Chi più spende, meno spende. Il totale farà 5 miliardi di dollari, e in
palio c’è la Casa Bianca. A chi dovrà dire grazie, portafoglio alla
mano, il futuro presidente? Per puntare sul cavallo vincente non si bada
a spese: a questo punto della gara siamo già a quota 25 milioni di
dollari, cioè 5 volte l’importo versato, nello stesso periodo, durante
il ciclo elettorale del 2012. A fare i conti in tasca ai candidati è
Jake Anderson, quando mancano dieci mesi al traguardo, fissato per l’8
novembre 2016. Se il denaro è (quasi) tutto, nelle presidenziali Usa, è
saldamente al comando Jeb Bush con oltre 114 milioni finora raccolti.
Staccatissima Hillary Clinton, a quota 45 milioni, eppure data per
super-favorita nonostante l’enorme divario di budget. Un’incognita
assoluta è rappresentata da Donald Trump: dichiara che spenderà 100
milioni ma tutti suoi, senza richiedere un dollaro né ai cittadini né
alle lobby che scommettono (e investono) sui concorrenti. Nelle
immediate retrovie, intanto, tra i repubblicani si fanno largo Marco
Rubio e Ted Cruz, con 30 milioni di dollari raccolti, seguiti dal
democratico Bernie Sanders (26) e dal repubblicano Ben Carson (20). A
seguire, altri 5 candidati, con un bilancio molto inferiore (tra il
milione e mezzo e gli 11 milioni di dollari, per ora). Chi vincerà, il
candidato migliore o quello più foraggiato? In un’analisi pubblicata da
“The AntiMedia” e tradotta da “Come Don Chisciotte”, Anderson denuncia
la pratica dilagante del ricorso ai “Super-Pac”, i nuovissimi “comitati
di azione politica” costituiti da singoli, aziende e cartelli, con
capacità di spesa Steven Spielberg, finanziatore della
Clintonpraticamente illimitata e assolutamente non-trasparente: il
candidato non è tenuto a tracciare pubblicamente il denaro ricevuto.
«Inutile dire che si tratta di un’elezione in cui la maggior parte dei
candidati sono alla ricerca di sostegno da parte dei donatori ricchi
invece che dai cittadini che sarebbero chiamati a rappresentare», scrive
Anderson. «Ci si sorprenderà nello scoprire chi è stato a donare soldi
per il vostro candidato, e come tale contributo possa influenzare le
posizioni politiche future». Guida la classifica Jeb Bush, che i
sondaggi danno in calo perché “troppo moderato” per gli elettori
repubblicani. L’ultimo rampollo della famigerata dinastia presidenziale
super-guerrafondaia ha incassato 161 milioni di dollari dalla Golman
Sachs, 65 da Neuberger Berman Llc, quasi 44 da Bank of America, 41,5 da
Citigroup e quasi 40 da Tenet Healthcare. Secondo i reporter
investigativi della Florida, per sostenere Jeb Bush si stanno attivando
«signori texani del petrolio, banchieri d’investimento di New York,
titolari di aziende sanitarie di Miami e perfino tre ex ambasciatori –
due dei quali hanno servito sotto il fratello, l’ex presidente George W.
Bush». Totale, 25 contributi da 1 milione di dollari ciascuno. Tre
milioni invece sono arrivati da Mike Fernandez, miliardario
cubano-americano fondatore di Coral Gables Mbf Healthcare Partners. Poi
c’è Hushang Ansary, ambasciatore iraniano negli Stati Uniti dal 1967 al
1969, quindi Richard Kinder, boss della società di oleodotti e gasdotti
Kinder Morgan. E Alfred Hoffman, ambasciatore statunitense in Portogallo
dal 2005 al 2007, fondatore in Florida della società immobiliare Wci
Community. Quindi NextEra Energy, società madre della Florida Power
& Light, che Jeb Bush e la Clintonfornisce il servizio elettrico a
quasi la metà dello Stato. E Julian Robertson Jr., di New York, manager
di fondi d’investimento (patrimonio personale di 3,4 miliardi, «ha fatto
la sua fortuna investendo in campi da golf e vigneti in Nuova
Zelanda»). A parte il corposo sostegno a Jeb, Wall Street pare schierata
massicciamente dalla parte di Hillary, finora sempre sostenuta da
Citigroup, Goldman Sachs, Dla Piper, Jp Morgan e Morgan Stanley. «Molti
dicono che tali alleanze irrevocabilmente la incatenino a suddette
istituzioni, rendendola incapace di regnare sopra la corruzione
finanziaria di Wall Street», scrive Anderson. Tra gli attuali
finanziatori figurano anche Morgan & Morgan, Sullivan &
Cromwell, Akin, Gump, Yale University, Latham & Watkins. «E’ anche
importante sottolineare che lo studio legale lobbista Akin, Gump,
Strauss, Hauer & Feld, che impiega molti dipendenti di Hillary, ha
preso le donazioni da due dei più grandi imprenditori delle carceri
private, Corrections Corporation of America e Geo Group, con tasse
incluse, per un totale di quasi 300.000 dollari». Si chiama “Priority
Usa Action” il nuovissimo “Super-Pac” creato per sostenere la Clinton:
25 milioni di dollari in soli tre mesi. I più importanti super-donatori
Pac sono George Soros e Steven Spielberg, ma la lista comprende 31
singoli donatori che hanno contribuito più di 200.000 dollari ciascuno. I
progressisti contestano alla Clinton il ricorso ai miliardari, ma i
sostenitori replicano che non c’è altra strada. Di recente, Hillary ha
fatto notizia «abbracciando una tattica per rivelare pubblicamente –
cosa che la nuova legge non richiede – i grandi donatori aziendali». Il
terzo incomodo, Donald Trump, fa gara a sé: ha ribadito che sarà l’unico
finanziatore della sua campagna elettorale e non accetterà donazioni.
Secondo “Forbes”, il suo patrimonio ammonta a 4,5 miliardi. Trump
assicura che si priverà di 100 milioni per auto-finanziarsi la campagna.
Dovrà vedersela innanzitutto col super-finanziato Jeb Bush e gli altri
due grandi sfidanti delle primarie, Marco Rubio e Ted Cruz, i cui
cognomi ammiccano direttamente all’elettorato “latino”. Sostenuto dai
“cubani”, Rubio ha finora raccolto quasi 32 milioni di dollari. Deve
ringraziare Goldman Sachs, Steward Health Care, Titan Farms, Florida
Cristalli e Oracle. Tra i supporter anche il miliardario Norman Braman e
Laura Perlmutter, moglie di Isacco Perlmutter, Ceo di Marvel
Entertainment. «La campagna gestita da Rubio è anche dotata di una
notevole quantità di “denaro oscuro”», racconta Anderson. «La fonte è
una norma su fondi senza scopo di lucro denominata Soluzioni Progettuali
Conservatrici, che Marco Rubioha raccolto 15,8 milioni di dollari. Il
no-profit, che naturalmente non è tenuto a rivelare i suoi donatori, ha
lanciato una massiccia campagna pubblicitaria per attaccare l’accordo
coll’Iran del presidente Obama». Altro outsider temibile, anche Ted Cruz
ha contestato a Obama l’accordo con l’Iran. In più, si batte per
tagliare i fondi a “Planned Parenthood”, i pro-abortisti ufficiali. Tra i
suoi sponsor figurano la banca nazionale Woodforest, Morgan Lewis Llp,
poi Gibson, Dunn & Crutcher, Pachulski e Stang, la Jennmar
Corporation. «La campagna di Ted Cruz ha in realtà quattro “Super-Pac”,
tutti finanziati da Robert Mercer, un magnate di Long Island (fondi
d’investimento), negazionista del cambiamento climatico», spiega
Anderson. «Insieme, hanno raccolto 31 milioni nelle prime quattro
settimane della sua campagna». Hanno contribuito la rete politica dei
fratelli Koch nonché i miliardari Farris e Dan Wilks, che devono la loro
ricchezza al boom del fracking in Texas. Si rivolge invece agli
elettori afroamericani il neurochirurgo Ben Carson, l’uomo nuovo dei
repubblicani: «Ha sorpreso tutti suggerendo che se George W. Bush avesse
I fratelli Koch, a capo dell'omonimo colosso industrialeiniziato un
abbandono del petrolio sulla scia dell’11 Settembre, prendendo
l’iniziativa diplomatica piuttosto che quella degli attacchi militari,
la nazione poteva essersi evitata una guerra incredibilmente costosa
contro il terrore». Con i suoi numeri da sondaggio in aumento, scrive
Anderson, molti esperti si chiedono ora se Carson possa essere sfruttato
come vicepresidente (di Jeb Bush, ovviamente). Carson è sostenuto da
Coca-Cola, West Coast Venture Capital, Trailiner Corp, Ankom Tecnologia,
Jea Senior Living. Il “dark money” proviene da “OneVote”, un
“Super-Pac” guidato dallo stratega repubblicano Andy Yates, e da un
altro cartello, “Run Ben Run”. Recentemente, Carson «ha raddoppiato la
retorica anti-musulmana, che sembra aver portato le sue cifre raccolte
ancora più in alto, innalzandole a 20 milioni in questo trimestre». Zero
trasparenza sui fondi, ma non mancano informazioni indicative: pare che
l’84% dei finanziamenti provenga da una folla di micro-donatori,
assegni sotto i 500 dollari. Molto differenziato – ed estramamente
“etico”, se paragonato agli altri – è il finanziamento di Bernie
Sanders, l’unico democratico finora sceso in campo contro la Clinton.
Socialista, capace di infiammare i progressisti, è finanziato quasi solo
da sindacati, lavoratori, associazioni di categoria. Gli scettici
temono che, come Obama, non avrebbe i muscoli necessari a opporsi al
vero potere, Wall Street e il complesso militare-industriale. Oltre al
libertario indipendente Rand Paul, con appena 3 milioni di dollari in
tasca (e quindi ritenuto in procinto di abbandonare la gara), nelle
retrovie repubblicane si muovo candidati minori, ancora in corsa, come
Chris Christie, data all’1% nei sondaggi eppure forte di un budget di 11
milioni di dollari. Tra i suoi sostenitori figura la Winecup-Gamble,
società del Nevada di proprietà dell’ex Ceo di Reebok, Paul Fireman, che
ha dato al gruppo un milione di dollari. «Fireman, che vive vicino
Boston, prevede un fantasmagorico profitto di 4,6 miliardi dai casinò a
Jersey City se gli elettori dello Stato approveranno un emendamento
costituzionale per permettere il gioco d’azzardo anche fuori Atlantic
City». Altri supporter di Chris Christie sono Stephen Wynn, magnate dei
casinò di Las Vegas, Steve Cohen (maganer di hedge funds), l’imperatrice
del wrestlig Linda McMahon e la numero uno di Hewlett-Packard, Meg
Whitman. Stesso budget (11 milioni) per John Kasich, governatore
dell’Ohio, mentre è più povero il portafoglio di Mike Huckabee, ex
governatore dell’Arkansas (3 milioni), così come quello di Carly Fiorina
(1,6 milioni); presidente di Hp ed esponente dell’ultra-destra, la
Fiorina è sostenuta dall’ex finanziere d’assalto George Soros, schierato
con HillaryTom Perkins nonché da vari campioni della Silicon Valley,
come Paul Otellini (già Intel) e Jerry Perenchio (ex Ceo di Univision).
«Come potete vedere – conclude Jake Anderson – le elezioni presidenziali
2016 sono, per la maggior parte, una guerra tra donatori aziendali a
tutto campo». Secondo l’analista, è importante ricordare che molti di
questi “totali” sono già obsoleti, giacchè i team dei candidati possono
strategicamente nascondere le quantità donate, grazie alle nuove
disposizioni di legge per proteggere la raccolta fondi da qualsiasi
legittima curiosità. «Insomma, noi non conosciamo la reale portata del
“denaro oscuro”», derivante dal cosiddetto “non profit” e da
associazioni imprenditoriali. «Quello che sappiamo è che questa sarà
l’elezione più costosa della storia. I fratelli Koch da soli hanno un
budget di 889 milioni di dollari. Una volta aggiunto alla spesa prevista
dai democratici e dai repubblicani, stiamo parlando di un ticket totale
di circa 5 miliardi di dollari.
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