Crediamo che i violentissimi episodi, ormai all’ordine del giorno, aprano quattro questioni di rilevanza generale:
1)
le condizioni di vulnerabilità, di rottura degli argini e di non
riconoscimento da parte della società e delle famiglie della funzione
educativa che i docenti ricoprono. Condizioni che determinano
l’individuazione del docente come soggetto su cui scaricare liberamente
aggressività e violenza, cosa che accade, deve essere chiaro, nel solco
della visione della scuola come erogatrice di servizi e non come agenzia
educativa e degli studenti e delle famiglie come utenti e clienti del
mercato dell’istruzione.
2)
le condizioni di abbrutimento complessivo e di disagio sociale che la
scuola si trova a fronteggiare, nell’assenza di adeguate politiche di
crescita educativa e materiale nei quartieri popolari della nostra
città. Assenza che costringe la scuola a svolgere funzioni una volta
affidate ai servizi sociali, oggi smantellati e impotenti, nella logica
dei tagli del servizio pubblico, soprattutto quello di prevenzione.
3)
il fatto che la Scuola italiana da alcuni anni a questa parte stia
perdendo velocemente il suo ruolo di presidio culturale, sociale ed
educativo nelle città e nei quartieri, soprattutto quelli più disagiati,
con il chiaro obiettivo di farla diventare una sorta di centro civico
omnicomprensivo che tradisce le sue funzioni originarie.
4)
le retribuzioni dei docenti, ben al di sotto della media europea, che,
insieme alla campagna denigratoria che da anni ha investito una
categoria di lavoratori che svolge una funzione chiave sul piano
sociale, hanno tolto “valore” alla professione, con la complicità di
Cgil, Cisl e Uil che firmano miseri aumenti di 50 euro mensili dopo 10
anni di blocchi contrattuali, hanno favorito per anni lo snaturamento
della funzione docente e poi organizzano convegni sul recupero della
dignità e del prestigio della professione.
I
ragazzi e le famiglie non trovano più nella scuola un luogo dove
concretamente emanciparsi e migliorare rispetto al proprio contesto
sociale e familiare di partenza. Come istituzione essa non sembra più
interessata a svolgere quel ruolo fondamentale, ma piuttosto tutta la
comunità scolastica (sotto il controllo vigile e spesso minaccioso dei
nuovi presidi-manager-sceriffi) viene forzata a inseguire progetti,
imporre pseudo riforme, fare alternanza scuola-lavoro, cercare sponsor
privati e contenere costi e ora, grazie ai PON su cui tutti si sono
lanciati in cerca di soldi, a tenere aperta la scuola oltre l’orario per
svolgere le più diverse attività, che nulla hanno a che fare con
l’educazione, la produzione e la riproduzione di cultura. Il risultato è
che il ruolo educativo e sociale in ogni scuola – indipendentemente dal
grado, indirizzo e territorio in cui opera – viene lasciato sulle
spalle di ogni singolo professore che in un attimo può divenire anche il
parafulmine e il capro espiatorio di disagio, aggressività,
frustrazione, violenza e ignoranza di alunni e genitori.
Su
questi temi è necessario aprire il dibattito, costruire mobilitazione,
organizzare lavoratori studenti e famiglie perché lo scontro non sia fra
di loro ma contro coloro che determinano l’impoverimento materiale e
culturale nella nostra società.
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