Qualche anno addietro ci vollero tre processi e 5 anni di calvario
giudiziario per mandare assolto un povero disgraziato, nullatenente e
senza fissa dimora perché “il fatto non costituisce reato”, per aver rubato un pezzo di formaggio in un supermercato del valore di circa 4 euro.
L’obbligatorietà dell’azione penale non conosce limiti, si disse: lo dice chiaro anche l’art.112 della Costituzione più bella del mondo.
Oggi il tema è un altro: a Milano, per pura coincidenza temporale viene condannato un “Giudice corrotto” del contenzioso tributario che modellava le sentenze in base al ritorno economico che gli derivava e un Ciccillo CACACE, sconosciuto, che aveva rubato “una bottiglia di vino”: beveva per dimenticare!
Perché ne parlo?
Perché la sanzione penale è sostanzialmente la stessa: quattro anni di carcere ciascuno!
In Tribunale, l’accusa aveva chiesto dieci anni ma poi, strada facendo, fra ricorso, rito abbreviato, patteggiamento e sconto di pena si giunge alla farsa, all’italiana maniera: come sempre!
Per l’avvocato cassazionista che espletava l’importante ruolo di giudice tributario, avendo trovato il miglior modo per arricchirsi con estrema velocità, alla fine della giostra se la caverà quasi con la stessa pena dell’autore del furto da otto euro: il poveraccio che beveva per dimenticare!
La nostra giustizia non perdona, non distingue, mischia e alla fine confonde il ladro di polli, quello che ruba per mera sopravvivenza da colui che invece, pur se lautamente retribuito, ruba per arricchirsi in spregio alla dignità di tutti, a cominciare da quel senso di giustizia che dovrebbe caratterizzare l’Istituzione.
Un ladro decisamente sfortunato che, opponendosi al vigilantes all’uscita dal supermercato che cercava di bloccarlo, trasformava il furto in una rapina impropria.
Chissà se la bottiglia se la fosse bevuta sul posto, una volta ubriaco la faceva franca e avremmo registrato la sola condanna del giudice, che quando concordava le condanne con gli evasori fiscali era lucido, perché lui sul lavoro era serio: beveva acqua & mazzette!
L’obbligatorietà dell’azione penale non conosce limiti, si disse: lo dice chiaro anche l’art.112 della Costituzione più bella del mondo.
Perché ne parlo?
Perché la sanzione penale è sostanzialmente la stessa: quattro anni di carcere ciascuno!
In Tribunale, l’accusa aveva chiesto dieci anni ma poi, strada facendo, fra ricorso, rito abbreviato, patteggiamento e sconto di pena si giunge alla farsa, all’italiana maniera: come sempre!
Per l’avvocato cassazionista che espletava l’importante ruolo di giudice tributario, avendo trovato il miglior modo per arricchirsi con estrema velocità, alla fine della giostra se la caverà quasi con la stessa pena dell’autore del furto da otto euro: il poveraccio che beveva per dimenticare!
La nostra giustizia non perdona, non distingue, mischia e alla fine confonde il ladro di polli, quello che ruba per mera sopravvivenza da colui che invece, pur se lautamente retribuito, ruba per arricchirsi in spregio alla dignità di tutti, a cominciare da quel senso di giustizia che dovrebbe caratterizzare l’Istituzione.
Un ladro decisamente sfortunato che, opponendosi al vigilantes all’uscita dal supermercato che cercava di bloccarlo, trasformava il furto in una rapina impropria.
Chissà se la bottiglia se la fosse bevuta sul posto, una volta ubriaco la faceva franca e avremmo registrato la sola condanna del giudice, che quando concordava le condanne con gli evasori fiscali era lucido, perché lui sul lavoro era serio: beveva acqua & mazzette!
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