L'economia mondiale continua a crescere,
laddove riesce ancora a crescere (come in Cina e negli Stati Uniti)
grazie ai debiti pubblici accumulati negli ultimi anni e grazie ai
finanziamenti agevolati o a fondo
perduto concessi dalle banche centrali alle banche ordinarie. A questi
due elementi si deve aggiungere, in particolare negli Usa,
l'indebitamento cronico delle famiglie da sempre abituate a chiedere
soldi in prestito per comprare casa o più semplicemente per consumare.
E' un sistema che può durare finché vi è una crescita economica
sufficiente e continua ma che in una fase di recessione come questa non
può che essere sempre sul punto di implodere su stesso. Alla fine
infatti ci sarà sempre qualcuno che si rifiuterà di prendere tra le dita
il classico cerino acceso, il quale, purtroppo, nel frattempo avrà già
ustionato non pochi dei suoi possessori. Le misure messe in atto finora,
all'insegna dell'austerità, dai governi e dalle banche centrali europee
si sono mostrate inadeguate. In Italia, tanto per dirne una, la
revisione e la razionalizzazione della spesa hanno prodotto scarsi
risultati. Se il disavanzo è sceso, apparentemente, sotto il 3% del Pil,
il che ci fa rientrare sotto il tetto stabilito dal Patto di Stabilità,
il debito pubblico resta al 135% ed è quello che, grazie ai rendimenti
dei titoli decennali, contribuisce a determinare lo spread con i Bund
tedeschi. Se Sparta (si fa per dire) piange, Atene non ride. La Grecia,
nonostante i suoi governi abbiano offerto tutte le ricchezze del Paese
(ed anche altro) alla voracità della Troika (Fondo Monetario
internazionale, Bce e Commissione europea), non è riuscita a rimettersi
in sesto. Il debito pubblico resta al 180%, cifra più, cifra meno. E
sono sempre più insistenti le voci e i timori che la bancarotta sia
dietro l'angolo e con essa, a seguire, l'uscita dall'euro con tutte le
inevitabili conseguenze per la moneta unica che ne potrebbe essere
travolta. Un euro, nel cui sistema, è bene sempre ricordarlo, la Grecia
fu in grado di entrare dopo che i “tecnici” della Goldman Sachs (di cui
Mario Draghi fu vicepresidente per l'Europa) offrirono la propria
consulenza per truccare i conti pubblici e presentare la situazione
economica migliore di quello che fosse in realtà. Si tratta della stessa
Goldman Sachs, salvata dal fallimento grazie ai soldi di Obama, che ha
speculato massicciamente contro i titoli italiani con l'intento di
indebolire l'euro. Due obiettivi apparentemente opposti ed
inconciliabili ma che trovano la loro ragione di essere nella ricerca
sistematica del profitto. Il capitalismo, anglofono, europeo o asiatico
che sia, non riconosce infatti né patrie né frontiere. Il mercato
globale da esso sostenuto comporta la possibilità di spostare a
piacimento i capitali, in cerca di un guadagno, allo stesso modo delle
materie prime, dei prodotti finiti e della forza lavoro. La Bce, dopo
aver tagliato i tassi di interesse fino al minimo storico dello 0,15 per
cento, e dopo aver annunciato altri operazioni “non convenzionali”, in
sostanza offrendo altri soldi alle banche, pensa adesso all'acquisto di
titoli pubblici a lungo termine. Un cambio radicale di strategia perché
finora ci si era limitati a comprare quelli fino a 3 anni, lasciando
questa incombenza al Fondo europeo salva Stati. Una dimostrazione
evidente del fatto che il timore diffuso è appunto quello di una
implosione dell'euro che partirebbe da Grecia o Italia con i rispettivi
titoli pubblici decennali che finirebbero fuori mercati perché nessuno
vuole più comprarli perché non crede alla loro solvibilità futura. Negli
Usa nel frattempo ci si prepara al solito teatrino al Congresso tra
democratici e repubblicani per alzare il tetto “legale” del debito
pubblico. Un teatrino al quale si assiste inevitabilmente prima di
Natale e prima della chiusura estiva. Le ultime speranze di una
inversione di tendenza sono offerte dal mega piano di investimenti in
opere pubbliche finanziato dall'Unione Europea e dalla Banca europea
degli Investimenti che ne sarà il braccio finanziario. Una svolta
“keynesiana” che molti si aspettavano ed auspicavano ma che in Italia,
come in passato, rischia di trasformarsi in una occasione di magna magna
per le banche e per le solite consorterie nazionali e locali che
cercheranno di arraffare quanto più è possibile, fregandosene altamente
del nostro futuro economico.
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