venerdì 25 novembre 2016

Jobs Act: calano ancora le assunzioni, i voucher macinano record su record

Inps. Renzinomics: con il taglio degli incentivi diminuiscono i contratti stabili. Le assunzioni stabili calano del 7,7%, i voucher aumentano del 34%. Manca poco al referendum, il governo affronta le conseguenze delle sue politiche sul lavoro.
Nei primi nove mesi dell’anno sono calate le assunzioni a tempo indeterminato a causa del taglio degli sgravi contributivi per i neo-assunti con il Jobs Act ed è continuato il boom dei voucher. Tra gennaio e settembre 2016 sono stati venduti 109 milioni e 553.754 mila «buoni lavoro» (+34,6%). È stato quasi raggiunto il record del 2015, quando ne sono stati staccati più di 115 milioni. Per l’Osservatorio sul precariato dell’Inps a settembre le nuove assunzioni a tempo indeterminato sono state 925 mila 825 a fronte del milione e 368.405 mila dei primi nove mesi del 2015. C’è stata una riduzione del 32% rispetto al periodo in cui il governo ha previsto la decontribuzione previdenziale piena. La stessa che vorrebbe ora assicurare per i soli assunti a Sud. L’occupazione prodotta dai fondi pubblici destinati alle imprese è ormai inferiore sia al 2015 che al 2014, quando il Jobs Act e gli sgravi non c’erano. Nei primi nove mesi del 2016, nel settore privato, il saldo tra assunzioni e cessazioni, è stato +522 mila, in calo rispetto al 2015 (+666 mila), ma superiore a quello registrato nei primi nove mesi del 2014 (+378 mila). Il saldo totale dei contratti stabili, cioè le assunzioni a tempo indeterminato comprese le trasformazioni e meno le cessazioni a tempo indeterminato, resta positivo nei primi tre trimestri del 2016 con 47.455 unità, ma è inferiore rispetto all’anno scorso ( un clamoroso meno 90% rispetto al saldo di 519.690 unità del 2015) e rispetto al 2014 quando il saldo era di oltre 104 mila unità.
***Il girone infernale del popolo dei voucher
La tendenza è nota da almeno un anno ed è stata confermata ancora una volta dall’Inps. Sono i fondi statali a produrre occupazione, non le imprese. E non può che essere così, visto che manca la domanda. Dopo l’abolizione dell’articolo 18 per i nuovi assunti, il Jobs Act continua a funzionare sui licenziamenti. L’osservatorio Inps ha confermato l’aumento dei licenziamenti complessivi (+4%) con un boom per quelli disciplinari (+28%), soprattutto nelle imprese con più di 15 dipendenti (+32%). Per il presidente dell’Inps Tito Boeri «ci sono state letture dei dati sui licenziamenti un pò affrettate – ha spiegato Boeri – il tasso di licenziamento è in calo». L’aumento dei licenziamenti è compatibile con un calo del tasso di licenziamento nel periodo considerato (dal 4,2% al 4,1%) ed è dovuto all’aumento generale dell’occupazione a tempo indeterminato. Nello specifico, la crescita dei licenziamenti disciplinari per giusta causa o giustificato motivo sarebbe dovuta anche alle dimissioni on-line, «una procedura ancora molto complicata soprattutto per i lavoratori stranieri» sostiene Boeri. Questi lavoratori si sarebbero resi irreperibili senza dare le dimissioni online. I datori di lavoro sarebbero stati costretti al licenziamento disciplinare.
«Al crescere degli incentivi crescono le assunzioni e, purtroppo, viceversa. Temiamo che tale fenomeno, del tutto prevedibile, spinga le imprese verso forme di lavoro non stabili e non sempre tutelate. Dimostrazione ne è la costante crescita dell’utilizzo dei voucher – sostiene Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil. Loy sostiene che un ruolo lo abbia anche la gig economy, l’economia dei servizi on-demand via app per smarthphone: «È un mercato non definito e non regolato: quello che nasce dalle piattaforme digitali produce, spesso, un’occupazione a basso costo».

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