giovedì 1 gennaio 2015

Le riforme dell’instabilità

Babbo Natale Renzi fuori tempo massimo ha costretto con l’endorsment del presidente della Repubblica a chiudere la pratica sulla legge di stabilità con un’accelerazione dovuta certamente ai tempi, ma che non ha tenuto conto di tutti gli emendamenti che la Commissione bilancio doveva votare. Complessivamente la manovra della finanziaria vale poco più di 30 miliardi di cui 10 miliardi sono stati interamente devoluti per stabilizzare il bonus Irpef da 80 euro. Sostanzialmente chi prima tra guadagni ordinari e straordinari percepiva un tantino oltre la soglia dei 26 mila euro annuali, avrà un bel disincentivo a produrre e si adeguerà al bonus. Come osserverebbe l’economista di scuola keynesiana Hyman Minsky, vi è una differenza sostanziale tra uno stato che interviene per creare posti di lavoro e uno stato che interviene per favorire l’assistenzialismo. Ma andiamo oltre. Gli unici due provvedimenti che andrebbero nella giusta direzione sono il taglio dell’Irap (che comunque sarebbe stato opportuno rendere di maggiore entità) e la prevista chiusura di alcune società partecipate
Dal punto di vista delle imposte, babbo Renzi si è preso letteralmente gioco degli alluvionati genovesi e di tutti i territori colpiti dalle recenti inondazioni. Oggi infatti si verseranno tutte le tasse doverosamente sospese, vergognosamente non rinviate a data da destinarsi. Un altro aspetto tragico, sempre per quanto riguarda la tassazione- e questo passa ogni limite di ragionevolezza- è l’aumento dei prelievi sui fondi pensione: un disincentivo totale da parte dello stato, in un momento di de-crescita e di disoccupazione strutturale, a creare le così dette pensioni integrative. Un’implicita difesa da parte del governo a favore dell’attuale sistema pensionistico, oggettivamente insostenibile nei numeri. Babbo Renzi non sta facendo un favore ai giovani come più volte ha blaterato: semplicemente gli sta dicendo di andarsene da questo paese, oppure di rimanere alle sue condizioni, cioè alle condizioni di uno stato che non offre più servizi, ma solo sperequazioni
Chiudiamo con l’Europa. Sta infatti per finire il semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea. Ragionevolmente qualcuno potrebbe chiedersi se sia mai iniziato: coni di gelato a parte, la voce dell’Italia in Europa si è fatta sentire solo per informarla dell’abolizione dell’articolo 18, del jobs act e dell’eliminazione delle Province, che doveva essere maggiormente graduata visto che adesso si pone il problema ancora una volta della ricollocazione di tutti i dipendenti: ritorniamo sulle famose parole che piacciono poco all’Europa delle libertà economiche e dei mercati, ma tanto alla nostra carta costituzionale, la quale per il momento è ancora fondata sul lavoro e sull’occupazione. Concetti diversi, forse incompatibili. Ma se chi rappresenta questo paese e la sua Costituzione, non nota le divergenze storiche e culturali tra i due livelli di governo (nazionale e sovranazionale). Evidentemente ce ne dobbiamo fare una ragione. D’altronde questo governo se ne frega dei vari livelli di governo: basti pensare al trattamento riservato ai territori regionali. Accantonato il federalismo al servizio di sua maestà Europa, non vi è alcuna strategia. Solo tatticismo da politicanti

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