venerdì 1 gennaio 2016

Se gli amici di Daesh sono anche i “nostri” amici

“Questo mese stiamo lavorando in silenzio. Abbiamo già sventato un attacco dell’Isis contro l’Italia, ora speriamo di bloccare anche gli altri”. Proprio il giorno di Natale Anonymous affidava a Twitter la rivelazione di aver sventato un attacco terroristico nei confronti dell’Italia. A onor del vero non è chiara né la modalità dell’attacco presunto né quali fossero gli obiettivi. E’ palese, tuttavia, che sull’Italia continui ad aleggiare il rischio terrorismo.
Come se non bastasse, nei giorni successivi il 25 dicembre, i servizi segreti austriaci dichiaravano di aver ricevuto degli “avvisi” da intelligence amica nei quali si paventava il rischio che entro Capodanno ci sarebbero stati nuovi attacchi terroristici in luoghi affollati di capitali europee. Ai warnings dei servizi austriaci ha risposto direttamente la procura bosniaca, annunciando l’arresto di undici persone lo scorso 22 dicembre che “stavano organizzando un attentato dinamitardo in occasione delle feste di Capodanno che avrebbe potuto uccidere un centinaio di persone”.
Insomma, il cerchio del rischio terrorismo continua a stringersi intorno all’Italia, mentre tornano alla mente le parole di Matteo Renzi, qualche giorno dopo gli attacchi di Parigi al Bataclan, che affermava: “il terrorismo è un nemico molto pericoloso. Ma c’è bisogno di una reazione delle nostre comunità, fatte di valori e di bellezza”. Lungi dal discutere l’importanza dei valori e della bellezza resta da chiedersi se il fondamentalismo islamico di matrice wahhabita e il terrorismo ( suo strumento di azione politica) non si combattano anche contrastando le Potenze straniere, nostre presunte amiche, che sostengono economicamente e militarmente Daesh e Al Qaeda. Di tutto ciò si è ampliamente discusso nei talk show e sui giornali ma il Governo ha fatto orecchie da mercante.
Il viaggio a Riyad
E proprio lo scorso novembre Matteo Renzi si recava in Arabia Saudita, a Riyad, “per rendere più forte e vitale l’antica amicizia” dell’Italia con i sovrani di casa Sa’ud. E non bisogna dimenticare che tra Roma e Riyad intercorre un importante vincolo commerciale, secondo l’Huffington Post, di 9 miliardi di euro solo nel 2014. E l’Italia vende molto all’Arabia. Nel 2013 un consorzio di aziende italiane guidato dall’impresa Salini-Impregilo vinse un appalto per la costruzione della metropolitana “driveless” a Riyad, ma non solo. Roma rifornisce casa Sa’ud anche delle bombe con cui annientare un piccolo Paese, lo Yemen. E’ risaputo infatti che l’Arabia Saudita stia combattendo la minoranza sciita yemenita degli houti, vecchi amici di Riyad – secondo Limes- e oggi alleati di Teheran. Ora, è vero l’Arabia Saudita fa parte della così detta coalizione anti-Isis. Ma fino a che punto i sovrani sauditi vogliono contrastare il fondamentalismo in Siria ed Iraq? Inoltre, sempre secondo quando scrive Limes, sotto la spinta del nuovo monarca Salman sarebbe venuta meno, improvvisamente, l’antica frizione tra Daesh e al-Qaida. Perché? Non è dato saperlo. Ma le amicizie imbarazzanti del Governo Renzi non finiscono qui.
L’amicizia con Ankara
Sempre a fine novembre fu, questa volta, il Ministro della Difesa Pinotti a chiedere con forza, durante un’intervista a Sky Tg 24, l’ingresso della Turchia in Unione Europea. Proprio come sta facendo ultimamente la Germania. E in quella stessa occasione il Ministro della Difesa riteneva fondamentale che la bandiera dell’Ue sventolasse ad Ankara ma profondamente inappropriati bombardamenti italiani su Daesh. Probabilmente il Ministro scordava degli altalenanti rapporti tra Erdogan e i “ribelli” (quasi mai siriani) che vorrebbero destituire Assad a Damasco, sostenendo spesso e volentieri gruppi fondamentalisti presenti sul suolo siriano. Inoltre, secondo quanto affermato dal sito Infomercatiesteri.com, i rapporti commerciali tra l’Italia e la Turchia sarebbero addirittura eccellenti. Solo nel 2014 l’Italia ha esportato in Turchia beni per un valore di 12 miliardi di dollari, importando invece beni per circa 7 miliardi. Per non parlare della presenza delle circa 1200 imprese italiane sul suolo turco. Sarà mica che questo giro di soldi all’interno dei confini comunitari risulti più facile?

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