Standard&Poor ha rivisto al ribasso le stime di crescita sia per
l'Eurozona, sia per l'Italia. Il calo del PIL europeo è dall'1,8
all'1,5, per quello italiano si passa dall'1,3 all'1,1. Potrà sembrare
poca cosa, ma se consideriamo che Renzi e Padoan nel DEF hanno previsto
una crescita del PIL dell'1,6 per il 2016, siamo già sotto di mezzo
punto rispetto alle indicazioni di bilancio. Il che vuol dire,
applicando quei vincoli europei ai quali il nostro governo si attiene
sempre al di là delle chiacchiere, che ci vorranno circa 8 miliardi di
nuove tasse o tagli sociali per far quadrare i conti. Cifra ottimistica
in realtà perché la Confindustria ha recentemente fatto sapere che senza
regali, assai improbabili, da parte della UE, ci vorrà una manovra
correttiva sul bilancio di 24 miliardi. Un massacro.
Tutta colpa di previsioni sbagliate per eccesso di ottimismo, previsioni che ora S&P smentisce clamorosamente?
Naturalmente questo istituto finanziario non è certo il Vangelo, le sue indicazioni, come quelle degli altri strumenti della speculazione internazionale, fanno parte del gioco e servono a far fare i soldi a chi ha i soldi. Così anche la revisione al ribasso delle precedenti previsioni sul PIL è diventata parte della normalità della giostra finanziaria, come avviene da quasi dieci anni .
Dall'avvio della grande crisi nel 2007/8 fino ad oggi tutte le previsioni degli istituti finanziari e dei governi sull'andamento dell'economia sono state puntualmente smentite in peggio. Così da noi è avvenuto con i governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi. Tutti hanno dovuto correggere al ribasso le previsioni di crescita inizialmente iscritte a bilancio. E questo scherzetto periodicamente ripetuto è costato una marea di sacrifici in più ai lavoratori, ai pensionati, ai disoccupati, ai poveri.
Dopo dieci anni di previsioni sbagliate sempre nello stesso senso si potrebbe pensare che l'opinione pubblica sia divenuta più cauta e vigile verso gli annunci di ripresa. Ma qui purtroppo entra in campo il ruolo nefasto dei mass media e degli intellettuali di regime. Che appena un governante annuncia un più si lanciano nella più esaltata propaganda sulla fine della crisi che ci aspetterebbe dietro l'angolo. Noi sorridiamo quando in un bar leggiamo il cartello: domani si fa credito. Eppure da dieci anni i governanti annunciano che domani inizierà la ripresa e vengono creduti.
Non è solo imperizia, è soprattutto malafede. Gli istituti finanziari prima fanno stime ottimistiche sulla crescita, poi le rivedono in peggio e in mezzo stanno i giuochi, gli investimenti e i profitti nella Borsa e nelle banche. I governi fanno la stessa cosa ed in mezzo ci collocano qualche guadagno elettorale o comunque di potere politico.
È una specie di aggiottaggio in grande stile quello che avviene da dieci anni sulle previsioni economiche. Il sistema delle previsioni false serve a svuotare le tasche e a rubare i voti a cittadini sempre più trattati come polli.
Nel frattempo l'economia reale non cambia, è da dieci anni che o ristagna o scivola verso il basso. Ma affermare questa semplice verità farebbe saltare il gioco delle previsioni e darebbe un duro colpo alla credibilità di tutto il sistema. Come si potrebbe continuare all'infinito con le politiche di austerità e rigore, se fosse chiaro a tutti che non producono nulla di ciò che promettono? Meglio allora continuare a produrre previsioni false, da smentire successivamente dando la colpa a qualche evento catastrofico, al terrorismo.
Tutta colpa di previsioni sbagliate per eccesso di ottimismo, previsioni che ora S&P smentisce clamorosamente?
Naturalmente questo istituto finanziario non è certo il Vangelo, le sue indicazioni, come quelle degli altri strumenti della speculazione internazionale, fanno parte del gioco e servono a far fare i soldi a chi ha i soldi. Così anche la revisione al ribasso delle precedenti previsioni sul PIL è diventata parte della normalità della giostra finanziaria, come avviene da quasi dieci anni .
Dall'avvio della grande crisi nel 2007/8 fino ad oggi tutte le previsioni degli istituti finanziari e dei governi sull'andamento dell'economia sono state puntualmente smentite in peggio. Così da noi è avvenuto con i governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi. Tutti hanno dovuto correggere al ribasso le previsioni di crescita inizialmente iscritte a bilancio. E questo scherzetto periodicamente ripetuto è costato una marea di sacrifici in più ai lavoratori, ai pensionati, ai disoccupati, ai poveri.
Dopo dieci anni di previsioni sbagliate sempre nello stesso senso si potrebbe pensare che l'opinione pubblica sia divenuta più cauta e vigile verso gli annunci di ripresa. Ma qui purtroppo entra in campo il ruolo nefasto dei mass media e degli intellettuali di regime. Che appena un governante annuncia un più si lanciano nella più esaltata propaganda sulla fine della crisi che ci aspetterebbe dietro l'angolo. Noi sorridiamo quando in un bar leggiamo il cartello: domani si fa credito. Eppure da dieci anni i governanti annunciano che domani inizierà la ripresa e vengono creduti.
Non è solo imperizia, è soprattutto malafede. Gli istituti finanziari prima fanno stime ottimistiche sulla crescita, poi le rivedono in peggio e in mezzo stanno i giuochi, gli investimenti e i profitti nella Borsa e nelle banche. I governi fanno la stessa cosa ed in mezzo ci collocano qualche guadagno elettorale o comunque di potere politico.
È una specie di aggiottaggio in grande stile quello che avviene da dieci anni sulle previsioni economiche. Il sistema delle previsioni false serve a svuotare le tasche e a rubare i voti a cittadini sempre più trattati come polli.
Nel frattempo l'economia reale non cambia, è da dieci anni che o ristagna o scivola verso il basso. Ma affermare questa semplice verità farebbe saltare il gioco delle previsioni e darebbe un duro colpo alla credibilità di tutto il sistema. Come si potrebbe continuare all'infinito con le politiche di austerità e rigore, se fosse chiaro a tutti che non producono nulla di ciò che promettono? Meglio allora continuare a produrre previsioni false, da smentire successivamente dando la colpa a qualche evento catastrofico, al terrorismo.
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