sabato 15 agosto 2015

CORTE DEI CONTI: PIÙ TAGLI, PIÙ TASSE

Austerità. La relazione sulla finanza locale della magistratura contabile: «Gli 80 euro peggiorano il fabbisogno pubblico». L’abolizione dell’Imu? «Danneggia il federalismo fiscale». Le tasse comunali cresciute di otto miliardi di euro dal 2010 a causa di 40 miliardi di tagli agli enti locali, 113 euro a testa in più all’anno. Promemoria in attesa del pacchetto "taglia-tasse" annunciato dal governo
L’abolizione dell’Imu sulla prima casa? Un pastic­cio gigan­te­sco che ha distrutto uno dei prin­cipi car­dine del fede­ra­li­smo fiscale: la cor­ri­spon­denza tra con­tri­buenti e sog­getti bene­fi­ciari dei ser­vizi resi. Vogliamo par­lare del taglio dell’Irap? L’imposta sulle imprese su base regio­nale tagliata di 1,9 miliardi da Renzi per ridurre il «cuneo fiscale» ha avuto «riflessi nega­tivi» sulle fun­zioni degli enti locali. Quanto al «bonus Irpef» degli 80 euro per i lavo­ra­tori dipen­denti con red­diti tra 8 e 26 mila euro è costato 4,5 miliardi di euro e ha «peg­gio­rato il fab­bi­so­gno del set­tore pubblico».
La rela­zione sugli anda­menti della finanza ter­ri­to­riale, resa nota il 27 luglio dalla Corte dei Conti, non è pro­pria­mente una let­tura estiva, ma per­mette di com­pren­dere i danni pro­vo­cati dall’uso popu­li­sta dei conti pub­blici del governo Renzi. Senza con­tare che quella della magi­stra­tura con­ta­bile è la più seria requi­si­to­ria con­tro i tagli voluti dai governi dell’austerità dal Ber­lu­sconi del 2008 al Renzi della legge di sta­bi­lità del 2015.
Alla base non c’è solo la richie­sta del rispetto delle fun­zione costi­tu­zio­nale nella gestione della spesa pub­blica, rego­lar­mente infranta da tutti i governi per rispet­tare i dik­tat della Troika, ma le gravi defor­ma­zioni pro­vo­cate da una visione mer­can­ti­li­sta dell’economia ispi­rata dal man­tra della com­pe­ti­ti­vità, della ridu­zione dei costi e della com­pres­sione salariale.
Tutti ele­menti che hanno pro­vo­cato un boom inau­dito della tas­sa­zione, l’aumento del debito pub­blico e il blocco della tanto ago­gnata «com­pe­ti­ti­vità». L’austerità è un cir­colo vizioso, soprat­tutto senza una cre­scita capace di aumen­tare l’occupazione e inve­sti­menti mancanti.
I tagli agli enti locali dal 2008 a oggi ammon­tano a quasi 40 miliardi, risul­tato della ridu­zione dei tra­sfe­ri­menti sta­tali di 22 miliardi e di un calo dei finan­zia­menti per la sanità di 17,5 miliardi. «Per con­ser­vare l’equilibrio in rispo­sta alle severe misure cor­ret­tive del governo» i Comuni — col­piti da tagli per quasi 8 miliardi tra il 2010 e il 2014 — hanno rispo­sto con «aumenti molto accen­tuati» delle tasse locali.
Oggi il peso del fisco è «ai limiti della com­pa­ti­bi­lità con le capa­cità fiscali locali» denun­cia la magi­stra­tura con­ta­bile. La tas­sa­zione comu­nale è infatti bal­zata dai 505,5 euro a testa del 2011 ai 618,4 euro dello scorso anno. Una pres­sione che tocca i livelli più alti nei Comuni con più di 250mila abi­tanti, arri­vando a 881,94 euro pro capite.
Se i Comuni hanno rispo­sto ai tagli con una revi­sione al rialzo delle ali­quote Ici-Imu — gli «aumenti gene­ra­liz­zati hanno visto gli incassi pas­sare dai 9,6 miliardi di euro del Ici 2011 ai 15,3 miliardi del 2014 — le Regioni hanno pun­tato sul taglio degli inve­sti­menti e dei ser­vizi con «una com­pres­sione delle fun­zioni extra-sanitarie». Tra il 2009 e il 2015 il taglio al finan­zia­mento del fab­bi­so­gno della sanità è stato del 17,5 miliardi.
La Corte dei conti descrive le poli­ti­che del rigore fiscale nei ter­mini di un «mec­ca­ni­smo distor­sivo» che impone agli enti locali di sca­ri­care i tagli impo­sti dal l’Europa agli enti locali sul con­tri­buente. L’equivalenza è net­tis­sima: l’aumento delle tasse è dovuto ai tagli alle risorse sta­tali dal 2011. A que­sto si aggiunge il ritardo nella «ricom­po­si­zione delle fonti di finan­zia­mento della spesa» per garan­tire ser­vizi pub­blici effi­cienti ed eco­no­mici. Que­sto signi­fica aziende dei tra­sporti locali in defi­cit, come la pri­va­tiz­za­zione delle municipalizzate.
E que­sto nono­stante l’incremento con­si­stente delle entrate (+15,63% rispetto al 2013). In altre parole, la crisi di aziende come l’Atac a Roma, di cui tanto si parla in que­sti giorni, non è solo dovuta all’inefficienza orga­niz­za­tiva, ma a un «baco» nel sistema dei tra­sfe­ri­menti delle risorse. La ven­dita di pac­chetti azio­nari, o la pri­va­tiz­za­zione dei ser­vizi pub­blici, sono l’ultimo step che può chiu­dere un cerchio.
«Serve un piano straor­di­na­rio di con­tra­sto alle povertà, una vera epi­de­mia per tante zone del Paese, che com­prenda più fondi e più ser­vizi» sostiene Anto­nio Satta — com­po­nente del diret­tivo dell’Anci –In que­sti anni abbiamo garan­tito ser­vizi, nono­stante un Patto di sta­bi­lità che ci ha tra­sfor­mati in notai più che in ammi­ni­stra­tori e politici».
Per chi vuole leg­gerle, que­ste pagine costi­tui­scono un ammo­ni­mento sulle con­se­guenze dei tagli che ver­ranno, quelli alla Sanità (2,3 miliardi nel 2016) e a quelli alle tasse sulla prima casa (45 miliardi) nei pros­simi tre anni. È in arrivo un’altra imbar­cata di aumenti delle tasse sui cit­ta­dini. La crisi fiscale viene pro­dotta dai governi. I tagli li pagano i cit­ta­dini che, in più, sono obbli­gati a rinun­ciare ai ser­vizi, alle cure e ad un tra­sporto locale efficiente.
E Renzi che dice? Ieri ha assi­cu­rato che i soldi «sot­tratti» ai Comuni per l’abolizione della Tasi/Imu «saranno resti­tuiti inte­gral­mente». Magie con­ta­bili della finanza creativa.
regalo ai più ricchi»

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