mercoledì 3 dicembre 2014

Il disastro prossimo venturo

L'economia mondiale continua a crescere, laddove riesce ancora a crescere (come in Cina e negli Stati Uniti) grazie ai debiti pubblici accumulati negli ultimi anni e grazie ai finanziamenti agevolati o a fondo perduto concessi dalle banche centrali alle banche ordinarie. A questi due elementi si deve aggiungere, in particolare negli Usa, l'indebitamento cronico delle famiglie da sempre abituate a chiedere soldi in prestito per comprare casa o più semplicemente per consumare. E' un sistema che può durare finché vi è una crescita economica sufficiente e continua ma che in una fase di recessione come questa non può che essere sempre sul punto di implodere su stesso. Alla fine infatti ci sarà sempre qualcuno che si rifiuterà di prendere tra le dita il classico cerino acceso, il quale, purtroppo, nel frattempo avrà già ustionato non pochi dei suoi possessori. Le misure messe in atto finora, all'insegna dell'austerità, dai governi e dalle banche centrali europee si sono mostrate inadeguate. In Italia, tanto per dirne una, la revisione e la razionalizzazione della spesa hanno prodotto scarsi risultati. Se il disavanzo è sceso, apparentemente, sotto il 3% del Pil, il che ci fa rientrare sotto il tetto stabilito dal Patto di Stabilità, il debito pubblico resta al 135% ed è quello che, grazie ai rendimenti dei titoli decennali, contribuisce a determinare lo spread con i Bund tedeschi. Se Sparta (si fa per dire) piange, Atene non ride. La Grecia, nonostante i suoi governi abbiano offerto tutte le ricchezze del Paese (ed anche altro) alla voracità della Troika (Fondo Monetario internazionale, Bce e Commissione europea), non è riuscita a rimettersi in sesto. Il debito pubblico resta al 180%, cifra più, cifra meno. E sono sempre più insistenti le voci e i timori che la bancarotta sia dietro l'angolo e con essa, a seguire, l'uscita dall'euro con tutte le inevitabili conseguenze per la moneta unica che ne potrebbe essere travolta. Un euro, nel cui sistema, è bene sempre ricordarlo, la Grecia fu in grado di entrare dopo che i “tecnici” della Goldman Sachs (di cui Mario Draghi fu vicepresidente per l'Europa) offrirono la propria consulenza per truccare i conti pubblici e presentare la situazione economica migliore di quello che fosse in realtà. Si tratta della stessa Goldman Sachs, salvata dal fallimento grazie ai soldi di Obama, che ha speculato massicciamente contro i titoli italiani con l'intento di indebolire l'euro. Due obiettivi apparentemente opposti ed inconciliabili ma che trovano la loro ragione di essere nella ricerca sistematica del profitto. Il capitalismo, anglofono, europeo o asiatico che sia, non riconosce infatti né patrie né frontiere. Il mercato globale da esso sostenuto comporta la possibilità di spostare a piacimento i capitali, in cerca di un guadagno, allo stesso modo delle materie prime, dei prodotti finiti e della forza lavoro. La Bce, dopo aver tagliato i tassi di interesse fino al minimo storico dello 0,15 per cento, e dopo aver annunciato altri operazioni “non convenzionali”, in sostanza offrendo altri soldi alle banche, pensa adesso all'acquisto di titoli pubblici a lungo termine. Un cambio radicale di strategia perché finora ci si era limitati a comprare quelli fino a 3 anni, lasciando questa incombenza al Fondo europeo salva Stati. Una dimostrazione evidente del fatto che il timore diffuso è appunto quello di una implosione dell'euro che partirebbe da Grecia o Italia con i rispettivi titoli pubblici decennali che finirebbero fuori mercati perché nessuno vuole più comprarli perché non crede alla loro solvibilità futura. Negli Usa nel frattempo ci si prepara al solito teatrino al Congresso tra democratici e repubblicani per alzare il tetto “legale” del debito pubblico. Un teatrino al quale si assiste inevitabilmente prima di Natale e prima della chiusura estiva. Le ultime speranze di una inversione di tendenza sono offerte dal mega piano di investimenti in opere pubbliche finanziato dall'Unione Europea e dalla Banca europea degli Investimenti che ne sarà il braccio finanziario. Una svolta “keynesiana” che molti si aspettavano ed auspicavano ma che in Italia, come in passato, rischia di trasformarsi in una occasione di magna magna per le banche e per le solite consorterie nazionali e locali che cercheranno di arraffare quanto più è possibile, fregandosene altamente del nostro futuro economico.

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