giovedì 8 gennaio 2015

L’America dà i numeri

Che l’economia sia la religione dei nostri tempi e i suoi dati il nuovo verbo non è una sorpresa. Accanto ai sacri dogmi intoccabili – come quello della crescita infinita, dell’inflazione salutare e del Mercato che si autoregola – istituti pubblici e privati ogni giorno sono obbligati a snocciolare cifre, statistiche ed elaborazioni che certifichino la giustezza delle previsioni e lo stato di salute delle nazioni. Eppure se nell’Unione Europea, bloccata da anni in una recessione senza fine e – nei casi fortunati – in una crescita asfittica, si continua a ripetere come un mantra che “l’anno prossimo segnerà l’inversione di tendenza” mentre si rivedono le stime al ribasso, negli Stati Uniti il “miracolo” è già avvenuto. Il PIL nel terzo trimestre non soltanto supera le aspettative (+4,3%), ma eguaglia addirittura il record storico del 2003 (+5%). I dati americani – che hanno sospinto sull’onda dell’entusiasmo Wall Street nelle ultime settimane – sono la dimostrazione che, come esemplifica egregiamente il premier italiano, “puntare su investimenti e crescita funziona”.1
Al di là dell’ovvia tautologia insita nella proposizione renziana occorre però tenere ben presente come questi dati vengano calcolati e di come tutta una serie di artifici contabili siano stati introdotti per sospingere il “miracolo americano” a questi livelli. I metodi usati per calcolare il tasso di disoccupazione e quello dell’inflazione sono concepiti proprio per negarne l’esistenza e la stessa crescita del PIL si scontra con l’evidenza della riduzione del reddito disponibile per la classe media e l’impossibilità di ottenere credito per il consumo. In altre parole se l’economia è cresciuta così vistosamente o l’ha fatto per pochi – il famoso 1% – o non è cresciuta affatto e gli indicatori sono stati ritoccati; ma tant’è: questo basta per infiammare la Borsa e proiettare un’immagine vincente. Il Bureau of Labor Statistics informa che il tasso di disoccupazione è sceso a 5,8%, ma non per la creazione di altrettanti posti di lavoro, ma semplicemente perché coloro che, scoraggiati, hanno smesso di cercarlo non vengono più conteggiati; anche la percentuale di popolazione attiva è scesa ma non per il pensionamento della generazione dei baby boomers – come dicono i Media – ma per mancanza di offerta.2 Tant’è che ormai gli over 60 se hanno un lavoro si guardano bene dal lasciarlo, bloccando di fatto il ricambio generazionale.
Scorporando i dati si nota come non vi sia stato alcun incremento del reddito e neppure aumento del credito ai cittadini, né crescita del settore immobiliare o delle vendite al dettaglio, né tantomeno del commercio. Quindi da dove viene fuori questo magico 5% di crescita? Semplicemente dall’aumento della spesa per i servizi, ovvero dall’Obamacare.3 Dato che il sistema sanitario in America è totalmente privato la spese medica non ricade sul bilancio pubblico ma, anzi, viene conteggiata come un’entrata per le Assicurazioni, generando quindi profitto. La riforma della Sanità ha generato un fiorire di visite e analisi – spesso ridondanti, poiché occorre effettuare le più economiche prima di passare a quelle più dispendiose – che hanno prodotto questa massiccia crescita nel terzo trimestre, che di fatto coincide con il pagamento dei servizi erogati. Mentre l’indice dei prezzi alla produzione è più basso di quello del 2008, il prezzo di tutte le materie prime è crollato – petrolio, acciaio, gas, rame, ecc. – e l’attacco finanziario alla Russia è fallito (grazie anche all’aiuto della Cina), a Wall Street si respira un’aria euforica simile a quella del Titanic mentre viaggiava spedito contro il destino. Se a ciò si aggiunge l’esposizione delle banche e dei fondi d’investimento verso il settore del fracking e del petrolio bituminoso – ormai fuori mercato dalla mossa dell’Arabia Saudita – più che da gioire c’è da preoccuparsi a dispetto di questi “magici numeri”.

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