Israele importa il 77% del suo fabbisogno di petrolio dal Kurdistan
iracheno; lo ha rivelato il Financial Times lunedì scorso. Citando i
dati di navigazione delle petroliere e le negoziazioni, il rapporto
dimostra che, tra maggio e agosto, le raffinerie e le compagnie
petrolifere israeliane hanno importato oltre 19 milioni di barili di
greggio, pari appunto al 77% del suo consumo, per un valore complessivo,
ai prezzi di mercato del periodo, che
s’avvicina al miliardo di dollari. Esso viene esportato attraverso il
porto turco di Ceyhan, terminal del petrolio curdo iracheno che, per
circa un terzo, viene imbarcato per Israele.
Secondo diversi esperti del settore, le autorità del Kurdistan, in base ad accordi privilegiati, vendono il greggio a Tel Aviv a un prezzo scontato. Ciò s’inquadra negli stretti rapporti che Erbil intrattiene da molto tempo con l’establishment sionista; a tal proposito, un rapporto Reuters spiega che le forniture di petrolio fanno parte di una più ampia strategia di Israele volta a rafforzare quei legami, finanziando in questo modo l’entità curda nell’ottica di incentivarne il separatismo e smembrare l’Iraq.
Il traffico rivelato dal Financial Times, è l’ennesima conferma del cinico doppio gioco condotto da Erbil: da un canto ha cercato ogni aiuto possibile da Baghdad, dalle milizie sciite e dall’Iran, che hanno impedito che fosse travolta dai tagliagole dell’Isis; dall’altro manovra senza scrupolo alcuno con Israele e con la Turchia, per tentare di separarsi del tutto dall’Iraq, propiziando il suo smembramento e favorendo i tentativi di destabilizzazione posti in atto dai suoi nemici.
Peraltro, la vendita autonoma di greggio, non solo riconosce implicitamente l’entità sionista, cosa rifiutata dal Governo centrale del Paese, ma contraddice tutti gli accordi siglati con Baghdad per un’equa ripartizione delle ricchezze del Paese.
Secondo diversi esperti del settore, le autorità del Kurdistan, in base ad accordi privilegiati, vendono il greggio a Tel Aviv a un prezzo scontato. Ciò s’inquadra negli stretti rapporti che Erbil intrattiene da molto tempo con l’establishment sionista; a tal proposito, un rapporto Reuters spiega che le forniture di petrolio fanno parte di una più ampia strategia di Israele volta a rafforzare quei legami, finanziando in questo modo l’entità curda nell’ottica di incentivarne il separatismo e smembrare l’Iraq.
Il traffico rivelato dal Financial Times, è l’ennesima conferma del cinico doppio gioco condotto da Erbil: da un canto ha cercato ogni aiuto possibile da Baghdad, dalle milizie sciite e dall’Iran, che hanno impedito che fosse travolta dai tagliagole dell’Isis; dall’altro manovra senza scrupolo alcuno con Israele e con la Turchia, per tentare di separarsi del tutto dall’Iraq, propiziando il suo smembramento e favorendo i tentativi di destabilizzazione posti in atto dai suoi nemici.
Peraltro, la vendita autonoma di greggio, non solo riconosce implicitamente l’entità sionista, cosa rifiutata dal Governo centrale del Paese, ma contraddice tutti gli accordi siglati con Baghdad per un’equa ripartizione delle ricchezze del Paese.
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