«Tra l’accettazione della “malaccoglienza” così com’è e la
privatizzazione completa della sua gestione (che forse piacerebbe a
qualcuno) c’è, deve esserci, una terza possibilità che è quella di
una riforma profonda delle politiche attuali. Ma questa è possibile
solo se si individuano e si rimuovono le cause che stanno alla base
della cattiva accoglienza» spiegano da Lunaria, il cui rapporto fa un
quadro del sistema dell'accoglienza dei rifugiati in Italia e in
particolare a Roma.
«Alcune di queste, forse le più determinanti, non sono di competenza dei singoli amministratori locali o dei singoli Prefetti che gestiscono i servizi di accoglienza sul territorio - commentano i portavoce dell'associazione - Ci riferiamo in primo luogo alle scelte adottate dall’Unione Europea (frutto di un pessimo e per altro non ancora riuscito compromesso tra i Governi degli Stati membri) che da un lato continua a privilegiare le politiche del rifiuto (controllo dei mari e delle frontiere, rimpatri, cooperazione sporca con Paesi retti da dittature come il Sudan o la Somalia o in cui i diritti umani sono sistematicamente violati come la Turchia; espulsioni programmate verso Paesi, come l’Afganistan, che definire sicuri è un vero oltraggio); dall’altro non fa niente per fermare i conflitti, come quello siriano, nei Paesi di origine delle molte persone che arrivano, contribuendo ad alimentare i flussi di rifugiati. Vi sono però anche responsabilità squisitamente nazionali e locali, politiche e amministrative. Per quanto riguarda le prime, è quanto meno bizzarro che la crescita degli arrivi di migranti sulle nostre coste sia periodicamente evocata dal nostro Governo come un’“emergenza” per giustificare l’inadeguatezza del nostro sistema di accoglienza. Anche limitando al minimo l’orizzonte della nostra memoria, non è possibile fare a meno di ricordare ciò che successe già nel 2011, l’anno della cosiddetta “Emergenza Nord-Africa”: poco più di 62mila persone furono accolte solo grazie all’allestimento di un programma di accoglienza straordinario che, per altro, risultò altrettanto straordinariamente costoso. Oggi il numero di persone che giungono sulle nostre coste in cerca di protezione è molto più alto: sono già più di 145mila quelle arrivate quest’anno. E, a distanza di cinque anni, non siamo ancora preparati ad accoglierle bene. Tra le cause principali di questa cronica inadeguatezza vi è sicuramente la lentezza con la quale i principi assunti nel piano nazionale di accoglienza varato nel luglio 2014 da Governo, Regioni ed enti locali (coordinamento interistituzionale, distribuzione dell’accoglienza sul territorio) sono stati tradotti in concrete scelte politiche».
«Sono infatti molti i Comuni che si rifiutano di aderire alla rete Sprar, il cui ampliamento dovrebbe garantire il consolidamento di un sistema di accoglienza ordinario, coordinato e uniforme su tutto il teritorio nazionale. Ciò innesca un circolo vizioso che continua a riprodurre interventi in emergenza gestiti dal Ministero dell’Interno tramite i Prefetti, chiamati ad aprire nuove strutture temporanee in corrispondenza dei nuovi arrivi: a tutt’oggi, a livello nazio- nale, il 77% dei richiedenti protezione internazionale sono accolti nel sistema di accoglienza straordinaria costituito dai Cas, in capo alle Prefetture. La straordinarietà richiede procedure di emergenza, queste a loro volta favoriscono l’ingresso nella rete degli enti gestori di attori privi di esperienza, interessati più ai profitti che possono derivare dalla gestione dei servizi che alla loro qualità e ai diritti delle persone cui sono destinati. Lo spazio per la cattiva gestione e il cattivo trattamento delle persone si riproduce così all’infinito. In questo contesto va collocato il sistema di accoglienza romano, le cui disfunzioni hanno però concause specificamente radicate nelle scelte politiche e nelle prassi amministrative delle istituzioni cittadine, come purtroppo l’indagine su Mafia Capitale ha fatto emergere molto bene. Su queste si sofferma Il mondo di dentro. L’intreccio perverso tra politica, criminalità e affari che la Procura di Roma ha messo in luce con l’inchiesta “Mondo di mezzo” supera di gran lunga quanto in molti e da tempo hanno cercato di denunciare restando del tutto inascoltati. Del business che si è sviluppato attorno alla gestione dell’accoglienza dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati così come dei cosiddetti “campi nomadi”, non solo a Roma, noi insieme a molti altri abbiamo parlato in più occasioni. L’inchiesta racconta un sistema di potere e di controllo economico della Capitale (e non solo) occulto e inquietante per la sua trasversalità e pervasività. I giudici non a caso lo hanno definito un sistema reticolare, esplicitando molto bene che l’utilizzo improprio delle risorse pubbliche ha oltrepassato in questa città qualsiasi confine politico, mettendo in relazione tra loro rappresentanti politici, amministratori, manager ed esponenti della malavita con storie politiche molto diverse tra loro. Sarà la magistratura a decidere se le contestazioni sollevate nel corso delle indagini preliminari abbiano o no un fondamento. Il nostro compito è invece quello di non dimenticare e di andare oltre una lettura esclusiva- mente emotiva, effimera e scandalistica di quanto successo per evitare che, relegata nelle aule del Tribunale l’inchiesta tuttora in corso, tutto torni a funzionare esattamente come prima».
«Per queste ragioni - proseguono i portavoce di Lunaria - abbiamo ritenuto utile ricostruire come è stato disegnato il sistema di accoglienza romano negli ultimi tre anni, quali sono stati gli attori in campo, le procedure seguite per affidare i servizi, le carenze strutturali e le prassi amministrative che hanno aperto il varco all’utilizzo improprio, per usare un eufemismo, delle risorse pubbliche stanziate. Perché, se è vero che le evidenze emerse lasciano trasparire vizi e carenze sistemici, innanzitutto nel funzionamento dell’apparato politico-amministrativo del Comune di Roma, uno dei compiti delle organizzazioni della società civile è quello di verificare se e quali provvedimenti siano stati adottati per rimuoverli, tentando di delineare alcune possibili vie di uscita. Noi pensiamo che le istituzioni pubbliche nazionali e locali debbano mantenere un ruolo centrale di indirizzo, coordinamento e controllo delle politiche di accoglienza, ma, per migliorare davvero i servizi rivolti ai richiedenti asilo nella nostra città, occorre identificare innanzitutto puntualmente le loro criticità per poi tracciare alcune delle possibili soluzioni.
«Alcune di queste, forse le più determinanti, non sono di competenza dei singoli amministratori locali o dei singoli Prefetti che gestiscono i servizi di accoglienza sul territorio - commentano i portavoce dell'associazione - Ci riferiamo in primo luogo alle scelte adottate dall’Unione Europea (frutto di un pessimo e per altro non ancora riuscito compromesso tra i Governi degli Stati membri) che da un lato continua a privilegiare le politiche del rifiuto (controllo dei mari e delle frontiere, rimpatri, cooperazione sporca con Paesi retti da dittature come il Sudan o la Somalia o in cui i diritti umani sono sistematicamente violati come la Turchia; espulsioni programmate verso Paesi, come l’Afganistan, che definire sicuri è un vero oltraggio); dall’altro non fa niente per fermare i conflitti, come quello siriano, nei Paesi di origine delle molte persone che arrivano, contribuendo ad alimentare i flussi di rifugiati. Vi sono però anche responsabilità squisitamente nazionali e locali, politiche e amministrative. Per quanto riguarda le prime, è quanto meno bizzarro che la crescita degli arrivi di migranti sulle nostre coste sia periodicamente evocata dal nostro Governo come un’“emergenza” per giustificare l’inadeguatezza del nostro sistema di accoglienza. Anche limitando al minimo l’orizzonte della nostra memoria, non è possibile fare a meno di ricordare ciò che successe già nel 2011, l’anno della cosiddetta “Emergenza Nord-Africa”: poco più di 62mila persone furono accolte solo grazie all’allestimento di un programma di accoglienza straordinario che, per altro, risultò altrettanto straordinariamente costoso. Oggi il numero di persone che giungono sulle nostre coste in cerca di protezione è molto più alto: sono già più di 145mila quelle arrivate quest’anno. E, a distanza di cinque anni, non siamo ancora preparati ad accoglierle bene. Tra le cause principali di questa cronica inadeguatezza vi è sicuramente la lentezza con la quale i principi assunti nel piano nazionale di accoglienza varato nel luglio 2014 da Governo, Regioni ed enti locali (coordinamento interistituzionale, distribuzione dell’accoglienza sul territorio) sono stati tradotti in concrete scelte politiche».
«Sono infatti molti i Comuni che si rifiutano di aderire alla rete Sprar, il cui ampliamento dovrebbe garantire il consolidamento di un sistema di accoglienza ordinario, coordinato e uniforme su tutto il teritorio nazionale. Ciò innesca un circolo vizioso che continua a riprodurre interventi in emergenza gestiti dal Ministero dell’Interno tramite i Prefetti, chiamati ad aprire nuove strutture temporanee in corrispondenza dei nuovi arrivi: a tutt’oggi, a livello nazio- nale, il 77% dei richiedenti protezione internazionale sono accolti nel sistema di accoglienza straordinaria costituito dai Cas, in capo alle Prefetture. La straordinarietà richiede procedure di emergenza, queste a loro volta favoriscono l’ingresso nella rete degli enti gestori di attori privi di esperienza, interessati più ai profitti che possono derivare dalla gestione dei servizi che alla loro qualità e ai diritti delle persone cui sono destinati. Lo spazio per la cattiva gestione e il cattivo trattamento delle persone si riproduce così all’infinito. In questo contesto va collocato il sistema di accoglienza romano, le cui disfunzioni hanno però concause specificamente radicate nelle scelte politiche e nelle prassi amministrative delle istituzioni cittadine, come purtroppo l’indagine su Mafia Capitale ha fatto emergere molto bene. Su queste si sofferma Il mondo di dentro. L’intreccio perverso tra politica, criminalità e affari che la Procura di Roma ha messo in luce con l’inchiesta “Mondo di mezzo” supera di gran lunga quanto in molti e da tempo hanno cercato di denunciare restando del tutto inascoltati. Del business che si è sviluppato attorno alla gestione dell’accoglienza dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati così come dei cosiddetti “campi nomadi”, non solo a Roma, noi insieme a molti altri abbiamo parlato in più occasioni. L’inchiesta racconta un sistema di potere e di controllo economico della Capitale (e non solo) occulto e inquietante per la sua trasversalità e pervasività. I giudici non a caso lo hanno definito un sistema reticolare, esplicitando molto bene che l’utilizzo improprio delle risorse pubbliche ha oltrepassato in questa città qualsiasi confine politico, mettendo in relazione tra loro rappresentanti politici, amministratori, manager ed esponenti della malavita con storie politiche molto diverse tra loro. Sarà la magistratura a decidere se le contestazioni sollevate nel corso delle indagini preliminari abbiano o no un fondamento. Il nostro compito è invece quello di non dimenticare e di andare oltre una lettura esclusiva- mente emotiva, effimera e scandalistica di quanto successo per evitare che, relegata nelle aule del Tribunale l’inchiesta tuttora in corso, tutto torni a funzionare esattamente come prima».
«Per queste ragioni - proseguono i portavoce di Lunaria - abbiamo ritenuto utile ricostruire come è stato disegnato il sistema di accoglienza romano negli ultimi tre anni, quali sono stati gli attori in campo, le procedure seguite per affidare i servizi, le carenze strutturali e le prassi amministrative che hanno aperto il varco all’utilizzo improprio, per usare un eufemismo, delle risorse pubbliche stanziate. Perché, se è vero che le evidenze emerse lasciano trasparire vizi e carenze sistemici, innanzitutto nel funzionamento dell’apparato politico-amministrativo del Comune di Roma, uno dei compiti delle organizzazioni della società civile è quello di verificare se e quali provvedimenti siano stati adottati per rimuoverli, tentando di delineare alcune possibili vie di uscita. Noi pensiamo che le istituzioni pubbliche nazionali e locali debbano mantenere un ruolo centrale di indirizzo, coordinamento e controllo delle politiche di accoglienza, ma, per migliorare davvero i servizi rivolti ai richiedenti asilo nella nostra città, occorre identificare innanzitutto puntualmente le loro criticità per poi tracciare alcune delle possibili soluzioni.
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