Su
tutte le prime pagine dei giornali campeggia la neo ministro
dell’agricoltura Teresa Bellanova. I tastieristi fascioleghisti l’hanno
insultata sui social per l’aspetto, i vestiti, il basso titolo di
studio.
Questo ha suscitato giusta indignazione e solidarietà verso la persona colpita da ingiurie sessiste e classiste, che dimostrano ancora una volta come i fascioleghisti rappresentino non solo una regressione politica, ma anche civile e persino umana.
Questa regressione però non fa solo danno a chi la fa propria e a chi ne subisce i colpi, ma anche a chi la contrasta. Infatti nel difendere giustamente la bellissima storia passata di Teresa Bellanova si è oscurata la sua pessima storia presente.
La ministro ha vissuto la dura trafila dell’emancipazione e della crescita sociale civile e culturale del proletariato, il principale merito dei comunisti e dei socialisti in questo paese.
Così, da bracciante e da sindacalista dei braccianti Teresa Bellanova ha fatto propria un grande lezione di vita, una grande cultura. E quella cultura, ben superiore a quella di tanti laureati, bocconiani, detentori di master, le ha permesso di ascendere ai vertici della politica.
Ove quella cultura lei ha brutalmente abbandonato a favore di quella del mercato e dell’impresa.
Bellanova è diventata una ultrà renziana, e con questa appartenenza correntizia è anche collocata nel governo attuale. In quelli passati, al ministero del lavoro, è stata tra i più strenui sostenitori del Jobsact e della cancellazione dell’articolo 18, il fulcro di quello Statuto dei Lavoratori per cui impegnò la vita Giuseppe Di Vittorio, oggi a sproposito citato.
Al ministero dello sviluppo economico poi Bellanova è stata complice del massacro sociale dei lavoratori Almaviva, licenziati in massa con il suo benestare.
Ora i fascioleghisti l’insultano per la parte che invece va portata ad esempio della sua esperienza di vita; e paradossalmente la fanno sembrare per quello che Teresa Bellanova da tempo non è più.
Questo dimostra che i valori e la cultura autentica del movimento operaio hanno ancora una forza enorme e che i fascioleghisti sono funzionali ad un sistema politico che nel nome del profitto quei valori rinnega ogni giorno, salvo poi ipocritamente servirsene quando degli idioti gliene danno l’occasione.
Questo ha suscitato giusta indignazione e solidarietà verso la persona colpita da ingiurie sessiste e classiste, che dimostrano ancora una volta come i fascioleghisti rappresentino non solo una regressione politica, ma anche civile e persino umana.
Questa regressione però non fa solo danno a chi la fa propria e a chi ne subisce i colpi, ma anche a chi la contrasta. Infatti nel difendere giustamente la bellissima storia passata di Teresa Bellanova si è oscurata la sua pessima storia presente.
La ministro ha vissuto la dura trafila dell’emancipazione e della crescita sociale civile e culturale del proletariato, il principale merito dei comunisti e dei socialisti in questo paese.
Così, da bracciante e da sindacalista dei braccianti Teresa Bellanova ha fatto propria un grande lezione di vita, una grande cultura. E quella cultura, ben superiore a quella di tanti laureati, bocconiani, detentori di master, le ha permesso di ascendere ai vertici della politica.
Ove quella cultura lei ha brutalmente abbandonato a favore di quella del mercato e dell’impresa.
Bellanova è diventata una ultrà renziana, e con questa appartenenza correntizia è anche collocata nel governo attuale. In quelli passati, al ministero del lavoro, è stata tra i più strenui sostenitori del Jobsact e della cancellazione dell’articolo 18, il fulcro di quello Statuto dei Lavoratori per cui impegnò la vita Giuseppe Di Vittorio, oggi a sproposito citato.
Al ministero dello sviluppo economico poi Bellanova è stata complice del massacro sociale dei lavoratori Almaviva, licenziati in massa con il suo benestare.
Ora i fascioleghisti l’insultano per la parte che invece va portata ad esempio della sua esperienza di vita; e paradossalmente la fanno sembrare per quello che Teresa Bellanova da tempo non è più.
Questo dimostra che i valori e la cultura autentica del movimento operaio hanno ancora una forza enorme e che i fascioleghisti sono funzionali ad un sistema politico che nel nome del profitto quei valori rinnega ogni giorno, salvo poi ipocritamente servirsene quando degli idioti gliene danno l’occasione.
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