Per molti anni l’approccio politico
dell’Italia verso la Cina è stato aperto, ma scettico, spesso ambiguo.
Oggi sta cambiando radicalmente. Permettetemi di riassumere i punti
principali di questa possibile transizione. L’Italia non ha riconosciuto
lo status di economia di mercato alla Cina nel 2016 ed è stata in prima
linea nelle crescenti critiche dell’UE legate agli investimenti esteri
cinesi, sostenendo la necessità di definire un regolamento per il loro
controllo. Ciononostante, l’Italia ha sempre riconosciuto l’importanza
dello sviluppo cinese e ha mostrato un enorme interesse per la Belt and
Road Initiative (BRI).
Negli ultimi anni, l’Italia è diventata
una delle principali destinazioni degli investimenti cinesi in Europa.
Ad esempio, Cassa Depositi e Prestiti (CDP), la banca italiana di
sviluppo, ha già costituito sinergie di successo con la Cina. Nel 2014,
la State Grid of China ha acquistato il 35% di CDP RETI, che controlla
le principali società italiane (Terna e Snam) nel settore della
trasmissione di energia. Nello stesso anno, Shanghai Electric
Corporation e Ansaldo Energia hanno firmato due accordi di joint
venture. Nel 2017, in occasione della visita di una delegazione
governativa italiana a Pechino, CDP e China Development Bank hanno
concordato di creare un nuovo strumento da € 100 milioni che investirà
nel capitale delle piccole e medie imprese italiane e cinesi. Questi
sono solo alcuni esempi importanti del dinamismo degli investimenti
cinesi negli ultimi anni. Non tutti gli accordi sono stati considerati
economicamente sostenibili, ma nel complesso l’Italia ha guadagnato da
questi flussi di capitali.
Il problema è che fino a pochi mesi fa
il paese non ha elaborato un piano o una strategia coerente. Questo è il
motivo principale per cui Michele Geraci, il nuovo sottosegretario al
Ministero dello Sviluppo Economico con vasta conoscenza sulla Cina e
sull’economia internazionale, ha recentemente affermato: “siamo molto
diversi dal precedente governo sulla Cina, e stiamo cercando di non
ignorare la Cina come è stato fatto in passato”. Il punto fondamentale
risiede nella mancanza di una strategia nazionale, a lungo termine, per
la Cina. Non è possibile trarre il massimo vantaggio da questa relazione
se non c’è un lavoro istituzionale costante per affrontare il
potenziale della BRI, oppure per negoziare accordi di investimento e
commerciali, senza definire priorità nazionali e così via. Ad esempio,
l’attuale governo sarà più cauto nei confronti dei tentativi dell’UE di
controllare gli investimenti dalla Cina (o altri paesi extra-Ue), dopo
anni di critiche verso importanti acquisizioni cinesi di asset europei.
Il governo ritiene che potremmo ottenere maggiori benefici da un
approccio sistemico verso la Cina e i suoi progetti internazionali. Le
nostre esportazioni verso la Cina stanno crescendo, anche perché le
importazioni cinesi sono in un trend positivo che durerà a lungo.
Dovremmo firmare accordi per penetrare ulteriormente i mercati di
consumo cinesi, che sono in forte espansione.
Francia, Germania e Regno Unito sono
progredite bene negli ultimi 20 anni, ma l’Italia è rimasta indietro.
Potremmo fare molto meglio. In effetti, il nuovo governo si sta muovendo
velocemente. In poche settimane, abbiamo avuto molte visite ufficiali
di alto livello e i leader del nuovo governo italiano sono entrambi
sulla stessa pagina per ciò che concerne l’interesse strategico
nazionale verso la Cina. L’Italia ha il diritto e il potenziale per
sfruttare meglio la sua posizione geografica nella BRI e offrire molti
canali di cooperazione.
Per questi motivi, il Ministero dello
Sviluppo Economico italiano ha istituito una task force sulla Cina con
rappresentanti delle comunità nazionali economiche, culturali,
finanziarie e politiche di entrambi i paesi. L’obiettivo è quello di
indagare su ciascun settore economico e su ciascuna questione di
cooperazione bilaterale al fine di fare sistema. La task force considera
i molteplici benefici che deriverebbero dal rafforzamento delle
relazioni Cina-Italia: investimenti, commercio, finanza pubblica,
occupazione, avanzamento tecnologico, cooperazione ecologica, sviluppo
internazionale ecc. Riassumendo i principali obiettivi, il governo
italiano si concentrerà su sei punti chiave: 1) promuovere l’ingresso di
capitale strategico e investimenti diretti greenfield in Italia; 2)
favorire gli investimenti cinesi in titoli di stato e società private;
3) promuovere l’export italiano in Cina e del turismo cinese in Italia;
4) assistere le imprese italiane nel settore agro-alimentare; 5)
facilitare l’espansione dell’economia verde in Cina e in Italia; 5)
aiutare le aziende italiane a connettersi con i programmi di
investimento cinesi finanziati dall’iniziativa Belt and Road; 6)
potenziare i meccanismi di collaborazione scientifica e ricerca e
sviluppo.
Non è un caso che durante le ultime
visite, l’Italia abbia confermato l’intenzione di cooperare con la Cina
nei paesi terzi, come quelli del continente africano. A tale riguardo,
un protocollo d’intesa firmato durante l’ultima visita è già un
risultato importante. Inoltre, alla fine dell’anno verrà firmato un
altro MoU per coinvolgere pienamente l’Italia nella BRI, in modo che
possa diventare il principale partner della Cina in Europa. Dobbiamo
adattarci al mondo che cambia in modo costruttivo.
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