Tra
le spese indifferibili che compaiono nel bilancio dello Stato, c’è
quello delle missioni militari all’estero che vengono ormai rifinanziate
ogni anno senza alcuna opposizione. Gli unici che lo hanno fatto, nel
2008, furono due senatori della sinistra (Turigliatto e Rossi) che ne
subirono tutte le conseguenze e furono messi fuori dai loro partiti –
Prc e PdCI – che allora facevano parte del governo Prodi.
Anche
quest’anno, mentre si discuteva del nuovo governo Conte e della manovra
di bilancio da realizzare nei prossimi mesi, insieme alle cifre delle
clausole di salvaguardia sull’Iva, veniva sempre fuori il dato di 4
miliardi di spese indifferibili che vanno sempre e comunque messe a
bilancio e coperte dalla spesa pubblica. Uno dei capitoli di queste
spese sono proprio le missioni militari all’estero. E dall’aria che tira
non ci sembra proprio che dentro il nuovo governo gialloblu ci sia
qualcuno che voglia rimettere in discussione – sul piano politico e su
quello economico – la prosecuzione di queste operazioni di affiancamento
alle aggressioni imperialiste realizzate dagli Usa o dalla Nato in
questi anni. Insomma, su spese e interventismo militare (spesso
mascherato con i rassicuranti termini di peace keeping o peace
building), non si registra mai alcuna discontinuità, anzi si conferma la
totale convergenza bipartisan o “tripartisan” più recentemente.
Ma quanto ci costano e quanto ci sono costate queste missioni militari?
L’Osservatorio Milex, ha puntato il microscopio su quella in Afghanistan e o dati rilevati ci parlano di una spesa di 7,5 miliardi di euro dal suo inizio, nel 2001, fino ad oggi.
L’Osservatorio Milex, ha puntato il microscopio su quella in Afghanistan e o dati rilevati ci parlano di una spesa di 7,5 miliardi di euro dal suo inizio, nel 2001, fino ad oggi.
Se
dovessimo procedere con il criterio dei costi e benefici, un bilancio
si impone ed è impietoso da ogni punto di vista, sia per la popolazione
afghana sia per il nostro paese.
Il
Rapporto Milex scrive che in termini di vite umane il conflitto ha
causato 140mila vittime afgane, e tra queste ben 35mila sono civili.
Tremilacinquecento sono invece stati i soldati occidentali deceduti in
combattimento, 53 dei quali italiani. Morti anche almeno 1.700
contractors di varie nazionalità e oltre 300 cooperanti. Dati
impressionanti, al fronte dei quali sarebbe lecito attendersi importanti
progressi nelle condizioni del paese. Invece, spiega il report di
Milex, “a parte un lieve calo del tasso di analfabetismo (dal 68% del
2001 al 62% di oggi) e un modestissimo miglioramento della condizione
femminile (limitato alle aree urbane maggiori), attribuibili al lavoro
delle organizzazioni internazionali e delle ONG, l’Afganistan ha ancora
oggi il tasso più elevato al mondo di mortalità infantile (su mille
nati, 113 decessi entro il primo anno di vita ), tra le più basse
aspettative di vita del pianeta (51 anni, terzultimo prima di Ciad e
Guinea Bissau ) ed è ancora uno 22 dei Paesi più poveri del mondo (207°
su 230 per ricchezza procapite ).
Secondo
il Rapporto Milex, il costo sostenuto dall’Italia a partire dal
novembre 2001 in tutte le missioni (Enduring Freedom fino al 2006, ISAF
fino 2014, Resolute Support dal 2015) è di 6,3 miliardi di euro, cioè
più di un milione di euro al giorno in media. A questo costo – spiega il
dossier – “va aggiunto l’esborso di 360 milioni a sostegno delle forze
armate afgane (120 milioni l’anno a partire dal 2015) e circa 900
milioni di spese aggiuntive relative al trasporto truppe, mezzi e
materiali da e per l’Italia, alla costruzione di basi e altre
infrastrutture militari in teatro, al supporto operativo della Task
Force Air (Emirati, Qatar e Bahrein) e degli ufficiali di collegamento
distaccati presso Comando Centrale USA di Tampa, Florida, al supporto
d’intelligence degli agenti AISE, della protezione attiva e passiva
delle basi, al supporto sanitario del personale della Croce Rossa
Italiana, alla protezione delle sedi diplomatiche nazionali e alle
attività umanitarie militari strumentali (CIMIC, classificate
all’estero, con più realismo, come Psy Ops, cioè guerra psicologica:
aiuti in cambio di informazioni). Si arriva così a oltre 7,5 miliardi, a
fronte di 260 milioni investiti in iniziative di cooperazione civile”.
A
fronte di questi dati, il semplice buonsenso indicherebbe che è
arrivato il tempo di mettere fine a queste missioni militari, alle spese
che ne derivano e alla conseguenze politiche per il nostro paese sul
piano delle relazioni internazionali. La stessa amministrazione Usa ha
compreso che in Afghanistan ha perso la guerra scatenata nel 2001 (come
del resto tutti quelli che hanno provato ad invadere l’Afghanistan,
britannici e sovietici inclusi,ndr) e sta pensando di ritirare i propri
militari. Non è che alla fine, per la consueta zelanteria e subalternità
a Usa e Nato, sul campo rimarranno solo i soldati italiani? E quando si
comincerà a discuterne dentro e fuori il Parlamento?
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