Ai Parchi Nazionali terrestri, che tutelano 1,5 milioni di ettari
del nostro territorio nazionale (il 5% della penisola), negli ultimi
anni lo Stato ha assegnato in media risorse pari a 81 milioni di euro
(considerando il periodo dal 2013 al 2016, fonte Corte dei Conti), sui
quali l’incidenza del costo per il personale è in media superiore al 34%
(più di 32 milioni di euro). In pratica, ogni anno l’Italia destina in media 1,35 euro per abitante ai Parchi Nazionali: una spesa equivalente al costo di un cappuccino.
E non va meglio nelle Aree Marine Protette. Anche qui, i finanziamenti complessivi vengono considerati largamente insufficienti per garantire le attività di conservazione della biodiversità. E' quanto emerge dal "Check-up dei parchi Nazionali e delle Aree Marine Protette", indagine realizzata dal Wwf Italia, presentata oggi, alla quale hanno partecipato tutti i 23 Parchi Nazionali attualmente operativi e 26 aree marine protette sulle 29 istituite.
Oltre al capitolo risorse, le criticità emerse riguardano soprattutto gli strumenti di gestione e la carenza di personale qualificato. Su quest'ultimo fronte, il ministro dell'Ambiente Sergio Costa ha promesso di voler mantenere "l'asticella alta". "Non mi interessa 'sistemare' nessuno, mi interessa la qualità. Quindi: asticella alta. Voglio buoni manager ambientali e non mi interessa il 'colore' ma che il livello sia alto", ha assicurato a margine dell'incontro di oggi nella sede romana del Wwf Italia.
Per quanto riguarda i parchi nazionali, solo nel 30% dei casi è stato approvato in via definitiva il Piano per il Parco e meno del 10% si è dotato di un Regolamento. A livello di biodiversità, i Parchi hanno realizzato check-list, mappe di distribuzione e attività di monitoraggio di specie ed habitat prioritari (in primis lupo e aquila reale, faggete dell’Appennino e stagni mediterranei) su cui basare gli interventi di conservazione, ma le risorse economiche impiegate in queste attività siano ritenute insufficienti: sia le spese per le attività di monitoraggio che quelle per progetti di conservazione sono inferiori al 10% del budget per la quasi totalità dei Parchi (in 9 parchi addirittura inferiori al 5%).
Spesso mancano figure chiave come naturalista o biologo (22%), agronomo o forestale (22%) e ancor più veterinario e geologo (83%), con percentuali della pianta organica dedicate alla conservazione delle biodiversità spesso inferiori al 10%. Inoltre 15 Parchi Nazionali su 23 attualmente operativi attendono entro la fine di quest’anno la designazione dei presidenti (11, dei quali 10 già scaduti) o dei direttori (9, dei quali 8 già scaduti).
Sui suoi 7.500 km di coste, l’Italia conta 29 Aree marine protette (inclusi 2 parchi sommersi) che incidono solo su 700 km di costa (pari allo 0,8% del totale) e 228mila ettari di mare. Per quanto riguarda le risorse, nel 2017 sono stati destinati per il funzionamento e la gestione solo 7 milioni di euro. Per quanto riguarda strategie e strumenti di gestione, quasi il 70% delle Amp ha un Piano di gestione approvato in via definitiva e quasi l’80% degli enti ha approvato il proprio Regolamento.
Buona anche la percentuale di approvazione di piani e misure di conservazione per i Siti Natura 2000 in esse ricadenti, con percentuali più limitate per quanto riguarda le Amp gestite da Enti Parco. Per quanto riguarda la biodiversità, le Amp riportano un buon punteggio nella realizzazione di check-list, mappe di distribuzione e attività di monitoraggio di specie ed habitat prioritari (in primis cernia bruna, Pinna nobilis e tartaruga Caretta caretta; praterie di posidonia e scogliere) su cui basare gli interventi di conservazione, con valori migliori nelle Amp più grandi.
Tuttavia, le risorse economiche impiegate in queste attività sono ritenute del tutto insufficienti, nonostante circa la metà delle Amp investa oltre il 15% del proprio budget in monitoraggi e altrettanto in progetti di conservazione.
I risultati però evidenziano un mancato raggiungimento degli obiettivi di conservazione prefissati dalle Amp. I trend delle specie e habitat prioritari delle Direttive Europee Habitat e Uccelli e sulle Liste Rosse della Iucn riportati da più del 50% delle Amp risultano uguali o peggiori alla media nazionale, ovvero all’esterno di aree protette. Per quanto riguarda la pesca commerciale e ricreativa, l’effetto della presenza di una riserva è mediamente leggero o insufficiente e, se il livello di pesca non è in linea con gli obiettivi di conservazione, non si prendono provvedimenti per modificare la gestione della pesca.
Sebbene la sorveglianza della legalità nelle Amp non dipenda direttamente dagli enti gestori, si evidenziano giudizi fortemente negativi sulla capacità di far rispettare le leggi e, in particolare, di reprimere la pesca illegale. Il personale delle Amp impiegato in attività di conservazione della biodiversità è ritenuto del tutto insufficiente, così̀ come le condizioni di impiego e l’aggiornamento scientifico. A questo le Amp cercano di fare fronte grazie alla partecipazione di esperti esterni (in particolare università ed enti di ricerca), comunità locali e portatori di interesse in attività di conservazione, giudicata largamente positiva. I conflitti con le comunità locali sono considerati modesti.
In merito alle Aree marine protette, la presidente del Wwf Italia Donatella Bianchi ha sottolineato: “Le Amp non possono continuare ad essere la 'serie B' delle aree protette: devono diventare dei parchi marini a tutti gli effetti con pari dignità e considerazione rispetto a quelli terrestri. A questo scopo chiediamo che già dalla prossima finanziaria si avvii una sperimentazione su un vero e proprio parco marino”.
Analizzando quanto emerge dal "Check-Up", il Wwf ritiene che sia necessario un “tagliando” della Legge quadro sulle aree protette (394/91) che punti a: rafforzare il ruolo di sistema delle aree protette, realizzare la Strategia Nazionale sulla Biodiversità, garantire una maggiore connessione con le aree contigue, incrementare l’autorevolezza e le competenze di chi rappresenta o lavora nei parchi.
Servono anche la semplificazione di alcuni processi gestionali e amministrativi per facilitare una corretta possibilità di autofinanziamento e un intervento sul sistema delle Riserve Naturali dello Stato che rientrano nel perimetro di aree protette. In particolare, il Wwf ritiene indispensabile la modifica normativa della Legge quadro sulle aree protette per tutto il comparto delle Aree Marine Protette.
Un'inversione di tendenza a partire dalle nomine dei presidenti e direttori per i quali l'associazione chiede figure di qualità con competenze “reali” nei campi della conservazione, della gestione dei beni naturali, amministrativo e gestionale, da individuare tramite concorso pubblico per titoli ed esami e superando così le logiche politiche di spartizione.
Il Wwf chiede che ci sia un incremento di almeno 40 milioni le risorse nel capitolo di bilancio del Ministero dell’Ambiente per la gestione ordinaria delle aree protette nazionali terrestri e marine, che oggi destina a questo scopo circa 80 milioni di euro, portando quindi la dotazione complessiva a 120 milioni di euro, alla luce anche della creazione, con la Legge di Bilancio 2018, di due nuovi Parchi Nazionali (Portofino e Matese), oltre all’attesa da anni e ci si augura prossima istituzione in Abruzzo del Parco della Costa Teatina e dei tre parchi nazionali previsti in Sicilia: parco delle isole Egadi e del litorale trapanese, delle isole Eolie e dei Monti Iblei.
Per quanto riguarda le Aree Marine Protette, Wwf chiede una modifica normativa che consenta di avere un bilancio congruo e certo inserito nelle spese obbligatorie dello Stato e fondi addizionali per la creazione delle AMP già individuate come “di prossima istituzione”.
Il sistema delle aree protette nazionali deve essere implementato con il completamento di tutti i parchi “sospesi”, ossia quelli che sono rimasti solo sulla carta e con una soluzione definitiva per i parchi dello Stelvio e del Delta del Po che sono diventati dei parchi anomali, affidati a Regioni e Province autonome, e devono tornare ad essere nazionali a tutti gli effetti.
C'è poi da risolvere la vicenda del “parco nazionale interrotto” del Gennargentu, istituito ma mai avviato, e bisogna proseguire nella trasformazione, già avviata a Portofino, di tutte quelle realtà dove la presenza contestuale di aree marine protette e riserve o parchi regionali terrestri costieri, richiederebbe una migliore gestione unitaria sotto forma di Parco Nazionale (es. Parco Porto Conte-Amp Capo Caccia; Parco del Conero-futura AMP del Conero).
Il Wwf chiede anche che i Parchi Nazionali e le Aree Marine Protette siano integrati in una Rete Ecologica Nazionale, che può avere il suo primo nucleo pilota nel Santuario Pelagos, una delle maggiori aree di tutela dei cetacei al mondo e la più grande aree protetta transnazionale (87,500 kmq), che risulta ancora di fatto incapace di dare una protezione adeguata ai mammiferi marini, soprattutto in termini di collisioni con grandi navi, e dove è fondamentale che si crei un network di aree protette marine e terrestri (a cominciare da quelle di Portofino, Cinque Terre, Bergeggi, Secche della Meloria, Isola dell’Asinara e dai parchi de La Maddalena e dell’Arcipelago toscano).
E non va meglio nelle Aree Marine Protette. Anche qui, i finanziamenti complessivi vengono considerati largamente insufficienti per garantire le attività di conservazione della biodiversità. E' quanto emerge dal "Check-up dei parchi Nazionali e delle Aree Marine Protette", indagine realizzata dal Wwf Italia, presentata oggi, alla quale hanno partecipato tutti i 23 Parchi Nazionali attualmente operativi e 26 aree marine protette sulle 29 istituite.
Oltre al capitolo risorse, le criticità emerse riguardano soprattutto gli strumenti di gestione e la carenza di personale qualificato. Su quest'ultimo fronte, il ministro dell'Ambiente Sergio Costa ha promesso di voler mantenere "l'asticella alta". "Non mi interessa 'sistemare' nessuno, mi interessa la qualità. Quindi: asticella alta. Voglio buoni manager ambientali e non mi interessa il 'colore' ma che il livello sia alto", ha assicurato a margine dell'incontro di oggi nella sede romana del Wwf Italia.
Per quanto riguarda i parchi nazionali, solo nel 30% dei casi è stato approvato in via definitiva il Piano per il Parco e meno del 10% si è dotato di un Regolamento. A livello di biodiversità, i Parchi hanno realizzato check-list, mappe di distribuzione e attività di monitoraggio di specie ed habitat prioritari (in primis lupo e aquila reale, faggete dell’Appennino e stagni mediterranei) su cui basare gli interventi di conservazione, ma le risorse economiche impiegate in queste attività siano ritenute insufficienti: sia le spese per le attività di monitoraggio che quelle per progetti di conservazione sono inferiori al 10% del budget per la quasi totalità dei Parchi (in 9 parchi addirittura inferiori al 5%).
Spesso mancano figure chiave come naturalista o biologo (22%), agronomo o forestale (22%) e ancor più veterinario e geologo (83%), con percentuali della pianta organica dedicate alla conservazione delle biodiversità spesso inferiori al 10%. Inoltre 15 Parchi Nazionali su 23 attualmente operativi attendono entro la fine di quest’anno la designazione dei presidenti (11, dei quali 10 già scaduti) o dei direttori (9, dei quali 8 già scaduti).
Sui suoi 7.500 km di coste, l’Italia conta 29 Aree marine protette (inclusi 2 parchi sommersi) che incidono solo su 700 km di costa (pari allo 0,8% del totale) e 228mila ettari di mare. Per quanto riguarda le risorse, nel 2017 sono stati destinati per il funzionamento e la gestione solo 7 milioni di euro. Per quanto riguarda strategie e strumenti di gestione, quasi il 70% delle Amp ha un Piano di gestione approvato in via definitiva e quasi l’80% degli enti ha approvato il proprio Regolamento.
Buona anche la percentuale di approvazione di piani e misure di conservazione per i Siti Natura 2000 in esse ricadenti, con percentuali più limitate per quanto riguarda le Amp gestite da Enti Parco. Per quanto riguarda la biodiversità, le Amp riportano un buon punteggio nella realizzazione di check-list, mappe di distribuzione e attività di monitoraggio di specie ed habitat prioritari (in primis cernia bruna, Pinna nobilis e tartaruga Caretta caretta; praterie di posidonia e scogliere) su cui basare gli interventi di conservazione, con valori migliori nelle Amp più grandi.
Tuttavia, le risorse economiche impiegate in queste attività sono ritenute del tutto insufficienti, nonostante circa la metà delle Amp investa oltre il 15% del proprio budget in monitoraggi e altrettanto in progetti di conservazione.
I risultati però evidenziano un mancato raggiungimento degli obiettivi di conservazione prefissati dalle Amp. I trend delle specie e habitat prioritari delle Direttive Europee Habitat e Uccelli e sulle Liste Rosse della Iucn riportati da più del 50% delle Amp risultano uguali o peggiori alla media nazionale, ovvero all’esterno di aree protette. Per quanto riguarda la pesca commerciale e ricreativa, l’effetto della presenza di una riserva è mediamente leggero o insufficiente e, se il livello di pesca non è in linea con gli obiettivi di conservazione, non si prendono provvedimenti per modificare la gestione della pesca.
Sebbene la sorveglianza della legalità nelle Amp non dipenda direttamente dagli enti gestori, si evidenziano giudizi fortemente negativi sulla capacità di far rispettare le leggi e, in particolare, di reprimere la pesca illegale. Il personale delle Amp impiegato in attività di conservazione della biodiversità è ritenuto del tutto insufficiente, così̀ come le condizioni di impiego e l’aggiornamento scientifico. A questo le Amp cercano di fare fronte grazie alla partecipazione di esperti esterni (in particolare università ed enti di ricerca), comunità locali e portatori di interesse in attività di conservazione, giudicata largamente positiva. I conflitti con le comunità locali sono considerati modesti.
In merito alle Aree marine protette, la presidente del Wwf Italia Donatella Bianchi ha sottolineato: “Le Amp non possono continuare ad essere la 'serie B' delle aree protette: devono diventare dei parchi marini a tutti gli effetti con pari dignità e considerazione rispetto a quelli terrestri. A questo scopo chiediamo che già dalla prossima finanziaria si avvii una sperimentazione su un vero e proprio parco marino”.
Analizzando quanto emerge dal "Check-Up", il Wwf ritiene che sia necessario un “tagliando” della Legge quadro sulle aree protette (394/91) che punti a: rafforzare il ruolo di sistema delle aree protette, realizzare la Strategia Nazionale sulla Biodiversità, garantire una maggiore connessione con le aree contigue, incrementare l’autorevolezza e le competenze di chi rappresenta o lavora nei parchi.
Servono anche la semplificazione di alcuni processi gestionali e amministrativi per facilitare una corretta possibilità di autofinanziamento e un intervento sul sistema delle Riserve Naturali dello Stato che rientrano nel perimetro di aree protette. In particolare, il Wwf ritiene indispensabile la modifica normativa della Legge quadro sulle aree protette per tutto il comparto delle Aree Marine Protette.
Un'inversione di tendenza a partire dalle nomine dei presidenti e direttori per i quali l'associazione chiede figure di qualità con competenze “reali” nei campi della conservazione, della gestione dei beni naturali, amministrativo e gestionale, da individuare tramite concorso pubblico per titoli ed esami e superando così le logiche politiche di spartizione.
Il Wwf chiede che ci sia un incremento di almeno 40 milioni le risorse nel capitolo di bilancio del Ministero dell’Ambiente per la gestione ordinaria delle aree protette nazionali terrestri e marine, che oggi destina a questo scopo circa 80 milioni di euro, portando quindi la dotazione complessiva a 120 milioni di euro, alla luce anche della creazione, con la Legge di Bilancio 2018, di due nuovi Parchi Nazionali (Portofino e Matese), oltre all’attesa da anni e ci si augura prossima istituzione in Abruzzo del Parco della Costa Teatina e dei tre parchi nazionali previsti in Sicilia: parco delle isole Egadi e del litorale trapanese, delle isole Eolie e dei Monti Iblei.
Per quanto riguarda le Aree Marine Protette, Wwf chiede una modifica normativa che consenta di avere un bilancio congruo e certo inserito nelle spese obbligatorie dello Stato e fondi addizionali per la creazione delle AMP già individuate come “di prossima istituzione”.
Il sistema delle aree protette nazionali deve essere implementato con il completamento di tutti i parchi “sospesi”, ossia quelli che sono rimasti solo sulla carta e con una soluzione definitiva per i parchi dello Stelvio e del Delta del Po che sono diventati dei parchi anomali, affidati a Regioni e Province autonome, e devono tornare ad essere nazionali a tutti gli effetti.
C'è poi da risolvere la vicenda del “parco nazionale interrotto” del Gennargentu, istituito ma mai avviato, e bisogna proseguire nella trasformazione, già avviata a Portofino, di tutte quelle realtà dove la presenza contestuale di aree marine protette e riserve o parchi regionali terrestri costieri, richiederebbe una migliore gestione unitaria sotto forma di Parco Nazionale (es. Parco Porto Conte-Amp Capo Caccia; Parco del Conero-futura AMP del Conero).
Il Wwf chiede anche che i Parchi Nazionali e le Aree Marine Protette siano integrati in una Rete Ecologica Nazionale, che può avere il suo primo nucleo pilota nel Santuario Pelagos, una delle maggiori aree di tutela dei cetacei al mondo e la più grande aree protetta transnazionale (87,500 kmq), che risulta ancora di fatto incapace di dare una protezione adeguata ai mammiferi marini, soprattutto in termini di collisioni con grandi navi, e dove è fondamentale che si crei un network di aree protette marine e terrestri (a cominciare da quelle di Portofino, Cinque Terre, Bergeggi, Secche della Meloria, Isola dell’Asinara e dai parchi de La Maddalena e dell’Arcipelago toscano).
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