La
democrazia parlamentare si avvia alla sua fine, non illudetevi.
Possiamo prenderla dal lato “sistemico” – in tutto l’Occidente
scricchiola in modo vistosissimo, tra Trump, Johnson, Macron, ecc –
oppure da quello “opportunistico” (le mosse dei partiti italiani), ma il
risultato non cambia.
L’attacco finale all’impianto istituzionale della rappresentanza politica è partito e questa volta non appare più contrastabile. Vediamo perché e come.
1)
Sei Regioni governate dal centrodestra (Piemonte, Lombardia, Veneto,
Friuli, Abruzzo e Piemonte) hanno sottoscritto la richiesta leghista di
tenere un referendum per cambiare la legge elettorale e abrogare la
parte proporzionale, instaurando così un sistema elettorale
completamente maggioritario. Sul piano costituzionale la richiesta è formalmente corretta
(bastano 5 Regioni o 500.000 firma di elettori) e dunque dovrebbe
essere sottoposta al voto nella prossima primavera, a meno che il
Parlamento non elabori una nuova legge elettorale (il che invaliderebbe
il “quesito” scritto nella richiesta di referendum).
2)
Il Movimento 5 Stelle, per bocca del suo traballante “capo politico”,
chiede l’abolizione della “libertà di mandato” per i parlamentari,
vincolando dunque deputati e senatori di una lista ad obbedire alle
scelte delle direzioni del partito con cui sono stati eletti, pena la
decadenza dal seggio. La Costituzione, in questo caso, prevede l’esatto
opposto perché considera l’”eletto dal popolo” come un rappresentante
degli interessi generali del paese, che dunque deve poter scegliere in
libertà di coscienza, senza il ricatto dell’estromissione dalle
istituzioni.
La
ragione dell’insistenza grillina è di particolare pochezza: impedire il
“mercato delle vacche”, ossia il passaggio continuo di parlamentari da
un gruppo politico all’altro, con ovvie conseguenze sulla consistenza
dei gruppi parlamentari e la tenuta delle maggioranze di governo. Un
fenomeno in diminuzione, nell’attuale legislatura (sono stati 79,
finora, ma la metà sono i renziani che hanno lasciato il Pd per fare
gruppo a sé; mentre nei conqe anni precedenti erano stati 566). Avere
dei robot schiaccia-pulsante al posto di esseri umani liberi non sembra
proprio un “progresso” della democrazia…
3)
Gli stessi Cinque Stelle hanno fatto della “riduzione dei parlamentari”
una questione di (propria) vita o morte. Anch qui la motivazione è
ridicola (“risparmieremo 500 milioni ad ogni legislatura”), perché
risultati anche più rilevanti si possono ottenere riducendo gli stipendi dei parlamentari,
effettivamente esagerati e i più alti in Europa. Comunque i Cnque
Stelle otterranno questa riduzione della rappresentanza dal Pd, che era
sempre stato contrario, ma deve in qualche modo far sì che il governo
duri abbastanza da potersi riorganizzare e soprattutto ridisegnare il
proprio profilo identitario, frantumato dall’era Renzi.
Le
tre proposte-killer hanno un differente status istituzionale (la
seconda e la terza richiedono una riforma costituzionale, quella
leghista modifica la legge elettorale attualmente vigente, che è legge
ordinaria) e anche diversa possibilità di passare (il “vincolo di
mandato” richiede l’avvio di un processo di riforma costituzionale con
quattro passaggi in aula, mentre la riduzione dei parlamentari è già
arrivata alla vigilia dell’ultimo voto).
Ma tutte e tre convergono nella volontà di azzerare
la possibilità che forze politiche nuove ed estranee ai poteri
consolidati possano nascere, conquistare consensi, aggiudicarsi la
maggioranza attraverso “libere elezioni”.
E vediamo perché.
Già
a bocce ferme, senza altri cambiamenti, un sistema elettorale
totalmente maggioritario riduce la rappresentanza parlamentare ad un
“gioco a due”. Chi prende un voto in più governa per cinque anni grazie a
una straripante maggioranza di parlamentari e chi ha un voto in meno
“non rompe le palle”.
La
frase sfuggita al solito Salvini chiarisce perfettamente il senso e non
si presta ad equivoci. In un sistema del genere l’opposizione politica
(ridotta ad un solo “partito” o “coalizione”) è ammessa come
soprammobile impotente, che spera possa andare diversamente nella
prossima legislatura. Chi non vede grandi problemi “di democrazia” nel
maggioritario dovrebbe girare lo sguardo sulla Francia, dove un
presidente eletto con il 24% può tranquillamente agire come un “re a
tempo determinato”, schiacciando le manifestazioni di piazza e facendo sottoporre a processo l’opposizione parlamentare.
E
teniamo sempre conto che stiamo parlando di governi le cui scelte
fondamentali – legge di stabilità, politiche industriali, ecc – sono
subordinate ferreamente alle decisioni dell’Unione Europea, che ha già
da tempo ridotto la rappresentanza politica a puro gioco di marketing…
Se
però vi aggiungiamo – come è obbligatorio fare – la riduzione dei
parlamentari, avremo una situazione ancor meno democratica perché intere aree del paese potrebbero ritrovarsi senza alcun rappresentante eletto.
Figuriamoci le diverse figure sociali, dunque, che non possono mai
vedere il proprio interesse “rappresentato” dagli eletti da altri
interessi.
Già
ora l’intreccio di ostacoli regolamentari (alto numero di firme
necessarie per presentare liste elettorali non presenti in Parlamento,
Regioni, Comuni), altre soglie di sbarramento, ecc, impediscono praticamente che nuovi soggetti si facciano avanti.
Se
infine dovesse, per qualche infernale alchimia parlamentare, dovesse
essere approvato anche il “vincolo di mandato”, avremmo un Parlamento
incaprettato: pochi eletti perché “nominati in seggi sicuri” dai capi-partito, senza possibilità di scelta, comunque sottoposti a un vincolo esterno sovranazionale.
Una
micro-casta di servi dei servi dei servi dei servi. Molto ben pagati,
come e più di ora. L’unica via di uscita, in una democrazia liberale,
sarebbe la reintroduzione di una legge elettorale totalmente
proporzionale, la selezione di un personale politico – se non altro –
“rispettoso della volontà e degli interessi vitali dei propri elettori”.
Un sogno utopico, nell’Italia attuale.
Bisogna essere perciò realisti. Non
ci sono in questo momento forze politiche che possano o vogliano
contrastare questa riduzione forzosa della rappresentanza politica.
Quindi in qualche forma – con qualche sempre possibile variazione sul
tema, vista la “fantasia istituzionale” italica – questo processo andrà
avanti. E non ci si può attendere nessuna resistenza da parte del
teorico “guardiano della Costituzione” – il Presidente della Repubblica –
che da parlamentare è stato estensore delle prime leggi elettorali
“maggioritarie” (il Mattarellum) e da presidente ha opposto solo rilievi minori ai due “decreti sicurezza” salvinian-fascisti.
Quindi il superamento della “democrazia parlamentare” è scritto nel prossimo futuro.
Per
chi si contrappone come alternativa di sistema, politico e sociale, a
questo buco nero della vita collettiva il primo compito è cambiare testa.
Fin qui si è oscillato, “a sinistra”, tra l’accodamento minoritario
alle frazioni più “sinceramente democratiche” dell’establishment e
l’autoestraniazione dalla dialettica propriamente politica del paese,
accontentandosi magari con l’esibizione di un “esser contro”,
complessivamente impotente ma consolatorio.
Di certo, nessuno potrà andare avanti come prima, a meno di non voler accettare una sorte già scritta…
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