mercoledì 18 aprile 2018

Che si ritorni al voto!

A ben oltre un mese dal risultato elettorale e ben due consultazioni presidenziali lo possiamo dire: che piaccia o meno l’unico ad uscire bene da questo sceneggiato post-elettorale è Matteo Salvini.
Il leader della Lega ha cercato in tutti i modi di favorire, rinunciando anche ad ottenere cariche istituzionali, il dialogo fra le due forze che hanno moralmente “vinto” le scorse elezioni. Come scrivemmo qualche giorno fa, Lega e Cinque Stelle sono i due movimenti caratterizzati da una critica all’europa globalista e al mondo liberale che spesso viene etichettata come populismo. I due partiti convergono nella parte destruens in molte cose. Un’alleanza tra centrodestra e Cinque Stelle in un programma di governo e non certo per applicare pedissequamente il codice Cencelli.
Un’intesa della quale l’Italia avrebbe urgentemente bisogno, ma che si risolverà in un nulla di fatto. Il leader designato dal Movimento Cinque Stelle Luigi Di Maio pretende dal segretario del Carroccio che rinunci all’alleanza con Silvio Berlusconi, individuato dal MoVimento come male assoluto. Il partito dell’ex Cavaliere infatti non deve essere assolutamente coinvolto in un governo, nonostante non sia neanche presente in Parlamento.
Una conventio ad excludendum, ma potremmo dire ad personam, il MoVimento individua in Berlusconi nel peggio che ci possa essere, ma difficilmente si capiscono i contenuti della critica politica. Mentre si diletta con i suoi iscritti a dire le peggiori cose possibili di Berlusconi non presenta alcun problema nel trattare con il PD, malgrado questi ultimi siano stati eletti con le liste elettorali stilate dall’ex segretario Renzi.
Il vero problema di questa fase politica è costituito dalla totale confusione e l’incoerenza nei quali è immerso il MoVimento fondato da Grillo e Casaleggio. Se alle sue origini il MoVimento portava alla ribalta le idee più radicale ed alternative, alcune condivisibili, alcune un po’ meno, il M5S dopo la delusione delle europee del 2014 ha cominciato a cambiare pelle. Sebbene da sempre il MoVimento ha avuto l’aspirazione di diventare la maggioranza assoluta del paese senza fare affidamento a nessun alleato, la sconfitta delle europee ha portato il movimento cinque stelle a nutrire l’aspirazione di fare il partito pigliatutto. Le parole di Beppe Grillo qualche giorno fa sono state eloquenti: “La specie che sopravvive in politica non è quella più forte, ma quella che si adatta meglio. Noi siamo un po’ democristiani, un po’ di destra, un po’ di sinistra, un po’ di centro. Possiamo adattarci a qualsiasi cosa. Purché si affermino le nostre idee”.
Ma siamo sicuri che la lotta politica del MoVimento sia ad oggi basata sulle idee? Quello post-2014 è piuttosto un movimento ossessionato dal fare la guerra al PD. Ma una guerra diversa da quella nei confronti di Berlusconi. È l’ossessione di fare il partito maggioritario, condannato a tutti i costi a superare Renzi e il Partito Democratico. Ma per ottenere un risultato del genere, i Cinque Stelle hanno intrapreso una strada che li sovrappone per larghi tratti alla vecchia DC. Non più la critica all’euro, ma il tentativo di aggancio al Parlamento Europeo al partito dei Liberisti dell’ALDE, guidato da Guy Verhofstadt. Per capirci il partito europeo che ospita partiti come quello dei Liberali Tedeschi, che riescono ad essere ancora più intransigenti della Merkel sull’Europa e sull’austerity.
Una rincorsa ai voti quella del Cinque Stelle che ha fatto appiattire il movimento guidato da Di Maio (che da tempo aspirava alla nomina di capo politico, ben prima del 2017) sulle posizioni di quel giornale-partito che è il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, Peter Gomez, Antonio Padellaro, Gianni Barbacetto. Quelli de Il Fatto, da sempre ossessionati da Berlusconi non hanno perdonato al PD, non le disastrose riforme economiche e sociali che i postcomunisti e il centrosinistra hanno fatto promulgare negli ultimi 25 anni, ma l’aver fatto diventare leader della sinistra Matteo Renzi, il quale ha osato scendere a patti con l’odiato ex Cavaliere.
Vendere l’anima al diavolo della banda de Il Fatto ha pagato in termini elettorali, ma ha avuto un costo. Ormai il Cinque Stelle è caratterizzato per lo più dai suoi tratti legalitari, ben mescolati con alcune promesse che gli italiani valutano come credibili (il reddito di cittadinanza), ed è schiavo di questa sua nuova dimensione. Un partito così caratterizzato non potrebbe mai e poi mai governare con un centrodestra nel quale è presente Silvio Berlusconi. È schiavo però anche delle proprie aspirazioni, nelle quali non c’è spazio per nessuna alleanza con nessuna forza politica.
Se i Cinque Stelle avessero voluto davvero un’alleanza per cercare di ottenere i voti per governare, avrebbero potuto dialogare con Salvini, quando a destra non c’era nessuna intesa su una coalizione elettorale, ma avrebbe rovinato l’immagine che Di Maio ha dato al movimento di Grillo e Casaleggio negli ultimi anni: “fine dei vaffa” e ricerca dell’endorsement dei poteri forti. Adesso cercare di fare leva sulla Lega è pretestuoso e danneggerebbe seriamente la leadership che Salvini è riuscito a costruirsi. Al contrario sarebbe l’ennesimo alleato che tradisce Berlusconi, un gesto che l’elettorato di centrodestra ha fatto sempre pagare caro, chiedere a Fini e Casini.
L’unica soluzione al momento sembra quella del ritorno al voto. Sarebbe inutile anche inventarsi un’altra legge elettorale, quella di Rosato, pur con molti difetti si è rivelata tutto sommato una legge elettorale passabile, se davvero come i leader del cinque stelle e alcuni loro sostenitori dicono, i consensi della squadra di Di Maio sono destinati ad aumentare, dimostrino di riuscire a raggiungere almeno il 40% dei consensi, come da loro massima aspirazione, che significherebbe conquistare quasi la metà dei seggi disponibili, grazie all’uninominale. Tuttavia resta il rischio che i veti posti da Di Maio possa indispettire quegli elettori provenienti da destra e da sinistra che gli avevano dato fiducia.
Naturalmente concludiamo con un appello al Presidente Mattarella: faccia decidere gli italiani con lo strumento simbolo della democrazia rappresentativa: il voto nelle urne. No a governi strani e istituzionali.

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