mercoledì 4 settembre 2019

Le elezioni in Sassonia e in Brandeburgo: che succede in Germania?

Le elezioni nei due Land della Germania orientale Sassonia e Brandeburgo confermano alcuni trend politici degli ultimi anni.
La prima tendenza è il drastico calo di consensi dei partiti che formano la “Groko”, cioè la CDU e la SPD che mantengono comunque la leadership in Sassonia l’uno con il 32,1% e in Brandeburgo l’altro con il 26,2%.
Il secondo dato è l’ascesa o meglio il consolidamento della AFD e il contestuale il drastico calo della “sinistra radicale” Die Linke: 10,4 in Sassonia, cioè meno 8,5% e 10,7% nel Brandeburgo, cioè meno 7,9%.
Il terzo fattore è l’importanza dei Verdi, dopo l’exploit ottenuto nelle precedenti elezioni regionali dell’ottobre scorso in Baviera e in Assia ad Ovest e soprattutto alle europee di maggio in cui sono diventati il secondo partito in Germania con oltre il 20%.
Un risultato importante, quello dei Verdi, che conferma il proprio appeal anche all’Est, a differenza che in passato, soprattutto tra le giovani generazioni istruite delle aree metropolitane: a Dresda e Lipsia (le due maggiori città della Sassonia, regione che confina con Polonia e Repubblica ceca) in tre circoscrizioni sono addirittura arrivati in testa, e le loro preferenze sono state oltre il 10% in Brandeburgo, più che raddoppiando, e tra l’8 e il 9% in Sassonia dove hanno addirittura triplicato i voti.
Mentre l’AFD è messa tuttora al bando nel gioco delle alleanze – nonostante dentro la CDU si sia aperto un vivace dibattito, “chiuso” poco prima delle elezioni da “AKK” (Annegret Kramp-Karrenbauer), neo segretaria con il placet di “Frau Angela” – i Verdi saranno una componente fondamentale per la formazione dei governi di entrambi i Land orientali.
Nel Brandeburgo, la regione attorno a Berlino (dove lavorano circa 200.000 degli abitanti della regione), SPD e Die Linke governavano assieme ed ora abbisognano dei voti dei Verdi, e non è esclusa a priori l’organica partecipazione della CDU, mentre in Sassonia la situazione è più complicata.
Lì CDU e SPD governavano insieme, ma ora non hanno i numeri per farlo. La CDU ha escluso di voler governare sia con la AFD che con la Die Linke, e quindi i Verdi sono indispensabili. Questo creerebbe non pochi problemi, vista la spaccatura netta sulla questione dell’“uscita dal carbone”, che ha occupato una parte rilevante della campagna elettorale contrapponendo CDU e Verdi.
L’AFD sarà il secondo partito nei parlamenti regionali anche in questi due Land – 27,5% delle preferenze in Sassonia e 23,5% in Brandeburgo – così come lo è diventato nel 2015 in Sassonia-Anhalt e nel 2016 in Maclemburgo-Pomerania Occidentale.
La partecipazione alle elezioni è aumentata in maniera rilevante. Si sono recati a votare il 66% degli aventi diritto in Sassonia (più 17% rispetto alle regionali del 2014), e il 60,5% nel Brandeburgo (più 12,6%).
Un segno di come parte delle classi subalterne dell’est hanno identificato nell’AFD una variabile “esterna” al sistema di rappresentanza dell’establishment ed un possibile fattore di rottura del quadro politico dato, mentre alcuni studi confermano la capacità del partito populista di estrema destra di intercettare gli elettori scontenti per la direzione centrista presa dalla CDU.
Bisogna ricordare che, alle elezioni parlamentari del 24 settembre di due anni fa, la AFD aveva ottenuto il 27% in Sassonia e il 20,2% in Brandeburgo.
I sondaggi danno la formazione di estrema destra tra il 20 e il 22% alle elezioni che si terranno il 27 ottobre prossimo in Turingia, altro Land orientale.
La sua ascesa è fenomeno politico assolutamente rilevante. In 6 anni è diventato un attore importante della scena politica tedesca e conta oltre 30.000 aderenti.
L’Alternative Für Deutschland, viene formato nel 2013, da un gruppo di economisti e professori provenienti dalla CDU, capeggiati da Bernd Lucke – che poi lascerà la formazione per costituirne un’altra – con posizioni liberali ed un programma che prevedeva l’uscita della Germania dal mercato unico e il ritorno sotto il controllo tedesco di diverse competenze comunitarie.
Al primo appuntamento elettorale, nel 2013, “il partito dei professori” non riesce a superare lo sbarramento del 5%, per poi subordinare le tematiche economico-finanziarie rispetto a quelle che caratterizzano in tutto il continente le varianti populiste di destra, riuscendo ad entrare nel 2017 nel Bundestag con il 12,6% di preferenze.
Nell’autunno del 2014 le piazze della Germania orientale hanno iniziato a riempirsi tutti i lunedì sera con manifestazioni che hanno assunto ben presto i connotati di una critica del sistema “da destra”, estendendosi anche ad Ovest. È criticato l’establishment e la scarsa libertà di informazione (la “Lügenpresse”), ripreso lo slogan delle manifestazione dell’89 nella DDR: “Wir Sind das Volk”, ovvero “noi siamo il popolo”. Ma il centro delle argomentazioni è la critica alla cosiddetta “islamizzazione”. Nasce così PEGIDA – acronimo tedesco che sta per “Patrioti contro l’islamizzazione dell’Occidente”.
La “Nuova Destra” tedesca, per anni messa al bando dalla cultura ufficiale, nonostante abbia conosciuto una certa vitalità culturale ed un radicamento in settori tradizionalmente conservatori – il suo giornale di riferimento, “Junge Freiheit”, fondato a metà anni Ottanta ha conosciuto un’esplosione di vendite negli ultimi 10 anni con 30.000 abbonati! -, trova il suo humus per divenire protagonista, nonché culturalmente egemone nelle proteste, e l’AFD da poco nato diventa l’unico interlocutore politico in grado di dialogare con quel profondo malessere sociale.
Anche a causa della derubricazione della questione sociale e dei meccanismi che la generano da parte della “Sinistra Radicale”.
L’AFD ha spostato il suo baricentro ad Est ed il personale politico proveniente dalle regioni orientali assume sempre più peso.
Lo spazio lasciato libero dallo spostamento al centro dei Conservatori (CDU) e dai loro apparati culturali di riferimento, viene riempito dalla Neue Rechte, che negli anni ha catturato anche ex esponenti di spicco della cultura della CDU, ma è tutto un mondo intellettuale che traballa anche in lidi diversi di quelli tradizionalmente conservatori.
La “crisi migratoria” del 2015 e le scelte della Merkel, oltre ad una ridistribuzione dei rifugiati di cui vengono chiamati a farsi carico in maniera preponderante i territori orientali, non fa che accrescere questa dinamica. E dalle elezioni europee del 2014 la sua marcia non sembra arrestarsi, entrando prima nel Parlamento europeo con il 7,1% dei voti, e poi in differenti parlamenti regionali, fino ad entrare nel parlamento federale due anni fa circa.
Al suo interno, dopo il primo flop elettorale, avviene un sempre maggiore spostamento a destra, confermato anche dalle ultime tendenze, e la corrente denominata Flügel – che nel 2015, con un documento contro l’ala moderata di Lucke, allora capo del partito – ne prende di fatto la leadership sotto la guida del capogruppo parlamentare in Turingia, Björn Höcke, figlio politico di uno dei guru della “Nuova Destra” tedesca, Götz Kubitschek.
L’ Alternative Mitte, allora creata, contesta tra l’altro la collaborazione dell’AFD con Pegida ed il movimento identitario, ma risulta assolutamente marginale ad Est.
Flügel, che è stata messa “sotto osservazione” dai servizi segreti interni tedeschi, annovera tra le sue fila Andreas Kalbitz, che dirige la Federazione di Brandeburgo e che ha un passato giovanile neo-nazista, e Jörg Urban, l’uomo forte dell’AFD in Sassonia, molto vicino a Pegida.
Nonostante il fenomeno sia stato a lungo “sottovalutato” dalle istituzioni, fino a raggiungere toni parossistici che lasciano pensare una pesante copertura (fatto assolutamente non nuovo nella Germania unitaria), l’aumento delle violenze dell’estrema destra è un termometro politico di una situazione apparsa molto grave dopo i pogrom contro i migranti; prima a Chemnitz e poi in diverse città dell’est, l’anno scorso; e poi in maniera evidente con l’assassino di Walter Lübcke, prefetto della CDU di Cassel, assassinato in casa, nella notte tra il primo e il due giugno, per le suo posizioni pro-migranti.
La pesante crisi economica tedesca si inserisce in un quadro di frattura mai ricucita tra l’est e l’ovest del Paese, e di una polarizzazione sociale che trova la sua rappresentazione spaziale nel divario sempre più crescente centro-periferia, anche nella Germania occidentale.
All’Est la popolazione invecchia e il territorio si spopola, la disoccupazione è più alta (6,6% rispetto ad una media nazionale del 4,7%), il reddito medio è di poco meno di 30.000 (cioè circa 10 mila euro in meno della media nazionale), e vi si trovano le sedi solo di 37 aziende tra le prime 500 della Germania.
L’estraneità al governo federale è data anche da una impossibile identificazione con una compagine che annovera solo la Merkel, su 17 ministri, come proveniente dalla Germania orientale.
Mentre “Die Linke” non è riuscita a capitalizzare il malessere delle nefaste conseguenze dell’ “annessione”, l’AFD . anche attraverso lo sfruttamento retorico nella sua narrazione della “Rivoluzione dell’89”, come se fosse stata incompiuta e disattesa – è riuscita ad imporsi nel senso comune.
La “Groko” già in crisi, scricchiola ulteriormente, il test in Turingia a fine ottobre sarà fondamentale per capire a che punto la crisi politica tedesca si approfondirà.

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