mercoledì 25 luglio 2018

Dati personali, il Grande Fratello Europeo si avvicina. Ma nessuno ne parla

Un archivio degli archivi

Per tre anni gli uffici delle istituzioni Ue hanno svolto un accanito lavoro da parte su alcune proposte legislative mirate alla costituzione di un sistema di coordinamento (“interconnessione”) dei database nazionali di competenza delle autorità che si occpuano della giustizia e degli affari interni. L’obiettivo dichiarato era di includere informazioni esclusivamente su cittadini extra-europei. Poi, nei fatti qualcosa è cambiato.
Con un semplice questionario elaborato dalla presidenza di turno bulgara nel febbraio 2018, quello che originariamente doveva essere uno strumento di supporto alla tempestiva informazione e cooperazione tra i governi UE nelle attività di prevenzione e controllo della criminalità e del terrorismo extra-UE, ha subito una “mutazione”. E si è così trasformato in un meccanismo che garantisce l’interoperabilità di tutti gli archivi e base-dati dei cittadini comunitari.
In pratica, i governi europei, con l’appoggio della Commissione, hanno dato il loro via libera alla costituzione di un archivio degli archivi nazionali, che, oltre ai dati ricavati attraverso i biglietti aerei e ferroviari dei cittadini UE, carte di credito e conti correnti, includa i dati biometrici di tutti noi.

Una proposta mai apertamente discussa

Non a caso, lo scorso aprile, sempre nell’assoluto silenzio della grande stampa europea, la Commissione ha adottato una proposta per rendere obbligatori i dati biometrici per tutte le carte d’identità UE. La misura interesserebbe oltre 370 milioni di cittadini e costituirebbe un’ottima base per il sistema totale di sorveglianza che si sta costruendo a nostra insaputa.
Secondo il Supervisore Europeo per la protezione dei dati personali, la sceltà dell’interoperabilità di tutti gli archivi dei dati personali dei cittadini UE e dei Paesi terzi è innanzi tutto una scelta politica, non tecnica. Come tale, essa dovrebbe essere ampiamente ed apertamente discussa in modo da poterla inquadrare nel contesto della protezione dei diritti fondamentali garantiti dall’UE, sia ai propri cittadini sia a quelli di Paesi terzi.

La sicurezza come pretesto

La possibilità di mischiare i dati personali relativi alla prevenzione del terrorismo, alla migrazione illegale, a reati comuni, con quelli di tutti i cittadini UE, per mezzo della scelta di operare un database centralizzato, piuttosto che favorire la cooperazione tra i diversi archivi nazionali, aumenterebbe il rischio di abusi. E ciò favorirebbe anche la possibilità di utilizzare il sistema ben oltre lo scopo per il quale esso sia stato concepito e messo in opera. Per non parlare delle possibili, devastanti conseguenze di una qualsiasi falla del sistema, che permetterebbe di impadronirsi dei dati biometrici di milioni di individui. Informazioni non modificabili che potrebbero generare dei veri e propri “furti d’identità”.
La Commissione, inoltre, insiste nel presentare la sua proposta come mirata alla prevenzione del terrorismo e dell’immigrazione illegale. Scopo che viene aspramente contestato dal Parlamento europeo in uno studio recentemente pubblicato.
Il problema fondamentale rimane quello della mancanza d’informazione e di partecipazione dei cittadini europei rispetto a quello che già viene descritto come il progetto “Grande Fratello Europeo” e che, ormai, si avvicina al punto di non ritorno. Per utilizzare la definizione di Edward Snowden: “la scusa è la sicurezza ma il vero obiettivo è il controllo”.

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