È confermato: il regalo di Natale del governo Renzi sarà un bel
pacco pieno di licenziamenti. Ieri il premier ha incontrato il
ministro del Lavoro Giuliano Poletti, per mettere a punto i decreti
delegati che saranno varati al consiglio dei ministri (Cdm) di
domani: «Al Cdm avremo tutto pronto», ha spiegato Poletti uscendo dal
confronto con il capo dell’esecutivo.
Il Jobs Act, quindi, avrà una sua prima declinazione, e proprio sul fronte della parte più contestata, quella che ha messo in soffitta l’articolo 18 per passare al precarizzante «contratto a tutele crescenti». Non si conosce ancora il contenuto del provvedimento, e ieri è anzi trapelato — voce non smentita — che il governo starebbe pensando ad autorizzare il licenziamento per «scarso rendimento».
Bisognerà capire se questa tipologia — sempre che venga confermata l’intenzione — verrà inserita nell’ambito dei licenziamenti di carattere oggettivo/economico (il che sarebbe tecnicamente più semplice, e non darebbe luogo, in forza della riforma stessa, al reintegro) o invece in quelli disciplinari (il che invece, visto che questi ultimi prevederebbero in alcuni casi la reintegra, complicherebbe poi l’applicabilità). Ed è chiaro che un licenziamento del genere, dovunque lo inserisci, lascerebbe piena discrezionalità all’imprenditore.
Come sappiamo con Matteo Renzi l’asticella del possibile si sposta sempre più verso l’hard, quindi purtroppo c’è da temere di tutto: basti ricordare come fino all’estate il premier insistesse ovunque che l’articolo 18 non era tema di discussione, per poi eseguire una bella giravolta improvvisa a fine agosto.
I sindacati per ora restano divisi sul da farsi. La Cisl procede tranquilla, e aspetta che tutto sia definito per (eventualmente) pronunciarsi: «Non siamo abituati a scontri preventivi — dice la segretaria generale Anna Maria Furlan — Siamo abituati a verificare le leggi quando le abbiamo davanti. Il confronto non finisce qui. È fondamentale che il contratto a tutele crescenti dia risposte al precariato».
Deciso a «resistere», come aveva già annunciato nel corso dello sciopero generale del 12 dicembre, è invece il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo: «Dobbiamo dar vita a un’altra resistenza facendo battaglie sul merito di un Jobs Act e di una riforma del lavoro inique — ha spiegato — Quello che non è riuscito a fare Berlusconi lo sta facendo questo governo».
«La concertazione — ha proseguito Barbagallo — non trova più spazio nella politica dell’esecutivo, che invece si spreca in spot che spesso non corrispondono alla verità. L’intenzione di estendere i diritti a tutti i lavoratori, fino a prova contraria, è rimasta sulla carta: l’articolo 18 è stato depotenziato, la facilità di licenziamento è stata legittimata. Provando a relegare il sindacato e le parti sociali nell’angolo, annullando la contrattazione nazionale e riducendo il ruolo del sindacato all’ambito aziendale».
«E non bastano — ha concluso il leader Uil — gli 80 euro, elargiti peraltro solo ad alcune categorie di lavoratori, dimenticando incapienti e pensionati. Questa riforma accontenta solo gli imprenditori, parla di licenziamenti e non di assunzioni rese più facili. Tuttavia non perdiamo la speranza che arrivi la convocazione per i decreti attuativi».
Né la Cgil, né la Fiom, ieri hanno fatto dichiarazioni sul tema, ma nei giorni scorsi Susanna Camusso e Maurizio Landini avevano spiegato che la mobilitazione sarebbe cresciuta: a maggior ragione se i decreti dovessero essere peggiori del previsto.
Eventuali proteste scivolano a dopo le feste, con la possibilità per il governo — con il Paese in vacanza — di licenziare (la parola pare cadere a pennello) testi parecchio spinti nei contenuti.
Preoccupa anche il capitolo indennizzi, che come è ormai noto, rischiano di essere molto inferiori rispetto agli incentivi alle assunzioni, rendendo quindi conveniente per le imprese assumere per poi licenziare, senza stabilizzare mai. La sottosegretaria al Lavoro Teresa Bellanova ieri cercava di rassicurare: «Sicuramente non ci sarà un peggioramento rispetto agli indennizzi attuali».
E intanto il presidente del Pd Matteo Orfini, per tenere buoni i precari, ha preannunciato «un provvedimento organico sul lavoro autonomo», che conterrà «diritti e tutele». Aggiungendo poi che nelle prossime settimane verranno fatti incontri con le associazioni delle partiteIVA.
Il Jobs Act, quindi, avrà una sua prima declinazione, e proprio sul fronte della parte più contestata, quella che ha messo in soffitta l’articolo 18 per passare al precarizzante «contratto a tutele crescenti». Non si conosce ancora il contenuto del provvedimento, e ieri è anzi trapelato — voce non smentita — che il governo starebbe pensando ad autorizzare il licenziamento per «scarso rendimento».
Bisognerà capire se questa tipologia — sempre che venga confermata l’intenzione — verrà inserita nell’ambito dei licenziamenti di carattere oggettivo/economico (il che sarebbe tecnicamente più semplice, e non darebbe luogo, in forza della riforma stessa, al reintegro) o invece in quelli disciplinari (il che invece, visto che questi ultimi prevederebbero in alcuni casi la reintegra, complicherebbe poi l’applicabilità). Ed è chiaro che un licenziamento del genere, dovunque lo inserisci, lascerebbe piena discrezionalità all’imprenditore.
Come sappiamo con Matteo Renzi l’asticella del possibile si sposta sempre più verso l’hard, quindi purtroppo c’è da temere di tutto: basti ricordare come fino all’estate il premier insistesse ovunque che l’articolo 18 non era tema di discussione, per poi eseguire una bella giravolta improvvisa a fine agosto.
I sindacati per ora restano divisi sul da farsi. La Cisl procede tranquilla, e aspetta che tutto sia definito per (eventualmente) pronunciarsi: «Non siamo abituati a scontri preventivi — dice la segretaria generale Anna Maria Furlan — Siamo abituati a verificare le leggi quando le abbiamo davanti. Il confronto non finisce qui. È fondamentale che il contratto a tutele crescenti dia risposte al precariato».
Deciso a «resistere», come aveva già annunciato nel corso dello sciopero generale del 12 dicembre, è invece il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo: «Dobbiamo dar vita a un’altra resistenza facendo battaglie sul merito di un Jobs Act e di una riforma del lavoro inique — ha spiegato — Quello che non è riuscito a fare Berlusconi lo sta facendo questo governo».
«La concertazione — ha proseguito Barbagallo — non trova più spazio nella politica dell’esecutivo, che invece si spreca in spot che spesso non corrispondono alla verità. L’intenzione di estendere i diritti a tutti i lavoratori, fino a prova contraria, è rimasta sulla carta: l’articolo 18 è stato depotenziato, la facilità di licenziamento è stata legittimata. Provando a relegare il sindacato e le parti sociali nell’angolo, annullando la contrattazione nazionale e riducendo il ruolo del sindacato all’ambito aziendale».
«E non bastano — ha concluso il leader Uil — gli 80 euro, elargiti peraltro solo ad alcune categorie di lavoratori, dimenticando incapienti e pensionati. Questa riforma accontenta solo gli imprenditori, parla di licenziamenti e non di assunzioni rese più facili. Tuttavia non perdiamo la speranza che arrivi la convocazione per i decreti attuativi».
Né la Cgil, né la Fiom, ieri hanno fatto dichiarazioni sul tema, ma nei giorni scorsi Susanna Camusso e Maurizio Landini avevano spiegato che la mobilitazione sarebbe cresciuta: a maggior ragione se i decreti dovessero essere peggiori del previsto.
Eventuali proteste scivolano a dopo le feste, con la possibilità per il governo — con il Paese in vacanza — di licenziare (la parola pare cadere a pennello) testi parecchio spinti nei contenuti.
Preoccupa anche il capitolo indennizzi, che come è ormai noto, rischiano di essere molto inferiori rispetto agli incentivi alle assunzioni, rendendo quindi conveniente per le imprese assumere per poi licenziare, senza stabilizzare mai. La sottosegretaria al Lavoro Teresa Bellanova ieri cercava di rassicurare: «Sicuramente non ci sarà un peggioramento rispetto agli indennizzi attuali».
E intanto il presidente del Pd Matteo Orfini, per tenere buoni i precari, ha preannunciato «un provvedimento organico sul lavoro autonomo», che conterrà «diritti e tutele». Aggiungendo poi che nelle prossime settimane verranno fatti incontri con le associazioni delle partiteIVA.
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