Il punto è semplice: la longevità delle popolazioni occidentali –
ossia il famoso “allungamento delle aspettative di vita” – mette a
rischio i bilanci degli stati più sviluppati.
Il Fmi arriva a questa affermazione “di sguincio”, per vie traverse, quando prova a spiegare che “nessun asset può essere considerato veramente sicuro”. Che rapporto c’è tra investimenti finanziari e vecchiaia delle popolazioni? Quello tra affidabilità dei titoli di stato e, appunto, spesa pubblica dedicata agli istituti del welfare (pensioni, sanità, assistenza, istruzione). Silenzio assoluto sulla spesa militare, evidentemente considerata “utile” (“produttiva” sarebbe troppo anche un neoliberista integralista).
Di recente le principali agenzie di rating (tutte statunitensi) hanno deciso un downgrade di titoli fin qui considerati sicuri, “virtualmente privi di rischio”, come i Bund tedeschi o i Treasury americani. Beni rifugio er eccellenza, che sembravano in grado di scalzare – in questo ruolo – persino il tradizionale oro (che infatti si è rivalutato del 20% in pochi mesi).
Si comprende facilmente che questi downgrade hanno seriamente preoccupato gli “investitori professionali” (fondi speculativi, fondi pensione, risparmio gestito, hedge fund, ecc), che stanno dirottando altrove i propri investimenti o sono in procinto di farlo. Con ovvie e serissime conseguenze sulla stabilità degli stessi mercati finanzairi e conseguentemente anche per i bilanci stessi degli stati (quando cala l’affidabilità di un titolo, il prezzo scende; e di conseguenza sale il rendimento, ossia gli interessi che uno Stato deve pagare).
Il Fmi sottolinea inoltre che “l’offerta di asset sicuri è diminuita di pari passo alla capacità del settore pubblico e privato di produrre asset di questo tipo”. E la causa principale è individuata, dagli imperturbabili criminali alla guida del Fmi, nella longevità “eccessiva” delle relative popolazioni. “Se l’aspettativa di vita media crescesse di tre anni più di quanto atteso ora entro il 2050, i costi potrebbero aumentare di un ulteriore 50%.
E quindi i debiti pubblici potrebbero essere in varia misura sottoposti a una dinamica crescente. Il Fmi si preoccupa di non apparire tendenzialmente stragista, e cerca di trovare le parole più tranquillizzanti: che le persone vivono più a lungo è “molto desiderabile”, così come il fatto che lo sviluppo “abbia aumentato il benessere individuale”. Purtroppo, dicono i “tecnici di Christine agarde, questo ha fatto aumentare i costi in termini di piani pensionistici e assistenza sanitaria.
Il rischio è considerato “notevole” sia per quanto riguarda la sostenibilità fiscale (potrebbe fare aumentare il rapporto debito/pil), sia sul fronte della solvibilità di istituti finanziari e fondi pensione.
Queste dinamiche “potrebbero avere un ampio effetto negativo su settori pubblici e privati già indeboliti, rendendoli più vulnerabili ad altri shock e potenzialmente minando la stabilità finanziaria”. Il che, non sia mai detto, potrebbe “complicare gli sforzi fatti in risposta alle attuali difficoltà fiscali”.
Ma il Fondo sta lì per dare soluzioni, non per pettinare le bambole, e quindi “serve una combinazione di aumento dell’età pensionabile di pari passo con l’aumento dell’aspettativa di vita, più alti contributi pensionistici e una riduzione dei benefit da pagare“.
Quello che non è detto esplicitamente dal Fmi è che questa longevità va ridotta (è “desiderabile, ma costosa”) per aiutare gli “investitori professionali” a trovare degli asset più affidabili.
Dovete morire prima, abbiamo da tempo sintetizzato con questo slogan l’insieme di “ricette economiche” provenienti dalla Troika, che non hanno – all’evidenza – nulla a che spartire con la “tecnica” e moltissimo con le politiche.
Sul fatto che la maggiore longevità comporti costi maggiori non ci può essere dubbio. Oltre una certa età un essere umano non ouò e non deve essere obbligato a lavorare, quindi la collettività si deve assumere l’onere del suo mantenimento in vita in condizioni dignitose (nulla di straordinario, è previsto anche dalla Costituzione nata dalla resistenza). La questione non riguarda insomma se la longevità sia un costo o no, ma esclusivamente quale parte della società (quali classi) devono pagare questo costo. Per il Fmi lo devono pagare soltanto i lavoratori dipendenti (“più alti contributi pensionistici“) e i pensionati stessi (“più alti contributi pensionistici“, ossia pensioni ancora più basse). E se neanche questo basta – e non può bastare, se dal pagamento del prezzo vengono esentati gli “investitori professionali” e tutte le classi dirigenti di ogni ordine e grado – allora non resta che tagliare drasticamente tutti gli istituti di welfare che hanno fin qui sostenuto l’allungamento delle aspettative di vita.
L’Italia sta già registrando i “primi successi” su questa strada, come ha certificato l’Istat nel suo rapporto pubblicato il 19 febbraio 2016: per gli uomini è infatti scesa da 80,3 a 80,1 anni, mentre per le done è diminuita da 85 a 84,7 anni.
Naturalmente si può far diminuire le aspettative di vita in molti modi. I nazisti procederebbero molto sbrigativamente con mattanze di massa; il capitalismo novecentesco facendo esplodere guerre mondiali e locali che “sfoltiscono” in modo considerevole la popolazione globale. Purtroppo, per il capitalismo, questa seconda via è diventata molto complicata a causa degli armamenti atomici in mano a una molteplicità incontrollata di stati. Quindi non può essere praticata senza conseguenze “eccessive”, tali da metter fine al capitale stesso. E le guerricciole contro stati di secondo piano (Somali, Libia, Siria, Iraq, Yemen, ecc) non risolvono il “problema” della longevità nelle metrooli del capitalismo maturo.
Dunque? Dunque non resta che tagliare la spesa sanitaria, le pensioni, l’assistenza, ecc. Così i finanzieri globali possono sentirsi più tranquilli sul ritorno dei loro investimenti in Bot…
Il Fmi arriva a questa affermazione “di sguincio”, per vie traverse, quando prova a spiegare che “nessun asset può essere considerato veramente sicuro”. Che rapporto c’è tra investimenti finanziari e vecchiaia delle popolazioni? Quello tra affidabilità dei titoli di stato e, appunto, spesa pubblica dedicata agli istituti del welfare (pensioni, sanità, assistenza, istruzione). Silenzio assoluto sulla spesa militare, evidentemente considerata “utile” (“produttiva” sarebbe troppo anche un neoliberista integralista).
Di recente le principali agenzie di rating (tutte statunitensi) hanno deciso un downgrade di titoli fin qui considerati sicuri, “virtualmente privi di rischio”, come i Bund tedeschi o i Treasury americani. Beni rifugio er eccellenza, che sembravano in grado di scalzare – in questo ruolo – persino il tradizionale oro (che infatti si è rivalutato del 20% in pochi mesi).
Si comprende facilmente che questi downgrade hanno seriamente preoccupato gli “investitori professionali” (fondi speculativi, fondi pensione, risparmio gestito, hedge fund, ecc), che stanno dirottando altrove i propri investimenti o sono in procinto di farlo. Con ovvie e serissime conseguenze sulla stabilità degli stessi mercati finanzairi e conseguentemente anche per i bilanci stessi degli stati (quando cala l’affidabilità di un titolo, il prezzo scende; e di conseguenza sale il rendimento, ossia gli interessi che uno Stato deve pagare).
Il Fmi sottolinea inoltre che “l’offerta di asset sicuri è diminuita di pari passo alla capacità del settore pubblico e privato di produrre asset di questo tipo”. E la causa principale è individuata, dagli imperturbabili criminali alla guida del Fmi, nella longevità “eccessiva” delle relative popolazioni. “Se l’aspettativa di vita media crescesse di tre anni più di quanto atteso ora entro il 2050, i costi potrebbero aumentare di un ulteriore 50%.
E quindi i debiti pubblici potrebbero essere in varia misura sottoposti a una dinamica crescente. Il Fmi si preoccupa di non apparire tendenzialmente stragista, e cerca di trovare le parole più tranquillizzanti: che le persone vivono più a lungo è “molto desiderabile”, così come il fatto che lo sviluppo “abbia aumentato il benessere individuale”. Purtroppo, dicono i “tecnici di Christine agarde, questo ha fatto aumentare i costi in termini di piani pensionistici e assistenza sanitaria.
Il rischio è considerato “notevole” sia per quanto riguarda la sostenibilità fiscale (potrebbe fare aumentare il rapporto debito/pil), sia sul fronte della solvibilità di istituti finanziari e fondi pensione.
Queste dinamiche “potrebbero avere un ampio effetto negativo su settori pubblici e privati già indeboliti, rendendoli più vulnerabili ad altri shock e potenzialmente minando la stabilità finanziaria”. Il che, non sia mai detto, potrebbe “complicare gli sforzi fatti in risposta alle attuali difficoltà fiscali”.
Ma il Fondo sta lì per dare soluzioni, non per pettinare le bambole, e quindi “serve una combinazione di aumento dell’età pensionabile di pari passo con l’aumento dell’aspettativa di vita, più alti contributi pensionistici e una riduzione dei benefit da pagare“.
Quello che non è detto esplicitamente dal Fmi è che questa longevità va ridotta (è “desiderabile, ma costosa”) per aiutare gli “investitori professionali” a trovare degli asset più affidabili.
Dovete morire prima, abbiamo da tempo sintetizzato con questo slogan l’insieme di “ricette economiche” provenienti dalla Troika, che non hanno – all’evidenza – nulla a che spartire con la “tecnica” e moltissimo con le politiche.
Sul fatto che la maggiore longevità comporti costi maggiori non ci può essere dubbio. Oltre una certa età un essere umano non ouò e non deve essere obbligato a lavorare, quindi la collettività si deve assumere l’onere del suo mantenimento in vita in condizioni dignitose (nulla di straordinario, è previsto anche dalla Costituzione nata dalla resistenza). La questione non riguarda insomma se la longevità sia un costo o no, ma esclusivamente quale parte della società (quali classi) devono pagare questo costo. Per il Fmi lo devono pagare soltanto i lavoratori dipendenti (“più alti contributi pensionistici“) e i pensionati stessi (“più alti contributi pensionistici“, ossia pensioni ancora più basse). E se neanche questo basta – e non può bastare, se dal pagamento del prezzo vengono esentati gli “investitori professionali” e tutte le classi dirigenti di ogni ordine e grado – allora non resta che tagliare drasticamente tutti gli istituti di welfare che hanno fin qui sostenuto l’allungamento delle aspettative di vita.
L’Italia sta già registrando i “primi successi” su questa strada, come ha certificato l’Istat nel suo rapporto pubblicato il 19 febbraio 2016: per gli uomini è infatti scesa da 80,3 a 80,1 anni, mentre per le done è diminuita da 85 a 84,7 anni.
Naturalmente si può far diminuire le aspettative di vita in molti modi. I nazisti procederebbero molto sbrigativamente con mattanze di massa; il capitalismo novecentesco facendo esplodere guerre mondiali e locali che “sfoltiscono” in modo considerevole la popolazione globale. Purtroppo, per il capitalismo, questa seconda via è diventata molto complicata a causa degli armamenti atomici in mano a una molteplicità incontrollata di stati. Quindi non può essere praticata senza conseguenze “eccessive”, tali da metter fine al capitale stesso. E le guerricciole contro stati di secondo piano (Somali, Libia, Siria, Iraq, Yemen, ecc) non risolvono il “problema” della longevità nelle metrooli del capitalismo maturo.
Dunque? Dunque non resta che tagliare la spesa sanitaria, le pensioni, l’assistenza, ecc. Così i finanzieri globali possono sentirsi più tranquilli sul ritorno dei loro investimenti in Bot…
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