La secessione reale che sta devastando il nostro paese da anni vede
aumentare sistematicamente le disuguaglianze sociali e territoriali.
A certificare quello che andiamo denunciando da anni, smascherando la retorica sulle “zone smart che trainano la crescita”, questa volta viene addirittura l’Ocse con il rapporto “Oecd: Regions and city at the glance 2018” (Regioni e città nello sguardo dell’Ocse 2018).
Il rapporto esamina i divari economici e sociali all’interno in una quarantina industrializzati rilevati dall’Ocse. Nel caso italiano il giudizio è pesante affermando che “le già ampie disuguaglianze economiche regionali sono aumentate un po’ negli ultimi sedici anni”, nel senso che le regioni più povere hanno perso ancora terreno. Magari sarà solo una coincidenza, ma lo hanno perso “negli ultimi sedici anni” cioè da quando nel 2000 è entrato in vigore formalmente l’euro (per la circolazione materiale occorrerà aspettare il 2002). Il Rapporto Ocse infatti prende in esame i dati fino al 2016.
Il dettaglio dell’indicatore temporale non poteva essere più preciso (avrebbero potuto dire gli ultimi venti anni o gli ultimi dieci) e in qualche modo conferma che quella decisione – entrare nella gabbia dell’Eurozona – ha accentuato le disuguaglianze sul piano sociale ma anche sul piano territoriale, allontanando tra loro le regioni che si sono legate al nucleo duro europeo e quelle che ne sono state via via centrifugate.
Secondo l’Ocse, l’Italia è il Paese industrializzato con le maggiori disparità tra regioni in termini di occupazione ed è al secondo posto per le disuguaglianze nella sicurezza. Ma ci sono divari ancora tra i più ampi nell’accesso ai servizi, nella casa, nella sanità, nell’ambiente, nella scuola e, di conseguenza, anche nelle condizioni e nelle aspettative generali di vita.
A livello di aree metropolitane, Milano è all’apice con un Pil pro-capite di quasi 62mila dollari, contro i 17.545 dollari della città più svantaggiata e su una media nazionale di 33.200 dollari. Il capoluogo lombardo è però bocciato per l’inquinamento e ha perso posizioni rispetto al 2000 in quanto a ricchezza rispetto alle altre aree metropolitane dell’area Ocse, così come è accaduto anche per Roma.
In termini di reddito disponibile l’area metropolitana più ricca in Italia risulta essere quella di Bologna con 35.200 dollari, in pratica i livelli dell’area metropolitana londinese, ed è il doppio dei 17mila euro scarsi di Palermo, una quota questa che è un terzo in meno rispetto alla media italiana e tra i più bassi delle aree metropolitane dell’Ocse in assoluto. Milano, resta l’area metropolitana più ricca d’Italia in termini di Pil pro capite, ma è solo 79esima tra le 329 aree metropolitane censite dall’Ocse, dopo avere perso 37 posizioni rispetto al 2000. Roma, che nel 2000 era nel 20% delle aree più ricche dell’Ocse, ha perso addirittura 78 posti, la performance peggiore tra le aree metropolitane
L’Italia, in compenso non è il paese al top per le maggiori disparità in materia di Pil pro capite (è quattordicesima sui 33 paesi aderenti all’Ocse).
Non sorprende che le disuguaglianze più profonde nei paesi Ocse siano nella patria dell’ultraliberismo: la Gran Bretagna. La City di Londra ha un Pil pro capite di 23 volte più alto di quello della sperduta isola di Anglesey (463mila dollari contro 19.800). Nella classifica subito dopo ci sono Usa, Germania, Francia, Svizzera e Olanda.
La divaricazione tra Nord e Meridione in Italia si ripropone, comunque, in quasi tutti gli aspetti presi in considerazione. Il lavoro resta il fattore dirimente a tutti i livelli: il tasso di disoccupazione dei giovani della Calabria, pari al 55,7% è tra i più alti dell’intera Ocse e livelli superiori al 50% affliggono anche Puglia, Campania e Sicilia, mentre a Bolzano i giovani senza lavoro sono il 10% (meno della media Ocse che è del 11%) e la media nazionale è del 34,7% nel 2017 (i dati di agosto 2018 la pongono al 31%). Il tasso di occupazione nel 20% delle regioni al top è del 70,3%, mentre nelle regioni più svantaggiate scende al 41%.
La disoccupazione tra i 15 e il 64 anni in Italia, sottolinea l’Ocse, varia tra un minimo del 6,3% e un massimo del 21,7%. L’Italia ha poi il terzo maggiore divario di genere nell’area per l’occupazione femminile, che registra in Sardegna la differenza più ampia (27 punti percentuali), a livelli della regione cilena del Maule. È invece la Campania ad avere il maggiore ‘gender gap’ della disoccupazione femminile (10,3), più alto anche della Grecia occidentale. Tra i paesi Ocse solo la regione turca dell’Anatolia fa di peggio.
Le condizioni abitative migliori in Italia si rilevano in Friuli Venezia Giulia, con 1,5 persone per stanza nel 2016, meglio che in Svezia, contro le 2 persone della Campania (2 persone, ma il dato è migliore di tanti altri Paesi anche scandinavi). La spesa per l’alloggio in Italia varia tra il 44% (più che a Oslo) e il 25% del reddito famigliare a seconda della regione e in ogni caso più della media Ocse che è circa del 20%.
Nel livello di istruzione il rapporto rileva che mentre nella provincia di Trento il 77% della forza lavoro ha almeno un titolo di istruzione secondaria, in Puglia la percentuale si ferma al 59%.
La salute, intesa come aspettativa di vita, è all’apice nella provincia di Trento, mentre la Campania si colloca sul lato opposto e negativo della graduatoria. “Tutte le regioni italiane – rileva il rapporto – hanno migliorato la loro posizioni in termini di salute dal 2000 in poi e sono ora nel 20% delle regioni più sane, eccetto la Campania e la Sicilia”. La Lombardia si colloca il primo posto per l’accesso ai servizi, misurato però sulla base dell’accesso alla banda larga, mentre la Calabria è il fanalino di coda.
Infine, in materia di sicurezza, la Val d’Aosta è tra le regioni più sicure dell’intera Ocse (con solo 0,4 omicidi per 100.000 persone), mentre la Sicilia è nel 10% meno sicuro (4,5 omicidi per 100.000 abitanti). La regione italiana con il maggior numero di furti d’auto è il Lazio (187 per 100mila abitanti), quella con il minor numero è la provincia di Trento (12 per 100mila persone), che è più sicura del Vermont e anche della Baviera (ma va detto che al primo posto assoluto c’è Berlino con 337 furti).
Guardando in controluce i dati contenuti in questo rapporto dell’Ocse, si conferma come la secessione reale ossia l’ordine di priorità nelle scelte economiche degli ultimi sei governi e la subalternità ai parametri imposti dall’Unione Europea/Eurozona, abbia accentuato enormemente il divario complessivo tra Nord e Meridione, ma soprattutto tra alcune regioni del Nord e il resto di un paese sempre più “meridionalizzato” dalle scelte della governance multivello (europeo, nazionale, locale) esercitata da Bruxelles e dai grandi gruppi multinazionali.
L’Italia è un paese che sta riproducendo una estesa periferia interna – funzionale all’esclusivo sviluppo di alcune aree del Nord integrate con la filiera tedesca – dentro una periferia ancora più estesa e con la medesima funzione prodotta da un modello coloniale a livello europeo.
A certificare quello che andiamo denunciando da anni, smascherando la retorica sulle “zone smart che trainano la crescita”, questa volta viene addirittura l’Ocse con il rapporto “Oecd: Regions and city at the glance 2018” (Regioni e città nello sguardo dell’Ocse 2018).
Il rapporto esamina i divari economici e sociali all’interno in una quarantina industrializzati rilevati dall’Ocse. Nel caso italiano il giudizio è pesante affermando che “le già ampie disuguaglianze economiche regionali sono aumentate un po’ negli ultimi sedici anni”, nel senso che le regioni più povere hanno perso ancora terreno. Magari sarà solo una coincidenza, ma lo hanno perso “negli ultimi sedici anni” cioè da quando nel 2000 è entrato in vigore formalmente l’euro (per la circolazione materiale occorrerà aspettare il 2002). Il Rapporto Ocse infatti prende in esame i dati fino al 2016.
Il dettaglio dell’indicatore temporale non poteva essere più preciso (avrebbero potuto dire gli ultimi venti anni o gli ultimi dieci) e in qualche modo conferma che quella decisione – entrare nella gabbia dell’Eurozona – ha accentuato le disuguaglianze sul piano sociale ma anche sul piano territoriale, allontanando tra loro le regioni che si sono legate al nucleo duro europeo e quelle che ne sono state via via centrifugate.
Secondo l’Ocse, l’Italia è il Paese industrializzato con le maggiori disparità tra regioni in termini di occupazione ed è al secondo posto per le disuguaglianze nella sicurezza. Ma ci sono divari ancora tra i più ampi nell’accesso ai servizi, nella casa, nella sanità, nell’ambiente, nella scuola e, di conseguenza, anche nelle condizioni e nelle aspettative generali di vita.
A livello di aree metropolitane, Milano è all’apice con un Pil pro-capite di quasi 62mila dollari, contro i 17.545 dollari della città più svantaggiata e su una media nazionale di 33.200 dollari. Il capoluogo lombardo è però bocciato per l’inquinamento e ha perso posizioni rispetto al 2000 in quanto a ricchezza rispetto alle altre aree metropolitane dell’area Ocse, così come è accaduto anche per Roma.
In termini di reddito disponibile l’area metropolitana più ricca in Italia risulta essere quella di Bologna con 35.200 dollari, in pratica i livelli dell’area metropolitana londinese, ed è il doppio dei 17mila euro scarsi di Palermo, una quota questa che è un terzo in meno rispetto alla media italiana e tra i più bassi delle aree metropolitane dell’Ocse in assoluto. Milano, resta l’area metropolitana più ricca d’Italia in termini di Pil pro capite, ma è solo 79esima tra le 329 aree metropolitane censite dall’Ocse, dopo avere perso 37 posizioni rispetto al 2000. Roma, che nel 2000 era nel 20% delle aree più ricche dell’Ocse, ha perso addirittura 78 posti, la performance peggiore tra le aree metropolitane
L’Italia, in compenso non è il paese al top per le maggiori disparità in materia di Pil pro capite (è quattordicesima sui 33 paesi aderenti all’Ocse).
Non sorprende che le disuguaglianze più profonde nei paesi Ocse siano nella patria dell’ultraliberismo: la Gran Bretagna. La City di Londra ha un Pil pro capite di 23 volte più alto di quello della sperduta isola di Anglesey (463mila dollari contro 19.800). Nella classifica subito dopo ci sono Usa, Germania, Francia, Svizzera e Olanda.
La divaricazione tra Nord e Meridione in Italia si ripropone, comunque, in quasi tutti gli aspetti presi in considerazione. Il lavoro resta il fattore dirimente a tutti i livelli: il tasso di disoccupazione dei giovani della Calabria, pari al 55,7% è tra i più alti dell’intera Ocse e livelli superiori al 50% affliggono anche Puglia, Campania e Sicilia, mentre a Bolzano i giovani senza lavoro sono il 10% (meno della media Ocse che è del 11%) e la media nazionale è del 34,7% nel 2017 (i dati di agosto 2018 la pongono al 31%). Il tasso di occupazione nel 20% delle regioni al top è del 70,3%, mentre nelle regioni più svantaggiate scende al 41%.
La disoccupazione tra i 15 e il 64 anni in Italia, sottolinea l’Ocse, varia tra un minimo del 6,3% e un massimo del 21,7%. L’Italia ha poi il terzo maggiore divario di genere nell’area per l’occupazione femminile, che registra in Sardegna la differenza più ampia (27 punti percentuali), a livelli della regione cilena del Maule. È invece la Campania ad avere il maggiore ‘gender gap’ della disoccupazione femminile (10,3), più alto anche della Grecia occidentale. Tra i paesi Ocse solo la regione turca dell’Anatolia fa di peggio.
Le condizioni abitative migliori in Italia si rilevano in Friuli Venezia Giulia, con 1,5 persone per stanza nel 2016, meglio che in Svezia, contro le 2 persone della Campania (2 persone, ma il dato è migliore di tanti altri Paesi anche scandinavi). La spesa per l’alloggio in Italia varia tra il 44% (più che a Oslo) e il 25% del reddito famigliare a seconda della regione e in ogni caso più della media Ocse che è circa del 20%.
Nel livello di istruzione il rapporto rileva che mentre nella provincia di Trento il 77% della forza lavoro ha almeno un titolo di istruzione secondaria, in Puglia la percentuale si ferma al 59%.
La salute, intesa come aspettativa di vita, è all’apice nella provincia di Trento, mentre la Campania si colloca sul lato opposto e negativo della graduatoria. “Tutte le regioni italiane – rileva il rapporto – hanno migliorato la loro posizioni in termini di salute dal 2000 in poi e sono ora nel 20% delle regioni più sane, eccetto la Campania e la Sicilia”. La Lombardia si colloca il primo posto per l’accesso ai servizi, misurato però sulla base dell’accesso alla banda larga, mentre la Calabria è il fanalino di coda.
Infine, in materia di sicurezza, la Val d’Aosta è tra le regioni più sicure dell’intera Ocse (con solo 0,4 omicidi per 100.000 persone), mentre la Sicilia è nel 10% meno sicuro (4,5 omicidi per 100.000 abitanti). La regione italiana con il maggior numero di furti d’auto è il Lazio (187 per 100mila abitanti), quella con il minor numero è la provincia di Trento (12 per 100mila persone), che è più sicura del Vermont e anche della Baviera (ma va detto che al primo posto assoluto c’è Berlino con 337 furti).
Guardando in controluce i dati contenuti in questo rapporto dell’Ocse, si conferma come la secessione reale ossia l’ordine di priorità nelle scelte economiche degli ultimi sei governi e la subalternità ai parametri imposti dall’Unione Europea/Eurozona, abbia accentuato enormemente il divario complessivo tra Nord e Meridione, ma soprattutto tra alcune regioni del Nord e il resto di un paese sempre più “meridionalizzato” dalle scelte della governance multivello (europeo, nazionale, locale) esercitata da Bruxelles e dai grandi gruppi multinazionali.
L’Italia è un paese che sta riproducendo una estesa periferia interna – funzionale all’esclusivo sviluppo di alcune aree del Nord integrate con la filiera tedesca – dentro una periferia ancora più estesa e con la medesima funzione prodotta da un modello coloniale a livello europeo.
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