L’Europa ha fotocopiato il modello produttivo e sociale di coloro che
distrussero dai cieli sessantasei delle sue maggiori città. L’Europa è
spenta, non è più centro di elaborazione e irradiazione di criteri
normativi adottati nel resto del mondo. Da essa non si irradiano più
culture e linee di forza capaci di sedimentare e stabilizzare aree
geografiche e sociali. E’ imitazione, copia sfocata, incapacità di
improntarsi alla sua specificità storica. Abiura e rinnega, in nome e
per conto d’un
universalismo trapiantato e importato, che è solo sudditanza ai neofiti dell’usura riattualizzata.
I tristi saltimbanchi, privi di bussola e mappe genuine della psicogeografia dell’Europa reale, persistono nell’apologetica. accecati su un vagone rimorchiato. Piombato dai nuovi barbari che -mentre saccheggiano senza ritegno- hanno plasmato la mentalità adatta a riprodurre la servitù volontaria. Incassano i benefici di una estesa interiorizzazione del senso di colpa, spinta fino alla negazione di sè stessi e all’imitazione di chiunque altro (“dobbiamo fare come in Germania” o “in america” ecc). E’ venuta a galla una identità surrogata da limes lontano dell’impero.
Impazzano i funzionari neocoloniali, quelli dall’inamovibile “erre-moscia” sempre attualizzata ai centri esterni della dominazione di turno; gli entusiasti d’una Italia ridivenuta “espressione geografica” che spazza via ogni retaggio della storia e del suo divenire nel territorio. Ladri di storia e di geografia al servizio della geopolitica anglosax, arroganti quando occultano il decisivo e storico apporto antinazista della Russia. Infine, è il breve carnevale dei psicolabili che esibiscono la maschera dell’Europa evaporata nella nube di un “occidente” ad estensione variabile.
Dal “modernismo” esibito con pose caricaturali, scaturiscono controfigure plasmate alla temperie morale proprie di una neo colonia. Subordinata, inchiodata ad assorbire “cultura” seriale, stilemi grotteschi, slogan e i diktat apologetici dell’autonomia del denaro. L’introiezione dei caratteri dell’epoca della carestia (per ceti bassi e plebe) si fonda sulla supremazia assoluta dell’individualismo, assunto come unico e ineluttabile fattore positivo e lecito. Chi osa resistere ai settari che si compiacciono del ruolo di liberali immaginari, viene scaraventato nella bolgia dei reazionari o populisti. Si auto-rappresentano sempre come progresso ed efficienza in lotta epica contro l’arretratezza; oppure come riformatori e partito del “cambio” contrapposti ai conservatori e biechi difensori del passato.
L’individualismo vorrebbe dissolvere ogni altra identità e valore: classe, famiglia, nazione, popolo, comunità, solidarietà, spiritualità e dignità. Predicano la bontà di una identità sessuale indifferenziata ed equivalente, però con predilezione per l’infecondità e la sterilità. L’atomizzazione sociale deve accelerare la decomposizione e la solitudine più estrema, e troncare radici, rami, foglie e i frutti, per l’avvento definitivo dei grossisti del denaro. Incombe l’incubo del millenarismo mediatico dei nuovi padroni della natura e degli umani. E’ l’agguato proditorio di una sopravvivenza -spacciata come destino manifesto!- che si nutre di paura e angoscia permanente. Si varano e proteggono regimi para-terroristi, utilizzatori intensivi di droni, committenti di guerre privatizzate appaltate a “mercenari con patologie politiche indotte o criminalità pseudoreligiosa di avariata origine”.
E’ in corso uno scontro epocale tra le forze stanziali, legate ai vincoli umani, territoriali e affettivi della produzione concreta e l’elite con la sua struttura di potere reale. Fondata sul nomadismo della finanza che impone regole draconiane per sacralizzare la magia del denaro generato direttamente dal denaro. La necessità, o meno, di passare attraverso il lavoro e la produzione prima che il denaro possa accrescersi, è l’oggetto dell’attuale contesa su scala mondiale. Nessuno “scontro di civiltà”, piuttosto un urto “biblico” tra il nuovo auge delle religioni dell’usura e le maggioranze operose, che sono complementari solo con il policentrismo. Sono entrati in collisione la comunità e il dominio reale del capitale, la cooperazione come alternativa alla concorrenza, l’iper-individualismo dell’elite totalitaria e la superstite socialità umana.
E’ belligeranza asimmetrica tra i fabbricanti di valori coniati dai templi liberisti e quanti si battono per mantenerli fuori e separati dal potere politico. Mercato ed economia sono un frammento del sociale, importante ma non preponderante. Sono la parte, non il tutto. Pertanto la visione dell’economia come cosa integralmente autonoma, svincolata e superiore ad ogni altro valore e struttura sociale, si rivela un fondamentalismo da contrastare con crescente fermezza. Questi strambi liberali, in realtà, sono nemici giurati di ogni sovranità geopolitica, culturale ed economica, come pure di ogni identità che non deriva o non si subordina al primato dell’economia.
Da un lato c’è l’oligarchia con il suo espansionismo egemonico e dall’altro l’arco di forze che si richiamano alle tradizioni con giustizia, ed hanno bisogno dello Stato come pilota collettivo che stabilisce le mete di fondo del bene comune. Lo scontro reale in atto è quello che oppone elite e società, oligarchia e popoli. Per l’equità è indispensabile la separazione assoluta tra potere politico e potere economico, tra l’egoismo onnivoro dei manipoli oscuri e la minacciata socialità delle maggioranze.
universalismo trapiantato e importato, che è solo sudditanza ai neofiti dell’usura riattualizzata.
I tristi saltimbanchi, privi di bussola e mappe genuine della psicogeografia dell’Europa reale, persistono nell’apologetica. accecati su un vagone rimorchiato. Piombato dai nuovi barbari che -mentre saccheggiano senza ritegno- hanno plasmato la mentalità adatta a riprodurre la servitù volontaria. Incassano i benefici di una estesa interiorizzazione del senso di colpa, spinta fino alla negazione di sè stessi e all’imitazione di chiunque altro (“dobbiamo fare come in Germania” o “in america” ecc). E’ venuta a galla una identità surrogata da limes lontano dell’impero.
Impazzano i funzionari neocoloniali, quelli dall’inamovibile “erre-moscia” sempre attualizzata ai centri esterni della dominazione di turno; gli entusiasti d’una Italia ridivenuta “espressione geografica” che spazza via ogni retaggio della storia e del suo divenire nel territorio. Ladri di storia e di geografia al servizio della geopolitica anglosax, arroganti quando occultano il decisivo e storico apporto antinazista della Russia. Infine, è il breve carnevale dei psicolabili che esibiscono la maschera dell’Europa evaporata nella nube di un “occidente” ad estensione variabile.
Dal “modernismo” esibito con pose caricaturali, scaturiscono controfigure plasmate alla temperie morale proprie di una neo colonia. Subordinata, inchiodata ad assorbire “cultura” seriale, stilemi grotteschi, slogan e i diktat apologetici dell’autonomia del denaro. L’introiezione dei caratteri dell’epoca della carestia (per ceti bassi e plebe) si fonda sulla supremazia assoluta dell’individualismo, assunto come unico e ineluttabile fattore positivo e lecito. Chi osa resistere ai settari che si compiacciono del ruolo di liberali immaginari, viene scaraventato nella bolgia dei reazionari o populisti. Si auto-rappresentano sempre come progresso ed efficienza in lotta epica contro l’arretratezza; oppure come riformatori e partito del “cambio” contrapposti ai conservatori e biechi difensori del passato.
L’individualismo vorrebbe dissolvere ogni altra identità e valore: classe, famiglia, nazione, popolo, comunità, solidarietà, spiritualità e dignità. Predicano la bontà di una identità sessuale indifferenziata ed equivalente, però con predilezione per l’infecondità e la sterilità. L’atomizzazione sociale deve accelerare la decomposizione e la solitudine più estrema, e troncare radici, rami, foglie e i frutti, per l’avvento definitivo dei grossisti del denaro. Incombe l’incubo del millenarismo mediatico dei nuovi padroni della natura e degli umani. E’ l’agguato proditorio di una sopravvivenza -spacciata come destino manifesto!- che si nutre di paura e angoscia permanente. Si varano e proteggono regimi para-terroristi, utilizzatori intensivi di droni, committenti di guerre privatizzate appaltate a “mercenari con patologie politiche indotte o criminalità pseudoreligiosa di avariata origine”.
E’ in corso uno scontro epocale tra le forze stanziali, legate ai vincoli umani, territoriali e affettivi della produzione concreta e l’elite con la sua struttura di potere reale. Fondata sul nomadismo della finanza che impone regole draconiane per sacralizzare la magia del denaro generato direttamente dal denaro. La necessità, o meno, di passare attraverso il lavoro e la produzione prima che il denaro possa accrescersi, è l’oggetto dell’attuale contesa su scala mondiale. Nessuno “scontro di civiltà”, piuttosto un urto “biblico” tra il nuovo auge delle religioni dell’usura e le maggioranze operose, che sono complementari solo con il policentrismo. Sono entrati in collisione la comunità e il dominio reale del capitale, la cooperazione come alternativa alla concorrenza, l’iper-individualismo dell’elite totalitaria e la superstite socialità umana.
E’ belligeranza asimmetrica tra i fabbricanti di valori coniati dai templi liberisti e quanti si battono per mantenerli fuori e separati dal potere politico. Mercato ed economia sono un frammento del sociale, importante ma non preponderante. Sono la parte, non il tutto. Pertanto la visione dell’economia come cosa integralmente autonoma, svincolata e superiore ad ogni altro valore e struttura sociale, si rivela un fondamentalismo da contrastare con crescente fermezza. Questi strambi liberali, in realtà, sono nemici giurati di ogni sovranità geopolitica, culturale ed economica, come pure di ogni identità che non deriva o non si subordina al primato dell’economia.
Da un lato c’è l’oligarchia con il suo espansionismo egemonico e dall’altro l’arco di forze che si richiamano alle tradizioni con giustizia, ed hanno bisogno dello Stato come pilota collettivo che stabilisce le mete di fondo del bene comune. Lo scontro reale in atto è quello che oppone elite e società, oligarchia e popoli. Per l’equità è indispensabile la separazione assoluta tra potere politico e potere economico, tra l’egoismo onnivoro dei manipoli oscuri e la minacciata socialità delle maggioranze.
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