I fatti di Parigi li conosciamo tutti: due uomini armati, al grido di
“Allah è grande”, hanno attaccato la redazione del periodico francese
di satira politica e religiosa Charlie Hebdo, provocando la morte di
dodici persone tra cui il direttore del giornale e due agenti di
polizia. Difronte a questa violenza inaudita, ignoranza e malafede hanno
preso il posto di una riflessione profonda e di un’analisi lucida
rispetto ai fatti di cui stiamo parlando. L’Occidente ha preferito
seguire la strada dell’allarmismo e dell’irrazionalità dispiegata, dando
luogo a folli interpretazioni e a prese di posizioni divergenti ma
ugualmente grottesche. Il coro di voci che ha commentato i fatti di
Parigi ha reso manifesta l’assenza di un’élite intellettuale europea in
grado di formulare un pensiero adeguato.
Gli sciacalli sono usciti dalle loro tane. Qualcuno ha parlato di una matrice religiosa dell’attentato, affermando che non si tratta di un gruppo di fondamentalisti ma che il nemico da combattere si chiama Islam. Non esiste un Islam moderato contrapposto ad un fondamentalismo islamico; il Corano parla chiaro: l’infedele deve essere estirpato dal mondo. Dall’altro lato della trincea, si è giunti alla conclusione che il nemico pubblico si chiami semplicemente religione, cristiana o musulmana che sia. La religione, infatti, degenererebbe sempre nel fondamentalismo e nel pregiudizio. Una società senza religione è una società aperta e pacifica, libera dagli assurdi dogmi medievali. Un altro filone di grandi pensatori ha tirato in ballo la questione dell’immigrazione, affermando che essa rappresenta il ponte attraverso il quale questi terroristi giungono in Europa, partiti da terre lontane. Dimentichi, per ignoranza o per malafede, che la stragrande maggioranza di questi miliziani è nata e cresciuta in Europa, figli in un certo qual senso del nostro stesso Occidente.
Nessuno, per esempio, ha ipotizzato che mezzo secolo di politica estera aggressiva da parte dell’Occidente democratico nei confronti del mondo arabo potrebbe aver svegliato il mostro che riposava nelle sabbie dell’Est. A nessuno è venuto in mente che forse questi colpi sferrati in nome di Allah non abbiamo nulla a che vedere con l’argomento religioso, mentre rappresentano la reazione ad un imperialismo economico e culturale cui determinate culture non hanno intenzione di sottomettersi. E ancora, nessuno si era mai strappato i capelli per quel fondamentalismo islamico che inzuppa di sangue il continente africano da decenni e che fa notizia nei nostri telegiornali tra il servizio dedicato alla cucina e quello dedicato al gossip del mondo dello spettacolo. Fin quando non viene attaccata la Francia, regna il silenzio del clero mediatico. Nessuna marcia, nessun corteo di nessun capo di Stato per le 2000 vittime dell’attacco di Boko Haram, che ha raso al suolo la città di Damaturu. Pochi, inoltre, si sono chiesti chi ci sia veramente dietro la strage di Parigi. Isis ha applaudito, ma non ha rivendicato l’attentato. Il nemico non ha una patria, e non ci sono campi di battaglia. Ma, ancora una volta, l’Occidente è piombato in uno stato confusionale. Continuiamo a non capire. Non si tratta di una guerra di religione, né di uno scontro di civiltà, nei termini in cui lo si è finora inteso. Si tratta di una guerra senza frontiere tra un fondamentalismo retrogrado e violento ed un Occidente spersonalizzato e privo di identità, unito da nient’altro che una logica di mercato, che porta avanti politiche di imperialismo culturale.
La questione più interessante è quella che riguarda uno slogan che sta facendo il giro del mondo: JeSuisCharlie. E’ lo slogan di chi crede di difendere la libertà di espressione, intesa come la libertà di dire tutto ciò che si vuole, la libertè della rivoluzione francese, la libertà senza limiti. Senza limiti e senza rispetto neanche per la religione, considerata un lascito medievale, priva di senso nell’era della modernità. L’idea che la religione rappresenti un qualcosa di superato e superabile, appartenente solo a chi non è ancora passato dalla parte della ragione, genera l’idea secondo cui risparmiarla da una satira violenta non rappresenti più un peccato contro ciò che è sacro, un crimine di lesa maestà divina. Il sacro, ciò che per un credente era, è e sarà, viene degradato al livello del profano. Come se la religione fosse l’ultima moda intoccabile da buttare giù, una volta per tutte, per aprire la strada ad una libertà di espressione senza confini. Dio rappresenta, idealmente, l’ultimo vero grande ostacolo alla logica del “posso dire tutto quello che voglio”, al progetto dell’uomo moderno di farsi Dio di se stesso. E’ una situazione già vista: la libertà di espressione si, purché rientri nelle linee e nei dogmi del fondamentalismo laico, nei canoni di un relativismo per cui tutto è vero, nulla è verità. In nome di questa libertà, siete tutti Charlie.
E sia: Io non sono Charlie. Io sono la città di Damaturu, io sono il bambino palestinese morto sotto le macerie della guerra, io sono il musulmano che rispetta le leggi, io sono il Gesù Bambino nel presepe di San Pietro portato via dalle Femen, io sono Corano bruciato dalle stesse Femen in nome della libertà, io sono il figlio senza voce dell’Africa distrutta dalle guerre finanziate dall’Occidente, io sono l’ateo che rispetta il credente, io sono il cittadino che non si arrende al pensiero uniforme e uniformante, io sono poliziotto ucciso a sangue freddo a Parigi, io sono il musulmano che ha salvato la vita agli ostaggi, io sono le vittime del silenzio in Ucraina. Io non sono come voi, io non sono Charlie.
Gli sciacalli sono usciti dalle loro tane. Qualcuno ha parlato di una matrice religiosa dell’attentato, affermando che non si tratta di un gruppo di fondamentalisti ma che il nemico da combattere si chiama Islam. Non esiste un Islam moderato contrapposto ad un fondamentalismo islamico; il Corano parla chiaro: l’infedele deve essere estirpato dal mondo. Dall’altro lato della trincea, si è giunti alla conclusione che il nemico pubblico si chiami semplicemente religione, cristiana o musulmana che sia. La religione, infatti, degenererebbe sempre nel fondamentalismo e nel pregiudizio. Una società senza religione è una società aperta e pacifica, libera dagli assurdi dogmi medievali. Un altro filone di grandi pensatori ha tirato in ballo la questione dell’immigrazione, affermando che essa rappresenta il ponte attraverso il quale questi terroristi giungono in Europa, partiti da terre lontane. Dimentichi, per ignoranza o per malafede, che la stragrande maggioranza di questi miliziani è nata e cresciuta in Europa, figli in un certo qual senso del nostro stesso Occidente.
Nessuno, per esempio, ha ipotizzato che mezzo secolo di politica estera aggressiva da parte dell’Occidente democratico nei confronti del mondo arabo potrebbe aver svegliato il mostro che riposava nelle sabbie dell’Est. A nessuno è venuto in mente che forse questi colpi sferrati in nome di Allah non abbiamo nulla a che vedere con l’argomento religioso, mentre rappresentano la reazione ad un imperialismo economico e culturale cui determinate culture non hanno intenzione di sottomettersi. E ancora, nessuno si era mai strappato i capelli per quel fondamentalismo islamico che inzuppa di sangue il continente africano da decenni e che fa notizia nei nostri telegiornali tra il servizio dedicato alla cucina e quello dedicato al gossip del mondo dello spettacolo. Fin quando non viene attaccata la Francia, regna il silenzio del clero mediatico. Nessuna marcia, nessun corteo di nessun capo di Stato per le 2000 vittime dell’attacco di Boko Haram, che ha raso al suolo la città di Damaturu. Pochi, inoltre, si sono chiesti chi ci sia veramente dietro la strage di Parigi. Isis ha applaudito, ma non ha rivendicato l’attentato. Il nemico non ha una patria, e non ci sono campi di battaglia. Ma, ancora una volta, l’Occidente è piombato in uno stato confusionale. Continuiamo a non capire. Non si tratta di una guerra di religione, né di uno scontro di civiltà, nei termini in cui lo si è finora inteso. Si tratta di una guerra senza frontiere tra un fondamentalismo retrogrado e violento ed un Occidente spersonalizzato e privo di identità, unito da nient’altro che una logica di mercato, che porta avanti politiche di imperialismo culturale.
La questione più interessante è quella che riguarda uno slogan che sta facendo il giro del mondo: JeSuisCharlie. E’ lo slogan di chi crede di difendere la libertà di espressione, intesa come la libertà di dire tutto ciò che si vuole, la libertè della rivoluzione francese, la libertà senza limiti. Senza limiti e senza rispetto neanche per la religione, considerata un lascito medievale, priva di senso nell’era della modernità. L’idea che la religione rappresenti un qualcosa di superato e superabile, appartenente solo a chi non è ancora passato dalla parte della ragione, genera l’idea secondo cui risparmiarla da una satira violenta non rappresenti più un peccato contro ciò che è sacro, un crimine di lesa maestà divina. Il sacro, ciò che per un credente era, è e sarà, viene degradato al livello del profano. Come se la religione fosse l’ultima moda intoccabile da buttare giù, una volta per tutte, per aprire la strada ad una libertà di espressione senza confini. Dio rappresenta, idealmente, l’ultimo vero grande ostacolo alla logica del “posso dire tutto quello che voglio”, al progetto dell’uomo moderno di farsi Dio di se stesso. E’ una situazione già vista: la libertà di espressione si, purché rientri nelle linee e nei dogmi del fondamentalismo laico, nei canoni di un relativismo per cui tutto è vero, nulla è verità. In nome di questa libertà, siete tutti Charlie.
E sia: Io non sono Charlie. Io sono la città di Damaturu, io sono il bambino palestinese morto sotto le macerie della guerra, io sono il musulmano che rispetta le leggi, io sono il Gesù Bambino nel presepe di San Pietro portato via dalle Femen, io sono Corano bruciato dalle stesse Femen in nome della libertà, io sono il figlio senza voce dell’Africa distrutta dalle guerre finanziate dall’Occidente, io sono l’ateo che rispetta il credente, io sono il cittadino che non si arrende al pensiero uniforme e uniformante, io sono poliziotto ucciso a sangue freddo a Parigi, io sono il musulmano che ha salvato la vita agli ostaggi, io sono le vittime del silenzio in Ucraina. Io non sono come voi, io non sono Charlie.
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