lunedì 9 settembre 2019

Il caso Bellanova

Su tutte le prime pagine dei giornali campeggia la neo ministro dell’agricoltura Teresa Bellanova. I tastieristi fascioleghisti l’hanno insultata sui social per l’aspetto, i vestiti, il basso titolo di studio.
Questo ha suscitato giusta indignazione e solidarietà verso la persona colpita da ingiurie sessiste e classiste, che dimostrano ancora una volta come i fascioleghisti rappresentino non solo una regressione politica, ma anche civile e persino umana.
Questa regressione però non fa solo danno a chi la fa propria e a chi ne subisce i colpi, ma anche a chi la contrasta. Infatti nel difendere giustamente la bellissima storia passata di Teresa Bellanova si è oscurata la sua pessima storia presente.
La ministro ha vissuto la dura trafila dell’emancipazione e della crescita sociale civile e culturale del proletariato, il principale merito dei comunisti e dei socialisti in questo paese.
Così, da bracciante e da sindacalista dei braccianti Teresa Bellanova ha fatto propria un grande lezione di vita, una grande cultura. E quella cultura, ben superiore a quella di tanti laureati, bocconiani, detentori di master, le ha permesso di ascendere ai vertici della politica.
Ove quella cultura lei ha brutalmente abbandonato a favore di quella del mercato e dell’impresa.
Bellanova è diventata una ultrà renziana, e con questa appartenenza correntizia è anche collocata nel governo attuale. In quelli passati, al ministero del lavoro, è stata tra i più strenui sostenitori del Jobsact e della cancellazione dell’articolo 18, il fulcro di quello Statuto dei Lavoratori per cui impegnò la vita Giuseppe Di Vittorio, oggi a sproposito citato.
Al ministero dello sviluppo economico poi Bellanova è stata complice del massacro sociale dei lavoratori Almaviva, licenziati in massa con il suo benestare.
Ora i fascioleghisti l’insultano per la parte che invece va portata ad esempio della sua esperienza di vita; e paradossalmente la fanno sembrare per quello che Teresa Bellanova da tempo non è più.
Questo dimostra che i valori e la cultura autentica del movimento operaio hanno ancora una forza enorme e che i fascioleghisti sono funzionali ad un sistema politico che nel nome del profitto quei valori rinnega ogni giorno, salvo poi ipocritamente servirsene quando degli idioti gliene danno l’occasione.

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