Ieri a Davos è iniziato il 48esimo 
appuntamento annuale del World Economic Forum. Ben cinquemila sono stati
 i soldati dispiegati dalle autorità svizzere per prevenire eventuali 
manifestazioni non autorizzate. Il Papa ha mandato una lettera ai grandi
 che parteciperanno al vertice, invitandoli a “riportare l’uomo al 
centro dell’economia”. Davos 2018 inizia infatti con una notizia 
certamente nota ma sempre più grave: l’1% della popolazione mondiale 
controlla il grosso delle ricchezze. Proprio su questo tema si gioca il 
futuro della globalizzazione, ed il modo in cui viene vista dai vari 
attori internazionali.
Secondo il Fondo Monetario 
Internazionale la crescita globale è ormai da tempo in costante aumento,
 ma tutta la ricchezza che in questi anni è stata prodotta è stata poi 
ripartita in un modo ancora più iniquo che in precedenza. Anche per i 
prossimi due anni la crescita mondiale è stimata intorno ad un buon 
3,9%. Positive anche le stime riguardanti per l’Eurozona: nel 2018 e 
2019 crescerà infatti rispettivamente del 2,2 e 2%.
All’Italia il segretario generale 
dell’OCSE, Angel Gurrìa, ha rivolto la raccomandazione di non fare un 
solo passo indietro nel cammino delle riforme. Il suo è stato un 
intervento coincidente con una vera e propria dichiarazione di voto: “Il
 jobs act, approvato con la fiducia, fu una scommessa azzeccata che ha 
creato quasi un milione di posti di lavoro e che nessuno, da Berlusconi 
in poi, aveva avuto i voti per approvare”, e “L’Italia è sempre stata 
una democrazia vibrante, tradizionalmente il voto è stata una questione 
di personalità, ma ora c’è una scelta netta fra chi propone di andare 
avanti sulle riforme e chi dice no a tutto senza fare vere proposte (…).
 Le opzioni sono abbastanza chiare e sarà un voto dalle conseguenze 
importanti. Vi auguro il meglio, gli italiani hanno saggezza e sono 
sicuro che faranno la scelta migliore”. Insomma, all’aristocrazia 
finanziaria che si riunisce annualmente nel salotto di Davos piace il 
governo uscente, e l’auspicio è quello di una sua netta riconferma.
A Davos s’è parlato anche di altri 
argomenti, per esempio le criptovalute come il Bitcoin, su cui sempre 
Gurrìa ha dichiarato: “Siamo ancora agli inizi sulle criptovalute, non 
diamogli tutta questa importanza (…). Che siano speculative o no, usate 
bene o no, per fare transazioni occulte o meno, è certo un problema e 
dobbiamo assicuraci che valute come Bitcoin siano usate per scopi 
legittimi”.
Nel frattempo, sul fronte 
internazionale, s’inasprisce lo scontro fra Donald Trump e il premier 
indiano Narendra Modi, come dicevamo all’inizio proprio sul tema della 
globalizzazione. Venerdì Trump arriverà a Davos per spiegare il senso 
economico del suo slogan “America First”, ovvero ridisegnare il ruolo 
degli Stati Uniti nel mondo e ridurne le responsabilità verso gli altri 
paesi. Non a caso in questo suo primo anno alla Casa Bianca Trump ha 
fatto saltare ogni negoziato commerciale multilaterale, preferendo 
stabilire con le varie economie del mondo dei rapporti bilaterali. Sono 
così saltati il TTIP, che avrebbe dovuto unire in un solo mercato Stati 
Uniti ed Unione Europea, e la Transpacific Partnership avviato da Obama 
per unire in un unico mercato Washington e dodici paesi dell’Asia e del 
Pacifico, col chiaro intento di escludere la Cina. Non solo, ma Trump ha
 denunciato anche l’attuale struttura del NAFTA, il mercato comune fra 
Stati Uniti, Messico e Canada, dichiarando di volerlo rinegoziare nel 
profondo.
Nel frattempo gli Stati Uniti di Trump 
hanno aumentato la tensione anche con la Cina di Xi Jinping, anche 
perché adesso si avvicinano le scadenze entro cui Washington potrebbe 
aumentare le tariffe sull’acciaio cinese, mentre anche la contesa sul 
“furto di proprietà” potrebbe portare a nuove limitazioni contro i 
prodotti elettronici provenienti da Pechino. Non a caso, con Davos 
appena inaugurata, Trump ha introdotto nuovi dazi su prodotti 
provenienti dalla Cina e anche dalla Corea del Sud, come i pannelli 
solari e le lavatrici.
Così, se lo scetticismo e il timore che i
 leader europei orfani di Obama nutrono verso Trump ha indotto 
quest’ultimi, l’anno scorso, ad accogliere in pompa magna Xi Jinping 
come campione della globalizzazione, quest’anno tale onore è invece 
riservato al collega indiano Narendra Modi. Stavolta è toccato a lui 
parlare, e l’ha fatto fin da subito con uno stile molto elegante e 
solenne, citando addirittura Gandhi. “Non voglio che i muri e le 
finestre della mia casa siano chiusi da tutte le direzioni, ma che il 
vento di tutti i Paesi entri con calma. Ma non accetterò che i miei 
piedi siano sradicati da questi venti”. Ha comunque criticato la 
globalizzazione, spiegando che “ha perso smalto” e che “è assediata da 
forze che vorrebbero invertirne il flusso”.
Così, ha proseguito Modi, “vediamo nuovi
 tipi di barriere tariffarie e non” mentre “i negoziati bilaterali e 
multilaterali sono ad uno stallo”. Il riferimento riguarda il fallimento
 del vertice del WTO di dicembre col crescente aumento di tensione 
economico-commerciale fra India e Stati Uniti. Se la globalizzazione 
oggi è in difficoltà, ha chiosato il premier indiano, probabilmente la 
colpa è delle istituzioni e delle organizzazioni internazionali che, con
 la loro evidente inadeguatezza, non riflettono più “le aspirazioni e i 
sogni dell’umanità e della realtà di oggi. La soluzione non è però 
l’isolamento, ma formulare politiche flessibili in linea col mutamento 
dei tempi”, e anche in questo caso il pistolotto diretto a Trump e agli 
Stati Uniti è risultato fin troppo evidente.
Ma non mancano critiche, talvolta neppur
 troppo velate, anche all’Europa. Già lo scorso anno Xi Jinping aveva 
tirato le orecchie ai suoi omologhi del resto del mondo, e Narendra Modi
 ha ribadito la lezione. L’Eurozona dal 2010 sottrae domanda ai mercati 
mondiali, accumulando surplus e dunque crediti sempre più alti negli 
scambi di ogni tipo con il resto del mondo. L’avanzo esterno complessivo
 di tutta l’Eurozona, a più di 400 miliardi di dollari, è ormai quasi il
 quadruplo di quello cinese e continua sempre a salire, in tempi di 
ripresa come di recessione. L’Olanda da sola sfiora i volumi di surplus 
di Pechino. Mentre l’Eurozona sfrutta la domanda del resto del mondo, 
tiene depressa la propria. Se non fosse per gli acquisti compiuti 
annualmente dagli Stati Uniti del “protezionista” Trump, coi suoi 
deficit esterni da 450 miliardi di dollari l’Eurozona ripiomberebbe 
nuovamente in recessione. C’è da chiedersi, però, se i leader europei, 
ormai sempre più galvanizzati dalla nuova crescita conosciuta 
dall’Unione Europea, avranno il coraggio di ammettere ciò dinanzi 
all’esclusiva platea di Davos.
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