Il governo somalo sta
continuando a importare illegalmente armamenti pesanti nonostante la
proibizione dettata dall’embargo imposto dal Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni unite. Un funzionario dell’agenzia di sicurezza, infatti,
ha riferito al sito Garowe Online
che il governo ha acquistato da Gibuti armi pesanti e leggere,
sequestrate prima che arrivassero ai ribelli sciiti houti, in Yemen. Le
armi sarebbero poi arrivate a Mogadiscio il 22 giugno scorso, pochi
giorni dopo le celebrazioni del 58° anniversario dell’indipendenza
somala, alla quale ha preso parte anche il ministro della difesa di
Gibuti, Ali Bahdon.
L’importazione illegale non riguarda,
tuttavia, solo i rapporti tra Somalia e Gibuti. Appare essere un
fenomeno più ampio, che poggia su una rete di contatti diffusa anche in
altre nazioni. Pochi giorni fa, infatti, il giudice per l’udienza
preliminare di Firenze ha condannato con rito abbreviato tre cittadini somali che inviavano in patria, dalla Toscana, mezzi militari dell’esercito italiano dismessi, ma non smilitarizzati.
L’organizzazione riusciva a far sparire
illegalmente dal nostro paese decine di mezzi militari smontandoli pezzo
per pezzo, bullone per bullone. Poi li “inscatolava” e li spediva
all’interno di container dai porti italiani fino a Mogadiscio. Lì, le
armi riassemblate finivano nella disponibilità di organizzazioni
belliche e paramilitari di uno stato ancora sotto embargo.
Il metodo utilizzato sembrerebbe essere
semplicissimo. Le officine di demolizione o le carrozzerie italiane
acquistavano regolarmente, per conto di gruppi bellici somali, i veicoli
in dismissione dell’Esercito Italiano. Poi, anziché smantellarli o
venderli, come prevede la legge, li smontavano e li spedivano in Africa
con tutte le strumentazioni e gli armamenti bellici in dotazione ai
nostri militari.
Il gruppo, infatti, secondo quanto ha
ricostruito dalla Polizia stradale del compartimento della Toscana
nell'operazione "Broken Tank" della Procura di Firenze, aveva il compito
di non demilitarizzare i veicoli, anzi, di mantenerne tutti gli
armamenti in dotazione: luci di guerra, vernici antiriflesso, pneumatici
antiproiettile, strumentazioni radio, installazioni da difesa leggera
per fucilieri e mitraglieri.
Secondo l’indagine toscana, a commissionare gli acquisti e a pagare migliaia e migliaia di euro attraverso il metodo hawala,
molto diffuso nel paese africano e usato anche dai terroristi islamici
per muovere il denaro nell'anonimato, erano direttamente i guerriglieri
somali.
Ma la movimentazione di armi in Somalia è
un fenomeno diffuso: lo scorso aprile, al termine di un corso di
addestramento tenuto dalle forze degli Emirati Arabi Uniti a Mogadiscio,
più di 600 fucili da guerra sono stati rubati dal centro per essere
immediatamente rivenduti sul mercato nero.
In gennaio, la Somalia aveva richiesto
insistentemente la revoca dell’embargo imposto nel 1992 dalle Nazioni
Unite durante la guerra civile, per poter gestire in autonomia le
operazione sul territorio ora controllate perlopiù dalla missione
dell’Unione africana, Amisom. Nonostante il provvedimento, che
inizialmente impediva l’importazione di qualsiasi tipo di armi, pesanti e
leggere, sia stato parzialmente rimosso, nel 2013, concedendo al
governo la possibilità di rifornirsi soltanto di armamenti leggeri, le
autorità somale continuano a ritenerlo lesivo per il paese. «I nostri
appelli per la revoca dell'embargo sulle armi sono ben giustificati dal
fatto che i somali non stanno più combattendo una guerra civile basata
sul clan, che dava agli Stati Uniti e alle Nazioni Unite un valido
motivo per imporre l'embargo», ha riferito l'ambasciatore somalo in
Etiopia, Mohamed Ali-Nur Hagi, all’agenzia turca Anadolu.
Le motivazioni della decisione di mantenere
attivo l’embargo, però, sono dettate dal tentativo di contenere lo
scontro in atto tra le forze governative e le milizie
dell’organizzazione terroristica di al-Shabaab che nell’ultimo periodo
si è resa responsabile di diversi attentati e omicidi. L’ultimo dei
quali avvenuto ieri nel villaggio di Aad, nella regione di Galmudugh.
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