certamente buon sangue tra loro e gli Usa.
Se così è, bisogna dire che Al Baghdadi ha percorso l’esatta traiettoria già compiuta a suo tempo da Osama Bin Laden, ucciso in un compound militare pakistano, controllato dai servizi segreti di quel paese (la Dina). Da alleato a nemico, da foraggiato a ricercato (ma fino ad un certo punto), e infine ucciso senza lasciare traccia.
Insomma, bisogna “fidarsi” di quel che dice il Pentagono così come ci si fida nell’accettare dollari come corrispettivo di qualche merce.
Se così, si conferma che è la Turchia – nell’area – ad assicurare la libertà operativa di un gran numero di gruppi jihadisti ufficialemente considerati “terroristi” dalla Nato e altri paesi occidentali. La “stranezza” sta nel fatto che la Turchia fa parte della Nato, così come il Pakistan è un caposaldo della presenza Usa tra India e Iran.
Gli interrogativi sulle ragioni di questa uccisioni possono coprire un vasto arco di “dietrologie”, anche di segno opposto.
Le uniche cose che ci sembrano indubbie riguardano l’abitudine statunitense ad eliminare le prove delle proprie porcate in vari teatri di guerra “sporca”. Lo fanno maldestramente, spesso, ma lo fanno sempre. Per restare solo alla Siria di questi anni, ricordiamo il bombardamento di un “cementificio”, usato dall’Isis in collaborazione con Francia e Gran Bretagna, subito dopo il ritiro delle truppe occidentali da quella zona.
Se, dopo anni, gli Usa si sono decisi a sbarazzarsi dell’ingombrante ex alleato, assicurandosi di farlo restare per sempre in silenzio, significa che gli equilibri nell’area stanno profondamente cambiando.
E’ noto che la Turchia è diventato un membro “alieno” della Nato. Prima per aver firmato contratti di acquisto di missili russi (anziché statunitensi), poi per aver stretto con Putin il “patto di Sochi” per controllare congiuntamente il Rojava, neutralizzando sia l’invasione turca che l’autonomia dei curdi.
In questo quadro, una serie di forze – fin qui utilissime nel tentativo di destabilizzare la Siria e mandare Assad a raggiungere Gheddafi e Saddam – diventano obbiettivamente un problema. E se la maggior parte di queste forze non sono né conosciute né credibili al di fuori di un cerchio ristretto, l’Isis e Al Baghdadi sono/erano invece una possibile “fonte interessante”.
Stante il mutamento di quadro intervenuto in quell’area, insomma, la morte del capo dell’Isis sarebbe una ciliegina sulla torta dell’accordo geopolitico tra grandi potenze e attori locali. Dunque, stavolta sembra più credibile dei precedenti annunci simili.
Sui resti si starebbero conducendo i test del dna per verificare con certezza l’indentità dei cadaveri. Il capo dell’Isis era stato uno dei prigionieri a Guantanamo, quindi le agenzie di “sicurezza” degli Usa dispongono del suo dna originale.
Il resto è nella nebbia.
Fonti siriane, irachene e iraniane, presenti sul terreno (e che dispongono probabilmente di informatori all’interno della sacca di Idlib) confermano la morte di Al Baghdadi.
Quindi dovrebbe essere vera, visto che non corre certamente buon sangue tra loro e gli Usa.
Se così è, bisogna dire che Al Baghdadi ha percorso l’esatta traiettoria già compiuta a suo tempo da Osama Bin Laden, ucciso in un compound militare pakistano, controllato dai servizi segreti di quel paese (la Dina). Da alleato a nemico, da foraggiato a ricercato (ma fino ad un certo punto), e infine ucciso senza lasciare traccia.
Insomma, bisogna “fidarsi” di quel che dice il Pentagono così come ci si fida nell’accettare dollari come corrispettivo di qualche merce.
Se così, si conferma che è la Turchia – nell’area – ad assicurare la libertà operativa di un gran numero di gruppi jihadisti ufficialemente considerati “terroristi” dalla Nato e altri paesi occidentali. La “stranezza” sta nel fatto che la Turchia fa parte della Nato, così come il Pakistan è un caposaldo della presenza Usa tra India e Iran.
Gli interrogativi sulle ragioni di questa uccisioni possono coprire un vasto arco di “dietrologie”, anche di segno opposto.
Le uniche cose che ci sembrano indubbie riguardano l’abitudine statunitense ad eliminare le prove delle proprie porcate in vari teatri di guerra “sporca”. Lo fanno maldestramente, spesso, ma lo fanno sempre. Per restare solo alla Siria di questi anni, ricordiamo il bombardamento di un “cementificio”, usato dall’Isis in collaborazione con Francia e Gran Bretagna, subito dopo il ritiro delle truppe occidentali da quella zona.
Se, dopo anni, gli Usa si sono decisi a sbarazzarsi dell’ingombrante ex alleato, assicurandosi di farlo restare per sempre in silenzio, significa che gli equilibri nell’area stanno profondamente cambiando.
E’ noto che la Turchia è diventato un membro “alieno” della Nato. Prima per aver firmato contratti di acquisto di missili russi (anziché statunitensi), poi per aver stretto con Putin il “patto di Sochi” per controllare congiuntamente il Rojava, neutralizzando sia l’invasione turca che l’autonomia dei curdi.
In questo quadro, una serie di forze – fin qui utilissime nel tentativo di destabilizzare la Siria e mandare Assad a raggiungere Gheddafi e Saddam – diventano obbiettivamente un problema. E se la maggior parte di queste forze non sono né conosciute né credibili al di fuori di un cerchio ristretto, l’Isis e Al Baghdadi sono/erano invece una possibile “fonte interessante”.
Stante il mutamento di quadro intervenuto in quell’area, insomma, la morte del capo dell’Isis sarebbe una ciliegina sulla torta dell’accordo geopolitico tra grandi potenze e attori locali. Dunque, stavolta sembra più credibile dei precedenti annunci simili.
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