domenica 10 gennaio 2016

Smart Jobs, il fratello più perfido del Jobs act

Negli uffici, quelli più alla moda, circola una parola, smart, che fa tanto figo. Se ti dicono che sei “smart” è un complimento, vuol dire che sei abile, veloce. Se a questo termine aggiungete la parola “working” il tutto diventa meno figo. Non c’è una traduzione esatta, comunque al ministero del Lavoro ne hanno trovata una, “lavoro agile”, un modo nuovo per rottamare il contratto nazionale di lavoro, chiodo fisso di Renzi Matteo. Proprio mentre Cgil, Cisl, Uil stanno mettendo a punto un nuovo sistema di relazioni industriali fondato sulla contrattazione a partire da quella nazionale, partecipazione e regole, il premier stringe i tempi per una nuova tappa che si aggiunge al Jobs act, il “lavoro agile” per colpire ancora i diritti dei lavoratori. Non bastava il televoro, il lavoro a casa, che andava comunque inquadrato in una tipologia contrattuale. Troppi vincoli per le aziende, obblighi e costi legati alla sicurezza. Il lavoro agile abolisce ogni vincolo. Per la sicurezza sarà sufficiente una informazione preventiva, poi te la devi cavare.
Non più orari di lavoro, stai a casa, hai un obiettivo da realizzare, il contratto non c’è più
Non ci sono più orari di lavoro, niente cartellini da timbrare, niente mensa, niente rimborso per mezzi di trasporto, niente affitto degli uffici. Il rapporto è diretto fra singolo lavoratore e azienda. Ti viene assegnato un obiettivo da realizzare in un tempo stabilito. Puoi lavorare qualche pomeriggio a settimana, tre ore al giorno, la mattina, la sera, la notte. Vedi tu, ma devi consegnarmi il lavoro nei tempi stabiliti, che ovviamente saranno sempre più stretti. A noi sembra di rivedere quell’omino, Charlot, sempre più preso dagli ingranaggi di una infernale macchina del lavoro. Pause? Affari tuoi. Al ministero di Poletti si sta lavorando alacremente per presentare il disegno di legge. Renzi Matteo prevede che il disegno di legge sia collegato alla legge di stabilità e presentato in Parlamento entro il 31 gennaio. Il testo dovrebbe andare al Consiglio dei ministri nella prossima settimana. I sindacati ne sanno qualcosa, sono stati consultati perlomeno dal Poletti? Ci mancherebbe altro.
Il testo della legge elaborato da un “bocconiano” amico e consigliere del premier
Il testo della legge che decapita la contrattazione, già mutilata dal Jobs act, nasce dalle intuizioni di Maurizio Del Conte, bocconiano, professore di diritto del Lavoro all’ateneo milanese, consigliere giuridico del premier che di costui si fida ciecamente. Per completare il quadro la proposta di “lavoro agile” è stata pubblicata sul blog del Corriere della sera ed avrebbe raccolto, dicono al ministero, numerosi consensi. E questa la chiamano consultazione.
Al ministero si dice che si tratta di dare continuità al Jobs act e alla legge di stabilità
Le “fonti” che hanno reso noto questo lavorio sotterraneo, top secret, spiegano che si tratta di dare continuità alle scelte fatte con il Jobs act e con la legge di stabilità. Con il lavoro agile viene rispecchiata la linea dell’esecutivo, dicono, sempre più orientata a dare spazio alla contrattazione di secondo livello, tra lavoratore e azienda. Ma della parola contrattazione resta solo il fatto che il lavoratore deve esser d’accordo nell’accettare il “lavoro agile”. Ci mancava che fosse obbligatorio. Errore, forse vieni assunto solo se accetti questa forma di sfruttamento intensivo. E se non realizzi l’obiettivo concordato? Ancora non è stata stabilita la penalità. Ti chiudono in casa? Arresti domiciliari? Fai lavorare anche i tuoi familiari, figli minorenni compresi ? Pubblica fustigazione?
Ci viene a mente quell’omino con i baffetti, Charlot, che sempre più veloce stringe bulloni
Verrebbe voglia di dire che quell’omino con i baffetti, Charlie Chaplin-Charlot, che stringe bulloni e deve sperimentare la macchina automatica da alimentazione che ti consente di mangiare senza interrompere il lavoro, era un privilegiato rispetto allo “smart working”. Un ritorno al passato usando parole nuove. Una volta si chiamava lavoro a domicilio. Era in uso nelle piccole fabbriche che affidavano, per esempio, parti delle calzature fatte a mano, le tomaie a lavoranti a domicilio, le donne in particolare. Mentre cucinavano incollavano scarpe, l’odore del benzolo si confondeva con quella della zuppa. Poi si scopriva che erano morte di un male incurabile. Si dirà che oggi è tutto diverso. Che le donne in particolare gradiscono il lavoro in casa. Possono stare con i figli, allattano,preparano la pappa,lavano stirano , mettono sul fuoco la cena. Sempre con un occhio al computer. Oppure è l’uomo a fare il doppio lavoro. Si rischia il mal di casa, una nuova forma di alienazione, non prevista dal prontuario medico predisposto dalla ministra Lorenzin. Si perde il senso del tempo di vita e del tempo di lavoro. Una vecchia rivendicazione del sessantotto che torna sempre più di attualità.

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