Le voci giravano ormai da qualche anno ma ieri è arrivata la
legittimazione della verità giudiziaria a supportarle. La mafia
calabrese è presente anche in Veneto. Forte, ramificata ed
incredibilmente efficiente. Sono state inflitte condanne per un totale
di 24 anni di reclusione a tre calabresi stabilmente trapiantati a
Verona. Le sentenze arrivano nel contesto del più vasto processo Aemilia
portato avanti dalla Corte di Assise di Bologna. Le indagini del
Dipartimento Investigativo Antimafia hanno appurato che vi era un
intricato sistema di riciclaggio fondato sulla collaborazione, più o
meno spontanea, di numerose aziende Veronesi. Alcune di esse erano anche
state abbastanza recentemente cancellate dai registri della Camera di
Commercio, probabilmente al fine di eludere i controlli. Il giro di
riciclaggio vedeva le aziende coinvolte utilizzate come “recipienti” per
gli enormi flussi di liquidità, proventi di numerose attività illecite
portate avanti dai clan.
Il fatto che la mafia fosse arrivata al nord non è ormai più una novità per nessuno. Già ai tempi dei soggiorni obbligati di boss del calibro di Pippo Calò si era creato un efficiente meccanismo che vedeva le ricche ed efficienti imprese del nord quali collaboratrici indirette delle cosche mafiose, dedite al riciclaggio e, talvolta al diretto controllo dei boss. Una risorsa indispensabile per potersi inserire con un aura di rispettabilità nel cosiddetto “giro” degli appalti, un termine quanto mai icastico dal momento che ad aggiudicarseli sono sempre gli stessi. Alcuni mesi fa è stato portato alla luce dalla Procura di Milano una vasta rete di riciclaggio avente per proprio epicentro la Lombardia. L’indagine vide coinvolti anche alcuni professionisti “insospettabili” dediti a facilitare la posta in essere di queste attività.
Ciò che emerge dal processo di Bologna tuttavia è sintomo di unno sviluppo purtroppo conosciuto, prevedibile ma comunque estremamente dannoso. Il silenzio dei riflettori sulla ‘ndrangheta è stato pressoché completo in seguito alle condanne relative alla strage di Duisburg, culmine della pluriennale faida di San Luca che vide contrapporsi i clan Strangio- Nirta ai clan Pelle-Vottari in una carneficina che lasciò sull’asfalto 14 morti delle rispettive famiglie, fra i quali Maria Strangio, moglie di Giovanni Nirta, la donna venne uccisa per sbaglio, il reale obiettivo dei killer era il marito che invece fu in grado di sopravvivere all’agguato. Le indagini della Polizia Criminale Federale tedesca, coordinate con la Squadra Mobile di Reggio Calabria furono in grado di individuare e avvicinarsi a comprendere lo sviluppo e l’incredibile ed intricata ramificazione di quello che lo scrittore Roberto Saviano definì “albero”.
Una quercia enorme e silenziosa che cresce in maniera estremamente lenta, anche quando si avventura fuori dai propri territori natali, l’Aspromonte, la Piana di Gioia Tauro e la Provincia di Reggio Calabria, per arrivare fino alle spiagge di Miami, rimane attaccata alle proprie radici contadine e rurali. Rimarranno negli annali le intercettazioni telefoniche del capobastone calabrese che chiedeva al proprio emissario in Florida di smettere di comprare case a Miami dal momento che la ndrina in questione stava arrivando a controllare quasi un terzo degli immobili della città. “L’Onorata Società” è arrivata a colpire anche in Australia uccidendo il capo della Polizia Federale Colin Winchester nel 1989 e l’attivista Donald Mackay nel 1977. L’Hounored Society è ormai divenuta a tutti gli effetti una multinazionale del malaffare in grado di superare i propri confini ma ricordando sempre le proprie radici. Divenire moderne senza disperdere e scordare la propria natura, il proprio “codice d’onore” e la propria profonda vocazione associativa e familiare.
Nonostante la diffusione nei più lontani angoli del globo e la sua presenza stabile e massiccia in qualunque nevralgico punto di interesse economico- finanziario l’Italia, il suo nord prospero, la legislazione nostrana carente e la Calabria rimangono tuttora la combinazione di fattori ideale per la crescita del“albero”. L’Italia del Nord, soprattutto all’età della crisi economica che porta le medie imprese a ritrovarsi alla disperata ricerca di liquidità offre i presupposti ideali per l’inserimento silenzioso, progressivo e determinato della realtà ndranghetista all’interno del tessuto imprenditoriale. Il crescente malessere che vive la borghesia del nord-est, caratterizzato dalla crisi dei consumi e dall’eccessiva pressione fiscale, la situazione risulta altamente prodromico allo sviluppo di un legame indissolubile con un organizzazione che offre denaro liquido e protezione in cambio di favori e copertura per i capitali apportati dai boss.
Un fenomeno prima di tutto sociologico ed economico che criminale. In un Paese dove la Mafia e l’associazione mafiosa hanno rappresentato per anni un fattore purtroppo troppo spesso “culturale” non ci si può che mostrare preoccupati di fronte alla contaminazione progressiva dell’imprenditorialità settentrionale da parte di forme di malaffare considerate per anni marginali e rilegate alle regioni del sud. Già ai tempi di Felice Maniero ci si cominciò ad accorgere che anche il Veneto, per anni considerato il “Sud del Nord” non era assolutamente impermeabile a fenomeni omertosi tipici di altre realtà, caratterizzate dal persistere del malessere economico. Archiviati gli anni del benessere e del miracolo economico le difficoltà economiche stanno progressivamente trasformando il volto del nord-est facendo emergere uno scenario allarmante caratterizzato l’affermarsi di nuove istanze nazionaliste e indipendentiste. Chiaramente la soluzione a questo problema non può essere esclusivamente giudiziaria e del resto nemmeno una redenzione morale sarà sufficiente a dare sufficiente evidenza alla strada da percorrere per invertire questa pericolosa tendenza. Sarà un deciso intervento di politica sociale. Da sempre auspicato per un sud sempre più ghettizzato nella povertà e la miseria. Ad evitare il sorgere del contesto che porta all’infiltrazione mafiosa. Del resto la mafia ha ormai definitivamente dimostrato di non conoscere confini e barriere, cosa rara visti i tempi che corrono. Molto recente è infatti la notizia del comune emiliano di Brescello, sciolto per infiltrazioni di ‘ndrangheta e commissariato. Come al solito sarà la società civile e un popolo sempre più tartassato a pagare le conseguenze della recrudescenza del fenomeno ‘ndranghetista. La pianta è ormai cresciuta, fa ombra alla penisola. Anche alle pianure del nord-est.
Il fatto che la mafia fosse arrivata al nord non è ormai più una novità per nessuno. Già ai tempi dei soggiorni obbligati di boss del calibro di Pippo Calò si era creato un efficiente meccanismo che vedeva le ricche ed efficienti imprese del nord quali collaboratrici indirette delle cosche mafiose, dedite al riciclaggio e, talvolta al diretto controllo dei boss. Una risorsa indispensabile per potersi inserire con un aura di rispettabilità nel cosiddetto “giro” degli appalti, un termine quanto mai icastico dal momento che ad aggiudicarseli sono sempre gli stessi. Alcuni mesi fa è stato portato alla luce dalla Procura di Milano una vasta rete di riciclaggio avente per proprio epicentro la Lombardia. L’indagine vide coinvolti anche alcuni professionisti “insospettabili” dediti a facilitare la posta in essere di queste attività.
Ciò che emerge dal processo di Bologna tuttavia è sintomo di unno sviluppo purtroppo conosciuto, prevedibile ma comunque estremamente dannoso. Il silenzio dei riflettori sulla ‘ndrangheta è stato pressoché completo in seguito alle condanne relative alla strage di Duisburg, culmine della pluriennale faida di San Luca che vide contrapporsi i clan Strangio- Nirta ai clan Pelle-Vottari in una carneficina che lasciò sull’asfalto 14 morti delle rispettive famiglie, fra i quali Maria Strangio, moglie di Giovanni Nirta, la donna venne uccisa per sbaglio, il reale obiettivo dei killer era il marito che invece fu in grado di sopravvivere all’agguato. Le indagini della Polizia Criminale Federale tedesca, coordinate con la Squadra Mobile di Reggio Calabria furono in grado di individuare e avvicinarsi a comprendere lo sviluppo e l’incredibile ed intricata ramificazione di quello che lo scrittore Roberto Saviano definì “albero”.
Una quercia enorme e silenziosa che cresce in maniera estremamente lenta, anche quando si avventura fuori dai propri territori natali, l’Aspromonte, la Piana di Gioia Tauro e la Provincia di Reggio Calabria, per arrivare fino alle spiagge di Miami, rimane attaccata alle proprie radici contadine e rurali. Rimarranno negli annali le intercettazioni telefoniche del capobastone calabrese che chiedeva al proprio emissario in Florida di smettere di comprare case a Miami dal momento che la ndrina in questione stava arrivando a controllare quasi un terzo degli immobili della città. “L’Onorata Società” è arrivata a colpire anche in Australia uccidendo il capo della Polizia Federale Colin Winchester nel 1989 e l’attivista Donald Mackay nel 1977. L’Hounored Society è ormai divenuta a tutti gli effetti una multinazionale del malaffare in grado di superare i propri confini ma ricordando sempre le proprie radici. Divenire moderne senza disperdere e scordare la propria natura, il proprio “codice d’onore” e la propria profonda vocazione associativa e familiare.
Nonostante la diffusione nei più lontani angoli del globo e la sua presenza stabile e massiccia in qualunque nevralgico punto di interesse economico- finanziario l’Italia, il suo nord prospero, la legislazione nostrana carente e la Calabria rimangono tuttora la combinazione di fattori ideale per la crescita del“albero”. L’Italia del Nord, soprattutto all’età della crisi economica che porta le medie imprese a ritrovarsi alla disperata ricerca di liquidità offre i presupposti ideali per l’inserimento silenzioso, progressivo e determinato della realtà ndranghetista all’interno del tessuto imprenditoriale. Il crescente malessere che vive la borghesia del nord-est, caratterizzato dalla crisi dei consumi e dall’eccessiva pressione fiscale, la situazione risulta altamente prodromico allo sviluppo di un legame indissolubile con un organizzazione che offre denaro liquido e protezione in cambio di favori e copertura per i capitali apportati dai boss.
Un fenomeno prima di tutto sociologico ed economico che criminale. In un Paese dove la Mafia e l’associazione mafiosa hanno rappresentato per anni un fattore purtroppo troppo spesso “culturale” non ci si può che mostrare preoccupati di fronte alla contaminazione progressiva dell’imprenditorialità settentrionale da parte di forme di malaffare considerate per anni marginali e rilegate alle regioni del sud. Già ai tempi di Felice Maniero ci si cominciò ad accorgere che anche il Veneto, per anni considerato il “Sud del Nord” non era assolutamente impermeabile a fenomeni omertosi tipici di altre realtà, caratterizzate dal persistere del malessere economico. Archiviati gli anni del benessere e del miracolo economico le difficoltà economiche stanno progressivamente trasformando il volto del nord-est facendo emergere uno scenario allarmante caratterizzato l’affermarsi di nuove istanze nazionaliste e indipendentiste. Chiaramente la soluzione a questo problema non può essere esclusivamente giudiziaria e del resto nemmeno una redenzione morale sarà sufficiente a dare sufficiente evidenza alla strada da percorrere per invertire questa pericolosa tendenza. Sarà un deciso intervento di politica sociale. Da sempre auspicato per un sud sempre più ghettizzato nella povertà e la miseria. Ad evitare il sorgere del contesto che porta all’infiltrazione mafiosa. Del resto la mafia ha ormai definitivamente dimostrato di non conoscere confini e barriere, cosa rara visti i tempi che corrono. Molto recente è infatti la notizia del comune emiliano di Brescello, sciolto per infiltrazioni di ‘ndrangheta e commissariato. Come al solito sarà la società civile e un popolo sempre più tartassato a pagare le conseguenze della recrudescenza del fenomeno ‘ndranghetista. La pianta è ormai cresciuta, fa ombra alla penisola. Anche alle pianure del nord-est.
Nessun commento:
Posta un commento