giovedì 25 gennaio 2018

A Davos sulla globalizzazione i grandi del mondo si sfidano all’arma bianca

Ieri a Davos è iniziato il 48esimo appuntamento annuale del World Economic Forum. Ben cinquemila sono stati i soldati dispiegati dalle autorità svizzere per prevenire eventuali manifestazioni non autorizzate. Il Papa ha mandato una lettera ai grandi che parteciperanno al vertice, invitandoli a “riportare l’uomo al centro dell’economia”. Davos 2018 inizia infatti con una notizia certamente nota ma sempre più grave: l’1% della popolazione mondiale controlla il grosso delle ricchezze. Proprio su questo tema si gioca il futuro della globalizzazione, ed il modo in cui viene vista dai vari attori internazionali.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale la crescita globale è ormai da tempo in costante aumento, ma tutta la ricchezza che in questi anni è stata prodotta è stata poi ripartita in un modo ancora più iniquo che in precedenza. Anche per i prossimi due anni la crescita mondiale è stimata intorno ad un buon 3,9%. Positive anche le stime riguardanti per l’Eurozona: nel 2018 e 2019 crescerà infatti rispettivamente del 2,2 e 2%.
All’Italia il segretario generale dell’OCSE, Angel Gurrìa, ha rivolto la raccomandazione di non fare un solo passo indietro nel cammino delle riforme. Il suo è stato un intervento coincidente con una vera e propria dichiarazione di voto: “Il jobs act, approvato con la fiducia, fu una scommessa azzeccata che ha creato quasi un milione di posti di lavoro e che nessuno, da Berlusconi in poi, aveva avuto i voti per approvare”, e “L’Italia è sempre stata una democrazia vibrante, tradizionalmente il voto è stata una questione di personalità, ma ora c’è una scelta netta fra chi propone di andare avanti sulle riforme e chi dice no a tutto senza fare vere proposte (…). Le opzioni sono abbastanza chiare e sarà un voto dalle conseguenze importanti. Vi auguro il meglio, gli italiani hanno saggezza e sono sicuro che faranno la scelta migliore”. Insomma, all’aristocrazia finanziaria che si riunisce annualmente nel salotto di Davos piace il governo uscente, e l’auspicio è quello di una sua netta riconferma.
A Davos s’è parlato anche di altri argomenti, per esempio le criptovalute come il Bitcoin, su cui sempre Gurrìa ha dichiarato: “Siamo ancora agli inizi sulle criptovalute, non diamogli tutta questa importanza (…). Che siano speculative o no, usate bene o no, per fare transazioni occulte o meno, è certo un problema e dobbiamo assicuraci che valute come Bitcoin siano usate per scopi legittimi”.
Nel frattempo, sul fronte internazionale, s’inasprisce lo scontro fra Donald Trump e il premier indiano Narendra Modi, come dicevamo all’inizio proprio sul tema della globalizzazione. Venerdì Trump arriverà a Davos per spiegare il senso economico del suo slogan “America First”, ovvero ridisegnare il ruolo degli Stati Uniti nel mondo e ridurne le responsabilità verso gli altri paesi. Non a caso in questo suo primo anno alla Casa Bianca Trump ha fatto saltare ogni negoziato commerciale multilaterale, preferendo stabilire con le varie economie del mondo dei rapporti bilaterali. Sono così saltati il TTIP, che avrebbe dovuto unire in un solo mercato Stati Uniti ed Unione Europea, e la Transpacific Partnership avviato da Obama per unire in un unico mercato Washington e dodici paesi dell’Asia e del Pacifico, col chiaro intento di escludere la Cina. Non solo, ma Trump ha denunciato anche l’attuale struttura del NAFTA, il mercato comune fra Stati Uniti, Messico e Canada, dichiarando di volerlo rinegoziare nel profondo.
Nel frattempo gli Stati Uniti di Trump hanno aumentato la tensione anche con la Cina di Xi Jinping, anche perché adesso si avvicinano le scadenze entro cui Washington potrebbe aumentare le tariffe sull’acciaio cinese, mentre anche la contesa sul “furto di proprietà” potrebbe portare a nuove limitazioni contro i prodotti elettronici provenienti da Pechino. Non a caso, con Davos appena inaugurata, Trump ha introdotto nuovi dazi su prodotti provenienti dalla Cina e anche dalla Corea del Sud, come i pannelli solari e le lavatrici.
Così, se lo scetticismo e il timore che i leader europei orfani di Obama nutrono verso Trump ha indotto quest’ultimi, l’anno scorso, ad accogliere in pompa magna Xi Jinping come campione della globalizzazione, quest’anno tale onore è invece riservato al collega indiano Narendra Modi. Stavolta è toccato a lui parlare, e l’ha fatto fin da subito con uno stile molto elegante e solenne, citando addirittura Gandhi. “Non voglio che i muri e le finestre della mia casa siano chiusi da tutte le direzioni, ma che il vento di tutti i Paesi entri con calma. Ma non accetterò che i miei piedi siano sradicati da questi venti”. Ha comunque criticato la globalizzazione, spiegando che “ha perso smalto” e che “è assediata da forze che vorrebbero invertirne il flusso”.
Così, ha proseguito Modi, “vediamo nuovi tipi di barriere tariffarie e non” mentre “i negoziati bilaterali e multilaterali sono ad uno stallo”. Il riferimento riguarda il fallimento del vertice del WTO di dicembre col crescente aumento di tensione economico-commerciale fra India e Stati Uniti. Se la globalizzazione oggi è in difficoltà, ha chiosato il premier indiano, probabilmente la colpa è delle istituzioni e delle organizzazioni internazionali che, con la loro evidente inadeguatezza, non riflettono più “le aspirazioni e i sogni dell’umanità e della realtà di oggi. La soluzione non è però l’isolamento, ma formulare politiche flessibili in linea col mutamento dei tempi”, e anche in questo caso il pistolotto diretto a Trump e agli Stati Uniti è risultato fin troppo evidente.
Ma non mancano critiche, talvolta neppur troppo velate, anche all’Europa. Già lo scorso anno Xi Jinping aveva tirato le orecchie ai suoi omologhi del resto del mondo, e Narendra Modi ha ribadito la lezione. L’Eurozona dal 2010 sottrae domanda ai mercati mondiali, accumulando surplus e dunque crediti sempre più alti negli scambi di ogni tipo con il resto del mondo. L’avanzo esterno complessivo di tutta l’Eurozona, a più di 400 miliardi di dollari, è ormai quasi il quadruplo di quello cinese e continua sempre a salire, in tempi di ripresa come di recessione. L’Olanda da sola sfiora i volumi di surplus di Pechino. Mentre l’Eurozona sfrutta la domanda del resto del mondo, tiene depressa la propria. Se non fosse per gli acquisti compiuti annualmente dagli Stati Uniti del “protezionista” Trump, coi suoi deficit esterni da 450 miliardi di dollari l’Eurozona ripiomberebbe nuovamente in recessione. C’è da chiedersi, però, se i leader europei, ormai sempre più galvanizzati dalla nuova crescita conosciuta dall’Unione Europea, avranno il coraggio di ammettere ciò dinanzi all’esclusiva platea di Davos.

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