In filosofia, quando si incontra un paradosso, scatta immediatamente la curiosità, perché indica l’esistenza e il manifestarsi di una contraddizione. In economia neoliberista, si fa invece finta di niente, ma qualcuno comincia a preoccuparsi, sia pure con toni molto pacati.
Il paradosso della finanza internazionale, da qualche tempo a questa parte, è il denaro che non rende. Ce ne siamo occupati, fin qui, per indicare l’esistenza ormai innegabile di una crisi sistemica,
in particolare del capitalismo occidentale. Ma quando si parla in
termini sistemici, o generali, il rischio è sempre che non si capiscano o
si vedano le implicazioni per la vita quotidiana di tutti noi.
Vediamo quindi cosa comincia a significare il paradosso dei tassi di interesse negativi, introdotti dalla Banca Centrale Europea sui
depositi che le banche private lasciano nelle casse di Francoforte.
L’intenzione di Mario Draghi, che sta per essere sostituito da Christine
Lagarde, era di “convincere” le banche a prestare quei soldi – a
famiglie e imprese – in modo da stimolare investimenti, consumi, ecc.
Insomma, a far muovere di più l’economia reale.
Questo
non è avvenuto, perché l’incertezza sul futuro sconsiglia investimenti
rischiosi (le imprese possono fallire, i capifamiglia possono essere
licenziati, quei prestiti possono non tornare in cassa), e dunque molti
“investitori istituzionali” hanno preferito una perdita certa ma minima
(lo 0,40%) ad una forse superiore. In ogni caso di guadagni neanche
l’ombra.
Il
meccanismo si è poi trasferito sui titoli di Stato, a cominciare da
quelli dei paesi più solidi (Germania e Olanda, nell’eurozona). Con
grande beneficio per i conti pubblici di quei paesi (invece di pagare
interessi sul debito pubblico ci guadagnano qualcosa), ma anche qui con
perdite per le banche, soprattutto quelle tedesche.
Ma
che una banca privata possa accettare a lungo di perdere soldi sui
prestiti, anziché guadagnarci, è impensabile. Così proprio in Germania è
partita una discussione davvero hard: le banche vogliono applicare tassi negativi su tutti i propri clienti.
Cosa
significa? Che chiunque abbia un conto corrente – è obbligatorio per
depositare lo stipendio, come sappiamo – potrebbe esser costretto
automaticamente a “regalare” qualcosa alla sua banca, in aggiunta alle
spese che già sostiene per la movimentazione del conto.
Non proprio una mossa popolare,
diciamo. Tanto che persino il governo tedesco ha pensato bene di
intervenire per bloccare questa ipotesi, scatenando le ovvie proteste
delle banche che ritengono incostituzionale il divieto di rivalersi sui
correntisti.
E’ evidente che un meccanismo si è inceppato. Non si è mai visto nella storia umana – anche prima del capitalismo, do you remember Shylock?
– che un prestatore di denaro debba prevedere una perdita sicura, oltre
al rischio di non vedersi restituire la somma prestata.
Ma
il dibattito tra economisti liberali ancora non affronta il cuore del
problema, preferendo dilettarsi sull’”effetto reddito” e l’”effetto
sostituzione”. Se sai che dal conto corrente spariranno comunque un po’
di soldi potresti essere tentato di spendere di più (effetto reddito)
per farlo deprezzare il meno possibile; oppure potresti essere indotto a
non spendere più (effetto sostituzione) per non aggravare la
situazione.
In
attesa che gli economisti teorici risolvano i loro dubbi, i clienti
potrebbero cominciare a correre in banca a ritirare i propri soldi per
metterli sotto il materasso. Con effetti davvero devastanti per il
sistema. E tanti saluti per il “ritorno alla normalità e alla
crescita”.
E’
in fondo l’ennesimo paradosso: le politiche monetarie ultra-espansive
che dovevano facilitare la ripresa dell’economia si trasformano
lentamente in un ulteriore fattore di freno. Perché il paradosso è
sempre apparente, mentre la crisi invece è reale.
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