Per capire quello che sta avvenendo a Roma sia sul piano giudiziario
che su quello politico e istituzionale è necessario capire da subito che
il fenomeno criminale di Mafia Capitale non solo era prevedibile, ma
che si è costruito in decenni di imperdonabile disattenzione e spesso,
come emerge dalle carte della Procura di Roma, di complicità.
In molti ci hanno raccontato che la Banda della Magliana era finita con la morte di Enrico De Pedis nel 1990 e che con lei si fosse chiusa la possibilità che si costituisse nella Capitale un’organizzazione criminale di matrice mafiosa. Altri addirittura datavano la fine della Banda con l’arresto nell’85 di Pippo Calò. Perfino la preziosissima relazione della Commissione Antimafia presieduta da Gerardo Chiaromonte e pubblicata nel 1992 sposava questa tesi. Purtroppo in troppi ci hanno creduto. Di conseguenza questa narrazione ci ha portato oggi, davanti al progressivo svelamento dell’organizzazione criminale che farebbe capo all’ex terrorista dei Nar e uomo della Banda Massimo Carminati, ad affrontare, capire e interpretare il fenomeno del potere mafioso nella Capitale con almeno 20 anni di ritardo. Mafia Capitale (questo il nome dato dagli inquirenti a questa quinta mafia alla matriciana) è figlia della Banda, del mondo dell’eversione nera e in particolare dei Nar e degli intrecci consolidati in almeno quarant’anni fra “romani” e Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra.
La Banda della Magliana non è mai morta, ma si è inabissata esattamente come ha fatto Cosa nostra dopo le stragi del ‘92 e ‘93 e con il tempo si è trasformata, diluita e infine riorganizzata in altro. Gli enormi capitali che i membri dell’organizzazione avevano accumulato sono rimasti pressoché intoccati. Molti membri di quella organizzazione sono tornati in libertà. A fine pena non si sono certo rassegnati alla vita da pensionati. Inoltre il ruolo di raccordo e mediazione fra tutte le organizzazioni criminali presenti sul territorio - ottenuto spesso con la violenza dell’intimidazione o delle armi - si è riproposto in chiave più moderna con l’organizzazione di Carminati. Tutti, in un modo o nell’altro, a Roma hanno dovuto fare i conti prima con la Banda e poi con “er cecato” - il soprannome di Carminati che ha perso un occhio in uno scontro a fuoco con i carabinieri -, anche chi a Roma c’era già a partire dai primi anni ‘70 come tutte le organizzazioni mafiose del Paese si erano radicate e avevano avviato una serie di relazioni di collaborazione con ambienti della destra eversiva, con pezzi deviati dello Stato e dei servizi e con la politica nazionale e locale.
In nessun’altra città italiana si è arrivati a una forma organizzativa e imprenditoriale della criminalità come a Roma. Qui la definizione di Mafie spa trova conferma. Anzi, per capire quale è la forma del potere criminale che ha in pugno la Capitale d’Italia sarebbe più corretto parlare di una Associazione Temporanea d’Impresa. Con mediatore e broker Massimo Carmianti.
In molti ci hanno raccontato che la Banda della Magliana era finita con la morte di Enrico De Pedis nel 1990 e che con lei si fosse chiusa la possibilità che si costituisse nella Capitale un’organizzazione criminale di matrice mafiosa. Altri addirittura datavano la fine della Banda con l’arresto nell’85 di Pippo Calò. Perfino la preziosissima relazione della Commissione Antimafia presieduta da Gerardo Chiaromonte e pubblicata nel 1992 sposava questa tesi. Purtroppo in troppi ci hanno creduto. Di conseguenza questa narrazione ci ha portato oggi, davanti al progressivo svelamento dell’organizzazione criminale che farebbe capo all’ex terrorista dei Nar e uomo della Banda Massimo Carminati, ad affrontare, capire e interpretare il fenomeno del potere mafioso nella Capitale con almeno 20 anni di ritardo. Mafia Capitale (questo il nome dato dagli inquirenti a questa quinta mafia alla matriciana) è figlia della Banda, del mondo dell’eversione nera e in particolare dei Nar e degli intrecci consolidati in almeno quarant’anni fra “romani” e Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra.
La Banda della Magliana non è mai morta, ma si è inabissata esattamente come ha fatto Cosa nostra dopo le stragi del ‘92 e ‘93 e con il tempo si è trasformata, diluita e infine riorganizzata in altro. Gli enormi capitali che i membri dell’organizzazione avevano accumulato sono rimasti pressoché intoccati. Molti membri di quella organizzazione sono tornati in libertà. A fine pena non si sono certo rassegnati alla vita da pensionati. Inoltre il ruolo di raccordo e mediazione fra tutte le organizzazioni criminali presenti sul territorio - ottenuto spesso con la violenza dell’intimidazione o delle armi - si è riproposto in chiave più moderna con l’organizzazione di Carminati. Tutti, in un modo o nell’altro, a Roma hanno dovuto fare i conti prima con la Banda e poi con “er cecato” - il soprannome di Carminati che ha perso un occhio in uno scontro a fuoco con i carabinieri -, anche chi a Roma c’era già a partire dai primi anni ‘70 come tutte le organizzazioni mafiose del Paese si erano radicate e avevano avviato una serie di relazioni di collaborazione con ambienti della destra eversiva, con pezzi deviati dello Stato e dei servizi e con la politica nazionale e locale.
In nessun’altra città italiana si è arrivati a una forma organizzativa e imprenditoriale della criminalità come a Roma. Qui la definizione di Mafie spa trova conferma. Anzi, per capire quale è la forma del potere criminale che ha in pugno la Capitale d’Italia sarebbe più corretto parlare di una Associazione Temporanea d’Impresa. Con mediatore e broker Massimo Carmianti.
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