19 luglio 1992: a Palermo la terra trema, appena
cinquantasette giorni dopo Capaci. Stavolta l’epicentro del terremoto è
il tritolo di via D’Amelio che spazza via Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. E, cinquantasette giorni dopo Giovanni Falcone, Paolo Borsellino.
Omicidi di mafia ancora parzialmente avvolti nel mistero. Ed oggi, come
ogni anno, per l’antimafia di maniera è giorno di festa: è un giorno
perfetto per lo sfoggio della magniloquenza, della stucchevole retorica
eroica e lacrimevole per coloro che con i nomi di Paolo Borsellino e
Giovanni Falcone si riempiono la bocca, stuprando il loro ricordo,
mistificando e stravolgendo le loro parole, riducendoli a stendardi e
slogan al servizio della mafia dell’antimafia, madre di tutte le imposture (così
superbamente raccontata da Pietrangelo Buttafuoco); ed ogni volta che
con le loro boccacce putride e infette pronunciano i loro nomi li
insultano, li seviziano, li uccidono; di nuovo.
Il bisogno di ricordare deve essere sempre coniugato col bisogno di ragionare: qui non si vuole ricordare Paolo Borsellino come un eroe da interpellare a convenienza, ma come Uomo, cittadino innamorato, studioso e profondo conoscitore delle cose di Cosa Nostra. Un Uomo d’altri tempi, incarnazione dell’Antimafia Vera, quella studiata, ragionata, sul campo che non può essere ridotta a slogan elettorali o commerciali, a libri e pellicole da quattro soldi e a mistificanti aforismi su Facebook, come troppo spesso fa tanta presunta antimafia odierna che -ahinoi- detiene il primato nella creazione dell’opinione pubblica sul fenomeno mafioso.
Oggi siamo inondati da un’immensa bibliografia su Cosa Nostra: la letteratura antimafia ha invaso le librerie. Tutti sanno e scrivono, nessuno -o quasi- sa. Perché di mafia se ne parla tanto, ma soprattutto male. Tanto male da chiedersi se effettivamente questi nuovi professionisti dell’antimafia abbiano effettivamente letto gli scritti di Falcone e Borsellino (o un’attendibile storia della mafia), se non li abbiano capiti o se abbiano appositamente travisato -o ignorato- le loro parole; con risultati aberranti che vanno dal tutto è mafia e la mafia è lo Stato a legalizziamo le droghe per far danno alle mafie. Falcone e Borsellino hanno sempre insistito sull’importanza della conoscenza profonda della mafia per poterla combattere: ma questo, qualcuno finge di non ricordarlo. Falcone e Borsellino, con differenti ideologie politiche, erano al servizio della Verità e della Giustizia, non di un partito; e anche questo viene passato sotto silenzio da chi fa dell’antimafia una medaglia da mostrare in campagna elettorale.
La storia, l’impegno, la dedizione, lo studio, la profonda conoscenza del fenomeno mafioso, dei suoi metodi, dei suoi linguaggi, di Paolo Borsellino e dei suoi colleghi e collaboratori ci insegnano a dubitare del circo politico-mediatico fatto di giullari dell’antimafia, ci mettono in guardia da chi fa dell’antimafia una bandiera politica di uso esclusivo di un determinato partito, di chi di mafia parla a sproposito, di chi dice che tutto è mafia, di chi ci propina visioni hollywoodiane del fenomeno mafioso, di chi, protetto dal ruolo di paladino dell’antimafia, sotto la spinta di aberranti ideologie o miracolistiche soluzioni prospettate dai “partiti folli” o da frange di essi, sponsorizza la liberalizzazione delle droghe come un duro colpo alle mafie. Paolo Borsellino, poi, insegna ad amare: amava la vita, la famiglia, la Verità, la sua Palermo.
Il bisogno di ricordare deve essere sempre coniugato col bisogno di ragionare: qui non si vuole ricordare Paolo Borsellino come un eroe da interpellare a convenienza, ma come Uomo, cittadino innamorato, studioso e profondo conoscitore delle cose di Cosa Nostra. Un Uomo d’altri tempi, incarnazione dell’Antimafia Vera, quella studiata, ragionata, sul campo che non può essere ridotta a slogan elettorali o commerciali, a libri e pellicole da quattro soldi e a mistificanti aforismi su Facebook, come troppo spesso fa tanta presunta antimafia odierna che -ahinoi- detiene il primato nella creazione dell’opinione pubblica sul fenomeno mafioso.
Oggi siamo inondati da un’immensa bibliografia su Cosa Nostra: la letteratura antimafia ha invaso le librerie. Tutti sanno e scrivono, nessuno -o quasi- sa. Perché di mafia se ne parla tanto, ma soprattutto male. Tanto male da chiedersi se effettivamente questi nuovi professionisti dell’antimafia abbiano effettivamente letto gli scritti di Falcone e Borsellino (o un’attendibile storia della mafia), se non li abbiano capiti o se abbiano appositamente travisato -o ignorato- le loro parole; con risultati aberranti che vanno dal tutto è mafia e la mafia è lo Stato a legalizziamo le droghe per far danno alle mafie. Falcone e Borsellino hanno sempre insistito sull’importanza della conoscenza profonda della mafia per poterla combattere: ma questo, qualcuno finge di non ricordarlo. Falcone e Borsellino, con differenti ideologie politiche, erano al servizio della Verità e della Giustizia, non di un partito; e anche questo viene passato sotto silenzio da chi fa dell’antimafia una medaglia da mostrare in campagna elettorale.
La storia, l’impegno, la dedizione, lo studio, la profonda conoscenza del fenomeno mafioso, dei suoi metodi, dei suoi linguaggi, di Paolo Borsellino e dei suoi colleghi e collaboratori ci insegnano a dubitare del circo politico-mediatico fatto di giullari dell’antimafia, ci mettono in guardia da chi fa dell’antimafia una bandiera politica di uso esclusivo di un determinato partito, di chi di mafia parla a sproposito, di chi dice che tutto è mafia, di chi ci propina visioni hollywoodiane del fenomeno mafioso, di chi, protetto dal ruolo di paladino dell’antimafia, sotto la spinta di aberranti ideologie o miracolistiche soluzioni prospettate dai “partiti folli” o da frange di essi, sponsorizza la liberalizzazione delle droghe come un duro colpo alle mafie. Paolo Borsellino, poi, insegna ad amare: amava la vita, la famiglia, la Verità, la sua Palermo.
Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare.Ci insegna che l’amore per la propria terra è indispensabile, che senza di esso non c’è impegno, dedizione, sacrificio e quindi possibilità di cambiamento. Dunque, per ricordarlo degnamente, proviamo a prenderlo come Esempio, tutti i giorni: impariamo ad amare questa nostra Italia, ad impegnarci nel migliorarla, a studiare per conoscere a fondo la mafia, non fermandoci a una visione stereotipata di essa, che crea solo confusione e falsi miti: senza capirla, non la si può combattere. Impariamo a riconoscere e a diffidare dei professionisti della mafia dell’antimafia, troppo spesso piegati alle spregevoli logiche della propaganda. Impariamo questo: vale molto di più della retorica lacrimevole rispolverata ogni 19 luglio.
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