venerdì 17 ottobre 2014

RENZI LA MANOVRA COL "BOTTO"

Come era facile immaginare, anche in occasione della presentazione della Legge di Stabilità, il governo Renzi ha impugnato il megafono per urlare e alzare la posta.

Il documento appena presentato è presente al momento su tutti i siti di informazione. Si tratta di un elenco di misure e di cifre che è impossibile da commentare a fondo, visto il carattere attuale di mero annuncio. Ma anche solo a prima vista, salta immediatamente all’occhio che si tratta di cifre tanto grandi dal rendere impossibile anche solo pensare a una loro reale applicazione.

Valga solo uno dei punti più esilaranti, sul quale si regge poi buona parte dell’impalcatura generale di questa manovra: “il governo ha messo nero su bianco che il rapporto tra deficit e Pil sarà del 2,9%: così facendo ha conquistato 0,7 punti di spazio finanziario in più rispetto al 2,2% inizialmente indicato. In soldoni, si tratta di circa 11 miliardi di euro che si potranno andare a raccogliere sui mercati, generando deficit aggiuntivo ma non intaccando il parametro del 3% voluto dall'Europa."

Le parole chiave per capire il trucco sono le prime: “il governo mette nero su bianco”. Cosa? Una previsione. Noncurante di tutte quelle sino a ora sbagliate, in merito al Pil dell’anno in corso e al suo rapporto col debito, il Governo si arroga il diritto non solo di fare una previsione tanto importante per il 2015, ma addirittura di incardinarci sopra una buona metà della manovra. Che ha un totale di 36 miliardi.

Si tratta di cifre enormi. Impossibili da raggiungere. Impossibili da andare a pescare da nessun bacino, o tesoretto, di cui l’Italia non dispone da decenni. Solo un anno addietro si è discusso mesi e mesi, in Parlamento, per trovare 4 miliardi in merito all’affare dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa. E, sempre che gli italiani se ne siano nel frattempo accorti, anche in quel caso a fronte dell’annuncio di aver poi trovato, alla fine, tale cifra, il tutto si è concepito e realizzato con la sua abolizione ma anche con l’introduzione della Tasi, semplicemente differita di un po’. È notizia di questi giorni, in merito, che la Tasi alla fine, nella maggior parte dei casi, concorre a far pagare tasse sulla casa più alte di quelle che si sarebbero pagate, e che si pagavano a suo tempo, quando invece l’Imu era cosa corrente. In quel caso, visto che di denaro per finanziare l’operazione non ce ne era, il Governo vendette pubblicitariamente una operazione che non è altro che un gioco delle tre carte. Via l’Imu, dentro la Tasi. A somma negativa, per il contribuente.

Le cose, oggi, non sono cambiate. Perché non è cambiata la traiettoria disastrosa dei conti pubblici. Anzi, semmai questi sono peggiorati, e anche se l’ultima rilevazione sul debito pubblico vede una discesa di 20 miliardi, i livelli di disoccupazione e quelli dei consumi sono arretrati ulteriormente, per non parlare del Pil e del relativo rapporto con il debito sul quale l’Europa è in procinto di chiederci conto.

Come è possibile allora che oggi, a conti peggiorati, il Governo sia in grado di varare una manovra così ampia e con spese così “folli” per i nostri conti pubblici? Ovviamente non è possibile nei numeri, per un semplice calcolo aritmetico. E ovviamente ciò significa che, posto che agli annunci seguiranno i decreti attuativi, il che è tutto da vedere, il denaro per coprire tale manovra dovrà essere racimolato altrove. Cioè, per dirla in altre parole, rastrellato da una parte delle tasche dei cittadini e poi immesso, in qualche percentuale, da altre parti. Gli ulteriori tagli a Comuni, Province e Regioni - cioè ai servizi al cittadino - ne sono già un assaggio.

La sola copertura dell’operazione degli 80 euro in busta paga, confermata per il 2015, consta di quasi 10 miliardi. Che non ci sono. E che devono dunque essere raggranellati altrove. Nel complesso, del 36 miliardi della manovra, ben 26 vengono da tagli e da spesa in deficit.

Come accaduto in passato, i mezzi attraverso i quali qualsiasi Governo può rastrellare denaro sono le tasse. Dirette e indirette. Palesi o mascherate. Visibili e invisibili. Per tasse invisibili intendiamo tutte quelle voci, quei balzelli, che non saltano all’occhio immediatamente, ma che poi concorrono all’esproprio complessivo cui ogni cittadino viene condannato. Un esproprio articolato in varie voci, diversificate, e sparpagliate all’interno di tantissimi ambiti in modo da non essere percepite immediatamente come tanto importanti e impopolari. In modo da non destare immediatamente il sospetto, o la certezza, che una concessione fatta da una parte sia poi vanificata da un prelievo dall’altra.

Per intenderci, se a fronte degli 80 euro di Renzi fosse stata varata immediatamente una nuova tassa che andava a concorrere per un importo uguale, il bluff sarebbe stato percepito immediatamente, e il gioco mediatico non avrebbe retto. Invece in occasioni del genere - e lo abbiamo visto innumerevoli volte in passato - si concede 50 e si preleva 55, o 60, spalmando il tutto in voci ulteriori di tassazione di non facilissima e immediata identificazione.

Ora, posto che i denari necessari alla manovra appena annunciata non ci sono, si tratta di capire dove essi saranno prelevati. Per buona parte, almeno a quanto si sa in queste ore, come abbiamo visto la spesa che il Governo ha deciso di effettuare è in deficit, anche se si è premurato immediatamente di precisare che tale spesa andrà a incidere per alcuni punti di Pil ma sempre rientrando all’interno del tetto del 3% per quanto attiene al 2015. Cosa significa? Lo ribadiamo in parole molto semplici: il Governo scommette su delle previsioni. Scommettendo - letteralmente - che nel 2015 il nostro Pil possa essere in ripresa rispetto al disastro del 2014, il Governo conta di poter investire oggi in deficit, e poi aspettare la crescita per ripagare il tutto, come da previsione.

Sulle reali possibilità di vincere la scommessa in merito alla crescita del Pil nel 2015 nutriamo qualche dubbio. Non solo perché le previsioni, in merito, sono periodicamente riviste al ribasso rispetto a quelle precedenti, ed è cosa che accade da molti anni, ormai, ma anche perché non c’è un solo indicatore che sia uno in grado di far pensare che il Pil possa riprendere a crescere. Né in Italia né in tutta Europa e men che meno negli Stati Uniti (visti i crolli di ieri?).

Ecco, l’Italia sta scommettendo su questo quando a livello europeo persino la Germania, ed è notizia anche in questo caso recente, è costretta ad ammettere forti rallentamenti. In estrema sintesi: scommettiamo di andare più forte dei tedeschi, nel 2015. E ognuno può supporre, a questo punto, ciò che vuole.

Lo scenario sperato è quello di spendere ciò che non si ha, essendo certi di effetti sulla ripresa economica tanto forte da essere poi in grado di coprire nel 2015 ciò che si va a fare a debito oggi.

Lo scenario realistico è invece quello della deriva del “sistema del debito” della nostra società, i cui effetti sono evidenti in ogni parte del mondo, che ha già ampiamente dimostrato di non funzionare.

Se si dovesse verificare il primo, tutto a posto, si fa per dire. In caso contrario, delle due l’una: o si sfora pesantemente con il deficit e si aumenta ulteriormente il debito pubblico - con tutto ciò che a livello europeo la cosa comporta - oppure il denaro dovrà essere drenato ai cittadini in altro modo.

L’annuncio di oggi del Governo Renzi va a nostro avviso letto come una fatale condanna per quello che sarà nel prossimo futuro: un inasprimento delle tasse nella migliore della ipotesi, per esempio mediante l’aumento ulteriore dell’Iva e delle accise, un esproprio con una patrimoniale consistente (e ovviamente più visibile) nell’ipotesi a nostro avviso più probabile, oppure il traghettamento diretto verso il commissariamento da parte della troika.

L’operazione di Renzi di oggi non va dimenticata, perché dovremo rammentarla, tra qualche mese, come l’innesco di una ulteriore pesante fase di declino del nostro Paese

Nessun commento:

Posta un commento