Da tempo ci si interroga sulle multinazionali e sulla loro natura con
inutili denunce del fatto che spesso e volentieri riescano ad aggirare
il fisco. Non solo le multinazionali non creano lavoro e valore nei
luoghi dove producono, ma creano anche scompensi enormi nel gettito
fiscale, come peraltro evidenziato anche da un premio Nobel come Joseph
Stilglitz. Ma evidentemente manca la volontà politica di fermarle, e
anzi con il TTIP si andrebbe nella direzione del tutto opposta…
Con qualche anno di ritardo la questione annosa delle multinazionali ora è finita anche sul tavolo della Commissione Ue. Non si potrebbe altrimenti eludere tale problema dato che si chiedono continuamente sforzi economici al popolo, cui però non corrispondono sforzi adeguati da parte dei colossi, che anzi spesso e volentieri riescono a fare i furbetti e a massimizzare i profitti. Si pensi che un’impresa che opera in diversi paesi europei potrebbe arrivare a pagare il 30% di tasse in meno rispetto a una attiva solo in un Paese. Già questo dovrebbe far capire le proporzioni del problema ancor più che sono moltissime queste imprese che passano da una giurisdizione fiscale all’altra cercando sempre e comunque il tornaconto. Si chiama “elusione fiscale” e in questo senso la Commissione Ue ha rilanciato l’impegno a riformare la tassazione societaria per “combattere l’elusione fiscale, garantire la sostenibilità del gettito e rafforzare il mercato unico per le imprese“.
Il tentativo sarebbe quello di riformare la tassazione creando una tassa unica a livello europeo per le multinazionali per andare soprattutto a richiedere il dovuto nei luoghi dove le multinazionali generano gli utili. Del resto ci sono stati casi eccellenti, vedi Apple e Amazon, esempi di grandi colossi che riescono a stringere accordi con i governi locali arrivando a strappare imposizioni fiscale davvero ridicole, vedi il 2% ottenuto dalla Apple in Irlanda. Il coltello del resto lo hanno sempre loro dalla parte del manico dato che le multinazionali sono tra i pochi attori rimasti in grado di assumere lavoratori. Se un governo alza la voce ecco che le multinazionali possono tranquillamente minacciare di andare da un’altra parte, costringendo quindi i governi a concedere tassazioni ridicole. Ora che del problema si occupa anche la Commissione Ue, se non altro, il pubblico può constatare che evidentemente quelli che a inizio XXI secolo protestavano contro lo strapotere delle multinazionali forse avevano le loro buone ragioni. In questo senso proprio la Commissione ha anche pubblicato una sorta di lista nera degli Stati non cooperativi per quanto riguarda le politiche fiscali, e ci sono i soliti nomi: da Hong Kong fino a Monaco, le Maldive, le Bahamas e il Liechtestein.
Anche un premio Nobel per l’Economia come Joseph Stiglitz in passato aveva detto la sua circa il problema delle multinazionali e del fisco: “Le imprese multinazionali agiscono come imprese singole e unificate e pertanto dovrebbero essere soggette a imposizione in quanto tali. È giunto il momento per i nostri governanti di mostrare coraggio e riconoscere la finzione legale del principio di entità separata”. Infatti come dice Stiglitz le multinazionali godono di una sorta di immunità immotivata da parte dei governi che permette loro di avere molteplici identità e soprattutto di suddividere i profitti al di sotto della soglia minima imponibile. “Durante la transizione, le nazioni sviluppate leader dovrebbero imporre la minimum corporate tax, un’aliquota d’imposta minima sul reddito delle grandi società per arrestare la corsa verso il basso e tributi sulle multinazionali come singole società”, ha aggiunto. Ma senza la volontà politica di farlo, crediamo, le multinazionali continueranno a fare il bello e il cattivo tempo, magari arrivando a ricattare i governi chiedendo minori tasse e minori diritti per i lavoratori per creare investimenti e posti di lavoro. Non casualmente sono proprio le multinazionali tra i principali responsabili dell’abbassamento del costo del lavoro in Europa e sono loro stesse tra i responsabili del mancato sviluppo di molti paesi del Terzo Mondo.
Impossibile poi in questo senso non citare il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), un accordo economico tra Ue e Stati Uniti finalizzato in teoria a liberalizzare i mercati di merci e capitali tra Usa ed Europa. In molti ora cominciano a parlarne nonostante finora le trattative siano state condotte in rigoroso segreto per tenere lontano dal dibattito la questione. Secondo molti tale accordo non sarà niente altro che una sorta di gigantesco regalo ai colossi e alle multinazionali, schiudendo la porta a una privatizzazione totale di tutti i servizi pubblici essenziali. Una sorta di trionfo del privato sul pubblico che vedrà ovviamente le multinazionali americane farla da padrone assolute. Dulcis in fundo se il TTIP dovesse venire ratificato un’azienda avrà la possibilità di citare in giudizio uno Stato qualora questo le vietasse di commercializzare i propri prodotti al suo interno. E soprattutto come mai nessuno risponde al perchè i negoziati si sono svolti in gran segreto o comunque lontano dalla stampa e dai riflettori? Insomma tutti a parole si mostrano contrari nei confronti delle multinazionali, quando poi si tratta di prendere misure concrete e di fare delle prove di forza, puntualmente tutti si piegano. Così facendo il rischio è quello che le multinazionali sostituiscano, progressivamente, i governi
Con qualche anno di ritardo la questione annosa delle multinazionali ora è finita anche sul tavolo della Commissione Ue. Non si potrebbe altrimenti eludere tale problema dato che si chiedono continuamente sforzi economici al popolo, cui però non corrispondono sforzi adeguati da parte dei colossi, che anzi spesso e volentieri riescono a fare i furbetti e a massimizzare i profitti. Si pensi che un’impresa che opera in diversi paesi europei potrebbe arrivare a pagare il 30% di tasse in meno rispetto a una attiva solo in un Paese. Già questo dovrebbe far capire le proporzioni del problema ancor più che sono moltissime queste imprese che passano da una giurisdizione fiscale all’altra cercando sempre e comunque il tornaconto. Si chiama “elusione fiscale” e in questo senso la Commissione Ue ha rilanciato l’impegno a riformare la tassazione societaria per “combattere l’elusione fiscale, garantire la sostenibilità del gettito e rafforzare il mercato unico per le imprese“.
Il tentativo sarebbe quello di riformare la tassazione creando una tassa unica a livello europeo per le multinazionali per andare soprattutto a richiedere il dovuto nei luoghi dove le multinazionali generano gli utili. Del resto ci sono stati casi eccellenti, vedi Apple e Amazon, esempi di grandi colossi che riescono a stringere accordi con i governi locali arrivando a strappare imposizioni fiscale davvero ridicole, vedi il 2% ottenuto dalla Apple in Irlanda. Il coltello del resto lo hanno sempre loro dalla parte del manico dato che le multinazionali sono tra i pochi attori rimasti in grado di assumere lavoratori. Se un governo alza la voce ecco che le multinazionali possono tranquillamente minacciare di andare da un’altra parte, costringendo quindi i governi a concedere tassazioni ridicole. Ora che del problema si occupa anche la Commissione Ue, se non altro, il pubblico può constatare che evidentemente quelli che a inizio XXI secolo protestavano contro lo strapotere delle multinazionali forse avevano le loro buone ragioni. In questo senso proprio la Commissione ha anche pubblicato una sorta di lista nera degli Stati non cooperativi per quanto riguarda le politiche fiscali, e ci sono i soliti nomi: da Hong Kong fino a Monaco, le Maldive, le Bahamas e il Liechtestein.
Anche un premio Nobel per l’Economia come Joseph Stiglitz in passato aveva detto la sua circa il problema delle multinazionali e del fisco: “Le imprese multinazionali agiscono come imprese singole e unificate e pertanto dovrebbero essere soggette a imposizione in quanto tali. È giunto il momento per i nostri governanti di mostrare coraggio e riconoscere la finzione legale del principio di entità separata”. Infatti come dice Stiglitz le multinazionali godono di una sorta di immunità immotivata da parte dei governi che permette loro di avere molteplici identità e soprattutto di suddividere i profitti al di sotto della soglia minima imponibile. “Durante la transizione, le nazioni sviluppate leader dovrebbero imporre la minimum corporate tax, un’aliquota d’imposta minima sul reddito delle grandi società per arrestare la corsa verso il basso e tributi sulle multinazionali come singole società”, ha aggiunto. Ma senza la volontà politica di farlo, crediamo, le multinazionali continueranno a fare il bello e il cattivo tempo, magari arrivando a ricattare i governi chiedendo minori tasse e minori diritti per i lavoratori per creare investimenti e posti di lavoro. Non casualmente sono proprio le multinazionali tra i principali responsabili dell’abbassamento del costo del lavoro in Europa e sono loro stesse tra i responsabili del mancato sviluppo di molti paesi del Terzo Mondo.
Impossibile poi in questo senso non citare il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), un accordo economico tra Ue e Stati Uniti finalizzato in teoria a liberalizzare i mercati di merci e capitali tra Usa ed Europa. In molti ora cominciano a parlarne nonostante finora le trattative siano state condotte in rigoroso segreto per tenere lontano dal dibattito la questione. Secondo molti tale accordo non sarà niente altro che una sorta di gigantesco regalo ai colossi e alle multinazionali, schiudendo la porta a una privatizzazione totale di tutti i servizi pubblici essenziali. Una sorta di trionfo del privato sul pubblico che vedrà ovviamente le multinazionali americane farla da padrone assolute. Dulcis in fundo se il TTIP dovesse venire ratificato un’azienda avrà la possibilità di citare in giudizio uno Stato qualora questo le vietasse di commercializzare i propri prodotti al suo interno. E soprattutto come mai nessuno risponde al perchè i negoziati si sono svolti in gran segreto o comunque lontano dalla stampa e dai riflettori? Insomma tutti a parole si mostrano contrari nei confronti delle multinazionali, quando poi si tratta di prendere misure concrete e di fare delle prove di forza, puntualmente tutti si piegano. Così facendo il rischio è quello che le multinazionali sostituiscano, progressivamente, i governi
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