venerdì 13 luglio 2018

Violazione continua dell’embargo Onu sulle armi

Il governo somalo sta continuando a importare illegalmente armamenti pesanti nonostante la proibizione dettata dall’embargo imposto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite. Un funzionario dell’agenzia di sicurezza, infatti, ha riferito al sito Garowe Online che il governo ha acquistato da Gibuti armi pesanti e leggere, sequestrate prima che arrivassero ai ribelli sciiti houti, in Yemen. Le armi sarebbero poi arrivate a Mogadiscio il 22 giugno scorso, pochi giorni dopo le celebrazioni del 58° anniversario dell’indipendenza somala, alla quale ha preso parte anche il ministro della difesa di Gibuti, Ali Bahdon.
L’importazione illegale non riguarda, tuttavia, solo i rapporti tra Somalia e Gibuti. Appare essere un fenomeno più ampio, che poggia su una rete di contatti diffusa anche in altre nazioni. Pochi giorni fa, infatti, il giudice per l’udienza preliminare di Firenze ha condannato con rito abbreviato tre cittadini somali che inviavano in patria, dalla Toscana, mezzi militari dell’esercito italiano dismessi, ma non smilitarizzati.
L’organizzazione riusciva a far sparire illegalmente dal nostro paese decine di mezzi militari smontandoli pezzo per pezzo, bullone per bullone. Poi li “inscatolava” e li spediva all’interno di container dai porti italiani fino a Mogadiscio. Lì, le armi riassemblate finivano nella disponibilità di organizzazioni belliche e paramilitari di uno stato ancora sotto embargo.
Il metodo utilizzato sembrerebbe essere semplicissimo. Le officine di demolizione o le carrozzerie italiane acquistavano regolarmente, per conto di gruppi bellici somali, i veicoli in dismissione dell’Esercito Italiano. Poi, anziché smantellarli o venderli, come prevede la legge, li smontavano e li spedivano in Africa con tutte le strumentazioni e gli armamenti bellici in dotazione ai nostri militari.
Il gruppo, infatti, secondo quanto ha ricostruito dalla Polizia stradale del compartimento della Toscana nell'operazione "Broken Tank" della Procura di Firenze, aveva il compito di non demilitarizzare i veicoli, anzi, di mantenerne tutti gli armamenti in dotazione: luci di guerra, vernici antiriflesso, pneumatici antiproiettile, strumentazioni radio, installazioni da difesa leggera per fucilieri e mitraglieri.
Secondo l’indagine toscana, a commissionare gli acquisti e a pagare migliaia e migliaia di euro attraverso il metodo hawala, molto diffuso nel paese africano e usato anche dai terroristi islamici per muovere il denaro nell'anonimato, erano direttamente i guerriglieri somali.
Ma la movimentazione di armi in Somalia è un fenomeno diffuso: lo scorso aprile, al termine di un corso di addestramento tenuto dalle forze degli Emirati Arabi Uniti a Mogadiscio, più di 600 fucili da guerra sono stati rubati dal centro per essere immediatamente rivenduti sul mercato nero.
In gennaio, la Somalia aveva richiesto insistentemente la revoca dell’embargo imposto nel 1992 dalle Nazioni Unite durante la guerra civile, per poter gestire in autonomia le operazione sul territorio ora controllate perlopiù dalla missione dell’Unione africana, Amisom. Nonostante il provvedimento, che inizialmente impediva l’importazione di qualsiasi tipo di armi, pesanti e leggere, sia stato parzialmente rimosso, nel 2013, concedendo al governo la possibilità di rifornirsi soltanto di armamenti leggeri, le autorità somale continuano a ritenerlo lesivo per il paese. «I nostri appelli per la revoca dell'embargo sulle armi sono ben giustificati dal fatto che i somali non stanno più combattendo una guerra civile basata sul clan, che dava agli Stati Uniti e alle Nazioni Unite un valido motivo per imporre l'embargo», ha riferito l'ambasciatore somalo in Etiopia, Mohamed Ali-Nur Hagi, all’agenzia turca Anadolu.
Le motivazioni della decisione di mantenere attivo l’embargo, però, sono dettate dal tentativo di contenere lo scontro in atto tra le forze governative e le milizie dell’organizzazione terroristica di al-Shabaab che nell’ultimo periodo si è resa responsabile di diversi attentati e omicidi. L’ultimo dei quali avvenuto ieri nel villaggio di Aad, nella regione di Galmudugh.

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