C’era una volta un ottimista che abitava in una casa popolare a equo
canone in un anonimo quartiere di un’anonima periferia della metropoli.
Non aveva molto, ma quello che aveva gli bastava: un tetto sotto cui
dormire, un lavoro a tempo indeterminato da impiegato di concetto in una
fabbrica di laterizi di medie dimensioni, con uno stipendio modesto ma
più che sufficiente per i suoi bisogni, e un televisore su cui seguire
il calcio, il suo sport preferito. Quando era ancora un giovane
ottimista, sognava di zampettare sul campo accanto ai suoi calciatori
preferiti, di fronte a migliaia di tifosi in delirio. Il fatto di essere
negato con la palla tra i piedi, però, non aveva intaccato il suo
ottimismo. “In fondo – pensava – sarei potuto nascere servo della gleba
nel Medioevo o uomo primitivo nell’era dei dinosauri”. Ebbene no, la
storia naturale non era il suo forte.
L’ottimista non nutriva una grande passione per la politica. A dire il vero, non gli interessava proprio, salvo reagire con un’istintiva diffidenza di fronte a tutte le manifestazioni, gli scioperi e le proteste di piazza, che sembravano voler mettere in discussione il suo ottimismo. Senza rendersene conto, l’ottimista faceva parte della maggioranza silenziosa che a ogni passaggio elettorale assicurava la vittoria al candidato più ottimista di turno. “L’ottimismo è il sale della vita”, ripeteva ogni volta a se stesso nel segreto della cabina elettorale, prima di tracciare la crocetta sul simbolo del partito più ottimista del momento. Era una frase che aveva sentito molte volte in tv e gli sembrava riassumere alla perfezione il suo approccio alla vita.
Il giorno in cui gli comunicarono il licenziamento dalla fabbrica di laterizi, che aveva deciso di trasferire uffici e produzione all’estero, l’ottimista non venne meno al suo ottimismo. In tv aveva sentito il politico ottimista che aveva votato alle ultime elezioni spiegare che c’era la crisi, che le aziende dovevano fronteggiare la sempre più agguerrita concorrenza internazionale e che tutti avrebbero dovuto fare la loro parte per rilanciare il Paese. Lui avrebbe fatto la sua. “In fondo – pensò – sarei potuto nascere in uno di quei Paesi africani dove i bambini hanno la pancia grossa per la fame”. E si sentì subito meglio.
Tonino Guerra al tempo dello spot per Unieuro
Quando arrivò la notizia dell’acquisto dei diritti televisivi del calcio da parte di una nota pay tv, il suo ottimismo, per la prima volta, vacillò. Ma solo per un attimo. “Nessun pasto è gratis”, disse subito a se stesso, ripetendo la frase che aveva sentito pronunciare mille volte in tv dal politico ottimista che aveva votato alle ultime elezioni. Non avrebbe più potuto guardare le partite di Coppa dei Campioni, perché dopo il licenziamento la televisione a pagamento era un lusso che non poteva permettersi, ma gli restava un tetto sulla testa e il calcio l’avrebbe comunque seguito alla radio o attraverso le cronache dei quotidiani sportivi, disponibili in abbondanza nel bar sotto casa. “In fondo – pensò – sarei potuto nascere in uno di quei Paesi dove lo sport nazionale è il curling”. E si sentì subito meglio.
La notifica dello sfratto colse l’ottimista un po’ di sorpresa, ma anche questa volta il disappunto durò solo i pochi attimi necessari a richiamare nella sua mente le parole che qualche giorno prima aveva sentito ripetere in un talk show televisivo dal politico ottimista che aveva votato alle ultime elezioni. “La crisi ormai è alle spalle – aveva detto – ma per sostenere la ripresa bisogna ridurre il debito pubblico, privatizzare i servizi, valorizzare il patrimonio degli enti locali”. Così il suo Comune aveva posto gli inquilini delle case popolari come lui di fronte all’alternativa di acquistare l’appartamento in cui vivevano o sloggiare. Nel raccogliere le sue cose prima di andarsene, l’ottimista non poté fare a meno di provare un brivido di orgoglio. In quel preciso momento stava dando il suo contributo per rilanciare il Paese. Anche se non sapeva ancora dove avrebbe passato quella notte e quelle successive, perché la sua piccola utilitaria era stata confiscata qualche mese prima, dopo che non era più stato in grado di pagare le rate dell’acquisto, pensò che in fondo era fortunato, perché quando c’è la salute c’è tutto. E si sentì subito meglio.
Al pronto soccorso, dove era stato ricoverato dopo una brutta caduta che gli aveva provocato una frattura all’anca, l’ottimista si sentì spiegare dal medico di turno che avrebbero dovuto sostituirgliela con una protesi in lega di titanio. L’intervento, però, era a pagamento, perché la spending review, approvata qualche mese prima dal governo guidato dal politico ottimista che aveva votato alle ultime elezioni per recuperare fondi da destinare al taglio delle tasse, l’aveva inserito tra le prestazioni sanitarie ritenute non essenziali. L’ottimista si limitò ad annuire, ricordandosi di aver già sentito la stessa spiegazione alla tv del bar della stazione, dove ormai trascorreva quasi tutte le sue notti. “In fondo poteva andarmi peggio – pensò mentre lasciava il pronto soccorso reggendosi sulle stampelle generosamente donate all’ospedale dalla fondazione che faceva capo al politico ottimista che aveva votato alle ultime elezioni – potevo rompermi l’osso del collo”. E si sentì subito meglio.
Il giorno in cui si ruppe l’osso del collo, l’ottimista stava attraversando la strada sulle strisce pedonali davanti alla stazione. Una delle stampelle generosamente donate all’ospedale dalla fondazione che faceva capo al politico ottimista che aveva votato alle ultime elezioni, infatti, si incastrò in uno dei tanti buchi nell’asfalto che l’amministrazione comunale non aveva potuto rattoppare. Buona parte degli stanziamenti locali destinati alla manutenzione stradale, infatti, era stata cancellata nell’ambito di una riduzione complessiva della spesa pubblica, che il governo guidato dal politico ottimista aveva approvato in ossequio alle indicazioni delle istituzioni internazionali, volte a scongiurare una deprecabile battuta d’arresto della virtuosa fase di ripresa economica. “In fondo poteva andarmi peggio”, pensò l’ottimista mentre si schiantava al suolo, ma non riuscì a completare la frase perché fu investito da un’auto che sopraggiungeva proprio in quel momento.
Dentro il loculo che gli era stato riservato nell’anonimo cimitero dell’anonima periferia metropolitana in cui viveva prima dello sfratto – costruito su un terreno a destinazione agricola che il Comune aveva acquistato qualche anno prima dalla fondazione che faceva capo al politico ottimista vincitore delle ultime elezioni, dopo una provvidenziale variazione del piano regolatore – lo spazio era molto buio, angusto e faceva un po’ freddo. L’ottimista, però, non si perse d’animo. “In fondo poteva andarmi peggio – pensò – Se fossi vissuto al tempo dei pirati sarei potuto finire in pasto ai pescecani”. E mentre si compiaceva del fatto di avere di nuovo un tetto tutto per sé sopra la sua testa, si rese conto di essere morto.
L’ottimista non nutriva una grande passione per la politica. A dire il vero, non gli interessava proprio, salvo reagire con un’istintiva diffidenza di fronte a tutte le manifestazioni, gli scioperi e le proteste di piazza, che sembravano voler mettere in discussione il suo ottimismo. Senza rendersene conto, l’ottimista faceva parte della maggioranza silenziosa che a ogni passaggio elettorale assicurava la vittoria al candidato più ottimista di turno. “L’ottimismo è il sale della vita”, ripeteva ogni volta a se stesso nel segreto della cabina elettorale, prima di tracciare la crocetta sul simbolo del partito più ottimista del momento. Era una frase che aveva sentito molte volte in tv e gli sembrava riassumere alla perfezione il suo approccio alla vita.
Il giorno in cui gli comunicarono il licenziamento dalla fabbrica di laterizi, che aveva deciso di trasferire uffici e produzione all’estero, l’ottimista non venne meno al suo ottimismo. In tv aveva sentito il politico ottimista che aveva votato alle ultime elezioni spiegare che c’era la crisi, che le aziende dovevano fronteggiare la sempre più agguerrita concorrenza internazionale e che tutti avrebbero dovuto fare la loro parte per rilanciare il Paese. Lui avrebbe fatto la sua. “In fondo – pensò – sarei potuto nascere in uno di quei Paesi africani dove i bambini hanno la pancia grossa per la fame”. E si sentì subito meglio.
Tonino Guerra al tempo dello spot per Unieuro
Quando arrivò la notizia dell’acquisto dei diritti televisivi del calcio da parte di una nota pay tv, il suo ottimismo, per la prima volta, vacillò. Ma solo per un attimo. “Nessun pasto è gratis”, disse subito a se stesso, ripetendo la frase che aveva sentito pronunciare mille volte in tv dal politico ottimista che aveva votato alle ultime elezioni. Non avrebbe più potuto guardare le partite di Coppa dei Campioni, perché dopo il licenziamento la televisione a pagamento era un lusso che non poteva permettersi, ma gli restava un tetto sulla testa e il calcio l’avrebbe comunque seguito alla radio o attraverso le cronache dei quotidiani sportivi, disponibili in abbondanza nel bar sotto casa. “In fondo – pensò – sarei potuto nascere in uno di quei Paesi dove lo sport nazionale è il curling”. E si sentì subito meglio.
La notifica dello sfratto colse l’ottimista un po’ di sorpresa, ma anche questa volta il disappunto durò solo i pochi attimi necessari a richiamare nella sua mente le parole che qualche giorno prima aveva sentito ripetere in un talk show televisivo dal politico ottimista che aveva votato alle ultime elezioni. “La crisi ormai è alle spalle – aveva detto – ma per sostenere la ripresa bisogna ridurre il debito pubblico, privatizzare i servizi, valorizzare il patrimonio degli enti locali”. Così il suo Comune aveva posto gli inquilini delle case popolari come lui di fronte all’alternativa di acquistare l’appartamento in cui vivevano o sloggiare. Nel raccogliere le sue cose prima di andarsene, l’ottimista non poté fare a meno di provare un brivido di orgoglio. In quel preciso momento stava dando il suo contributo per rilanciare il Paese. Anche se non sapeva ancora dove avrebbe passato quella notte e quelle successive, perché la sua piccola utilitaria era stata confiscata qualche mese prima, dopo che non era più stato in grado di pagare le rate dell’acquisto, pensò che in fondo era fortunato, perché quando c’è la salute c’è tutto. E si sentì subito meglio.
Al pronto soccorso, dove era stato ricoverato dopo una brutta caduta che gli aveva provocato una frattura all’anca, l’ottimista si sentì spiegare dal medico di turno che avrebbero dovuto sostituirgliela con una protesi in lega di titanio. L’intervento, però, era a pagamento, perché la spending review, approvata qualche mese prima dal governo guidato dal politico ottimista che aveva votato alle ultime elezioni per recuperare fondi da destinare al taglio delle tasse, l’aveva inserito tra le prestazioni sanitarie ritenute non essenziali. L’ottimista si limitò ad annuire, ricordandosi di aver già sentito la stessa spiegazione alla tv del bar della stazione, dove ormai trascorreva quasi tutte le sue notti. “In fondo poteva andarmi peggio – pensò mentre lasciava il pronto soccorso reggendosi sulle stampelle generosamente donate all’ospedale dalla fondazione che faceva capo al politico ottimista che aveva votato alle ultime elezioni – potevo rompermi l’osso del collo”. E si sentì subito meglio.
Il giorno in cui si ruppe l’osso del collo, l’ottimista stava attraversando la strada sulle strisce pedonali davanti alla stazione. Una delle stampelle generosamente donate all’ospedale dalla fondazione che faceva capo al politico ottimista che aveva votato alle ultime elezioni, infatti, si incastrò in uno dei tanti buchi nell’asfalto che l’amministrazione comunale non aveva potuto rattoppare. Buona parte degli stanziamenti locali destinati alla manutenzione stradale, infatti, era stata cancellata nell’ambito di una riduzione complessiva della spesa pubblica, che il governo guidato dal politico ottimista aveva approvato in ossequio alle indicazioni delle istituzioni internazionali, volte a scongiurare una deprecabile battuta d’arresto della virtuosa fase di ripresa economica. “In fondo poteva andarmi peggio”, pensò l’ottimista mentre si schiantava al suolo, ma non riuscì a completare la frase perché fu investito da un’auto che sopraggiungeva proprio in quel momento.
Dentro il loculo che gli era stato riservato nell’anonimo cimitero dell’anonima periferia metropolitana in cui viveva prima dello sfratto – costruito su un terreno a destinazione agricola che il Comune aveva acquistato qualche anno prima dalla fondazione che faceva capo al politico ottimista vincitore delle ultime elezioni, dopo una provvidenziale variazione del piano regolatore – lo spazio era molto buio, angusto e faceva un po’ freddo. L’ottimista, però, non si perse d’animo. “In fondo poteva andarmi peggio – pensò – Se fossi vissuto al tempo dei pirati sarei potuto finire in pasto ai pescecani”. E mentre si compiaceva del fatto di avere di nuovo un tetto tutto per sé sopra la sua testa, si rese conto di essere morto.
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