lunedì 14 marzo 2016

L’INTERVENTO ITALIANO IN LIBIA LO DECIDERANNO GLI USA

In base alle notizie di stampa, pare che un vincitore sul campo in Libia vi sia. Il capo delle forze armate del governo di Tobruk, il generale Haftar, avrebbe posto sotto assedio Bengasi e messo alle strette le milizie islamiche che i nostri media presentano tout court come ISIS. L’iniziativa militare del pur ambiguo Haftar starebbe quindi scongiurando il pericolo di una dissoluzione della Libia.
Se la notizia è attendibile, molte delle motivazioni, sia ufficiali che mediatiche, addotte a favore dell’intervento italiano in Libia risulterebbero superate dai fatti. O no? In realtà la vera motivazione di un massiccio intervento occidentale potrebbe essere proprio quella opposta, cioè prevenire ed impedire una stabilizzazione della Libia.
Sempre in base a notizie di stampa, Haftar, oltre ad aver incassato il sostegno dell’Egitto, e quindi indirettamente della Russia, avrebbe ottenuto il favore del governo francese, che addirittura sosterrebbe le operazioni militari dello stesso Haftar con azioni di commando. Ma sarà vero? Non è che il governo francese sta salendo sul carro del probabile vincitore solo per pugnalarlo più agevolmente alla schiena?
Oltre che reparti francesi, agiscono in Libia anche formazioni statunitensi e britanniche, ed anche quelle in presunta funzione anti-ISIS. Gli Stati Uniti avrebbero effettuato anche i soliti bombardamenti contro “postazioni dello Stato Islamico”.
Da parte degli Stati Uniti provengono anche le più pressanti richieste al governo italiano di inviare un corpo di spedizione in Libia, qualcosa come tremila o cinquemila uomini, ovviamente tanto per cominciare. Quel che è certo è che, a differenza del 2011, in Italia tendono a crescere le posizioni contrarie alla guerra, con interventi anche ad alto livello. Dopo l’articolata posizione contraria di Romano Prodi, alla quale anche altri politici si sono accodati, anche il quotidiano confindustriale “Il Sole-24 ore” ha dato spazio lunedì scorso ad un articolo non solo fortemente critico nei confronti di ogni ipotesi di intervento militare italiano, ma anche propenso a toccare il vero nodo della questione, cioè le mire di spartizione della Libia.
D’altra parte, anche l’intervento di Prodi, apparentemente così deciso, non risulta del tutto esente da ambiguità, poiché rivolge la propria critica esclusivamente verso la Francia ed il Regno Unito, lasciando fuori dalla polemica proprio chi vorrebbe “invitarci” a rientrare nel pantano libico, cioè gli USA.
Se oggi l’establishment italiano dà ampio spazio a posizioni contrarie alla guerra, martedì scorso sul “Corriere della Sera” il commentatore ultra-ufficiale Angelo Panebianco ha rivolto un’esortazione agli Europei a guardare con apprensione alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, auspicando che non risulti vincitore un altro candidato “isolazionista” come Obama. Panebianco rivolge le sue speranze ad una vittoria di Hillary Clinton, la più adatta, secondo lui, a scongiurare la prospettiva di un’Europa lasciata in balia di Putin. Ovviamente il possibile risorgere dell’isolazionismo americano è una fiaba; non solo l’isolazionismo statunitense costituisce un mito storiografico senza pezze d’appoggio, ma le ingerenze di Kerry in questi anni sono state addirittura plateali, dalla questione ucraina a quella greca. Persino l’euro dal 2012 sopravvive soltanto in funzione degli interessi della NATO, cioè di Washington, che non vuole che un allentamento della disciplina europea possa mettere in forse le sanzioni alla Russia; sanzioni che provocano effetti depressivi non solo sull’economia russa, ma soprattutto sull’economia europea. Ma è chiaro che Panebianco con questi richiami fiabeschi al “pericolo” di un isolazionismo americano vuol solo richiamare tutti all’obbedienza nei confronti del grande ed insostituibile “alleato”- padrone.
Il punto è che ogni discussione concreta e puntuale sull’eventuale intervento italiano in Libia può essere spiazzata da un momento all’altro da qualche offensiva mediatica che ci ponga davanti a qualche “emergenza umanitaria” a cui far fronte. Il copione ormai lo conosciamo, ma il guaio è che funziona sempre. Alcuni commentatori si sorprendono del fatto che in questo momento sia assente il movimento pacifista, ma forse il pacifismo era assente anche quando sembrava esserci. Non ha senso infatti opporsi ad una guerra senza demistificare di volta in volta le false emergenze che la giustificano.
A differenza dei toni trionfali di Renzi del febbraio dello scorso anno, che avrebbero dovuto anticipare un apposito decreto da varare a marzo, ma mai apparso, ora il Presidente del Consiglio appare smarrito e chiuso in un imbarazzato mutismo, e se la va a prendere proprio con quei media che pure non fanno altro che battere la grancassa per lui.
Qualcuno ha notato che i due ostaggi in Libia sono stati uccisi quando l’intervento italiano si presentava come imminente, mentre gli altri due sono stati liberati allorché l’ipotesi di intervento sembrava essere stata messa da parte. Dopo i roboanti ultimatum lanciati da Renzi durante l’ultimo incontro bilaterale con Hollande, altri avvisi di quel genere potrebbero arrivargli. Evidentemente Renzi si trova schiacciato dagli opposti timori di un’avventura militare che si annuncia militarmente e finanziariamente disastrosa, e la prospettiva che arrivi un ordine di intervento da parte degli USA, al quale non avrebbe il coraggio, né la forza, per opporsi.

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