Viviamo in un’epoca dominata da un’ossessione inquietante ripetuta
come un mantra da tutte le classi dirigenti occidentali: il ritorno al
“passato” grazie ad una poderosa crescita. Ogni giorno i nostri leader,
quasi con fare disperato, ci promettono un nuovo ciclo economico votato
alla ripresa, alla crescita del potere d’acquisto e all’incremento di un
maggiore benessere materiale, estendibile a tutti gli elettori, sia
delle classi agiate, che della classe media, fino a quella povera. I
cittadini italiani hanno sentito spesso questo pensiero declinato in
spot elettorali quali un “nuovo miracolo italiano”, un “nuovo
rinascimento italiano” e via dicendo.
Questa narrazione si è radicata in modo profondo nell’animo collettivo, grazie anche all’incessante opera dei mass media combinata con le esternazioni di economisti, analisti, intellettuali e opinionisti di ogni risma, i quali non fanno altro che ribadire la speranza di un futuro radioso, in contrapposizione ai segnali di profonda crisi attuale. Tale propaganda, unita al ricordo del passato, ha generato una pericolosissima illusione nei cittadini occidentali, specialmente nelle nuove generazioni che si avviano ad entrare o sono appena entrate nel mercato del lavoro in questi anni.
Perché, al di là delle frasi fatte e del pessimismo misto rassegnazione che vediamo esibiti in ogni momento dalle nuove generazioni e dalla maggior parte dei cittadini, vi è al contrario, sottotraccia, una segreta speranza e fiducia sulla fine della Crisi. Il desiderio in questione, nello specifico, non è rivolto alla creazione di un nuovo e migliore mondo, ma al contrario è votato ad un ritorno al passato (le mitiche età dell’oro), che può essere il boom economico degli anni 60 o il mini-boom degli anni 80 o addirittura la condizione degli anni 90, prima dell’ingresso nella moneta unica. Ci si illude che la tempesta di questi anni sia stata solo un malessere passeggero, quindi non una crisi sistemica, in attesa di nuovi “anni ruggenti” dove poter tornare a consumare spensieratamente, in modo da aver tutti una bella villetta con piscina, con monovolume annessa e viaggetto semestrale alle Bahamas. Ad alimentare questa distorsione sull’andamento dell’economia occidentale, ci pensa anche il dominio del pensiero unico, il quale pone come come Alfa e Omega dell’umanità il turbo-capitalismo tecnologico-industriale, avendo dimostrato che tutte le precedenti alternative sono fallite nel corso del tempo. Proprio la mancanza di un modello diverso, spinge tutti ad aggrapparsi al lato più “presentabile” del capitalismo (le socialdemocrazie europee) e al loro miglior periodo storico, che è stato il trentennio successivo alla seconda guerra mondiale.
Questa condizione mentale odierna, apparentemente paradossale, è dimostrata proprio dalla “vecchia” progettualità delle nuove generazioni e dal fatto che non riescano ad accettare la fine di un certo tenore di vita. Se i cittadini fossero realmente consapevoli dell’andamento globale e del fatto che il futuro non potrà garantire una pensione dignitosa a fine mese, uno stipendio sicuro o addirittura le condizioni basilari per una vita nella modernità, ma che al contrario si va verso la resa dei conti con un sistema fuori controllo, a quest’ora gli sconvolgimenti all’interno delle pacifiche società europee sarebbero molto più elevati. Così come sarebbero molto più numerosi i tentativi per trovare un’alternativa al morente modello globalizzato.
Ma di fronte al salto nel buio o alla disperata ricerca di un via nuova, la gente preferisce rimanere cullata dal grande sogno di una nuova crescita duratura, in nome di un passato glorioso che però non potrà tornare. Infatti il famoso trentennio keynesiano, che va dalla fine degli anni 40 fino alla fine degli anni 70, è stato un unicum della storia, esattamente come lo furono il Rinascimento, l’Età Vittoriana o l’età d’oro dell’Impero Romano.
Solo prendendo atto della fine di un mondo (e non del mondo) si potranno porre le basi per l’ascesa di un nuovo ordine sociale, eliminando le false illusioni che vengono alimentate dalla fine degli anni 70, periodo in cui iniziò il declino della classe media occidentale e l’ascesa della nuova plutocrazia, favorita dal modello globalizzato…
Questa narrazione si è radicata in modo profondo nell’animo collettivo, grazie anche all’incessante opera dei mass media combinata con le esternazioni di economisti, analisti, intellettuali e opinionisti di ogni risma, i quali non fanno altro che ribadire la speranza di un futuro radioso, in contrapposizione ai segnali di profonda crisi attuale. Tale propaganda, unita al ricordo del passato, ha generato una pericolosissima illusione nei cittadini occidentali, specialmente nelle nuove generazioni che si avviano ad entrare o sono appena entrate nel mercato del lavoro in questi anni.
Perché, al di là delle frasi fatte e del pessimismo misto rassegnazione che vediamo esibiti in ogni momento dalle nuove generazioni e dalla maggior parte dei cittadini, vi è al contrario, sottotraccia, una segreta speranza e fiducia sulla fine della Crisi. Il desiderio in questione, nello specifico, non è rivolto alla creazione di un nuovo e migliore mondo, ma al contrario è votato ad un ritorno al passato (le mitiche età dell’oro), che può essere il boom economico degli anni 60 o il mini-boom degli anni 80 o addirittura la condizione degli anni 90, prima dell’ingresso nella moneta unica. Ci si illude che la tempesta di questi anni sia stata solo un malessere passeggero, quindi non una crisi sistemica, in attesa di nuovi “anni ruggenti” dove poter tornare a consumare spensieratamente, in modo da aver tutti una bella villetta con piscina, con monovolume annessa e viaggetto semestrale alle Bahamas. Ad alimentare questa distorsione sull’andamento dell’economia occidentale, ci pensa anche il dominio del pensiero unico, il quale pone come come Alfa e Omega dell’umanità il turbo-capitalismo tecnologico-industriale, avendo dimostrato che tutte le precedenti alternative sono fallite nel corso del tempo. Proprio la mancanza di un modello diverso, spinge tutti ad aggrapparsi al lato più “presentabile” del capitalismo (le socialdemocrazie europee) e al loro miglior periodo storico, che è stato il trentennio successivo alla seconda guerra mondiale.
Questa condizione mentale odierna, apparentemente paradossale, è dimostrata proprio dalla “vecchia” progettualità delle nuove generazioni e dal fatto che non riescano ad accettare la fine di un certo tenore di vita. Se i cittadini fossero realmente consapevoli dell’andamento globale e del fatto che il futuro non potrà garantire una pensione dignitosa a fine mese, uno stipendio sicuro o addirittura le condizioni basilari per una vita nella modernità, ma che al contrario si va verso la resa dei conti con un sistema fuori controllo, a quest’ora gli sconvolgimenti all’interno delle pacifiche società europee sarebbero molto più elevati. Così come sarebbero molto più numerosi i tentativi per trovare un’alternativa al morente modello globalizzato.
Ma di fronte al salto nel buio o alla disperata ricerca di un via nuova, la gente preferisce rimanere cullata dal grande sogno di una nuova crescita duratura, in nome di un passato glorioso che però non potrà tornare. Infatti il famoso trentennio keynesiano, che va dalla fine degli anni 40 fino alla fine degli anni 70, è stato un unicum della storia, esattamente come lo furono il Rinascimento, l’Età Vittoriana o l’età d’oro dell’Impero Romano.
Solo prendendo atto della fine di un mondo (e non del mondo) si potranno porre le basi per l’ascesa di un nuovo ordine sociale, eliminando le false illusioni che vengono alimentate dalla fine degli anni 70, periodo in cui iniziò il declino della classe media occidentale e l’ascesa della nuova plutocrazia, favorita dal modello globalizzato…
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