Democrazia è una parola passata di moda. Le cose migliori oggi si
fanno senza democrazia: in campo economico, politico, perfino culturale,
e nell’informazione. Esiste un movimento culturale che -prove alla
mano- stigmatizza la democrazia. Il referendum che ha sancito la volontà
dei cittadini britannici di uscire dall’Unione europea -la cosiddetta
“Brexit”- ha dato uno slancio inatteso al “movimento”. E nessuno l’ha
scritto meglio della politologa Nadia Urbinati, all’indomani della
consultazione di fine giugno: “Brexit ci ha catapultato indietro di
svariati decenni, quando scrittori e uomini di cultura teorizzavano il
dispregio per la ‘democrazia’: il nome di un pessimo governo perché
governo degli ignoranti (corsivo nostro, ndr), di chi non sapeva capire
il ‘vero’ interesse del Paese perché non aveva beni da difendere o
carriere da coltivare”. In sostanza, la logica è che gli ignoranti
-ovvero il suffragio universale- blocchino le possibilità di chi non lo
è. “La società della meritocrazia si rivolta contro la società
dell’eguaglianza, e prova a far circolare l’idea che la competenza, non
l’appartenenza alla stessa nazione, debba consentire l’accesso alla
decisione politica”, ancora Urbinati.
Ci sono dunque decisioni, quelle che richiedono conoscenza e riflessione maggiore, che non dovrebbero essere prese da tutti. Una cittadinanza basata sull’accesso alla competizione economica “e non sull’eguale potere nella partecipazione alla vita collettiva e politica”.
Purtroppo -per fortuna- la democrazia per il momento non prevede compromessi, ed è previsto che il “pacchetto” sia preso per intero: compresa l’eventualità che qualcuno voti Donald Trump, per capirci; compresa l’eventualità che qualcuno la pensi diversamente da me, compresa l’eventualità che votino persone impreparate.
Il tema è piuttosto chiedersi che cosa viene raccontato ai cittadini per convincerli a votare in un modo o nell’altro (oppure a non votare). Quali menzogne -come nel caso di Brexit, ma mica solo quello- vengono spudoratamente utilizzate.
La perdita di “sensibilità” democratica abbraccia molti campi, e vorremmo raccontarvi un paio di casi che ci sono capitati. A ottobre il ministro della Difesa Roberta Pinotti è stata in Arabia Saudita (una monarchia assoluta, a proposito di democrazia). Insieme ad Amnesty International e Rete disarmo abbiamo chiesto conto della visita, e se vi fossero stati accordi in materia di vendita di armi. Una preoccupazione legittima: i sauditi sono impegnati in un attacco allo Yemen stigmatizzato dall’Onu stessa, e utilizzano bombe provenienti anche dall’Italia. La replica del ministero è stata una minaccia di querela (via Twitter, tra l’altro…). Non risposte (doverose da parte di un’istituzione democratica, che deve rendere conto ai cittadini del suo operato) a domande legittime, ma lo spauracchio di un’azione legale.
La seconda storia è per noi più delicata. Dopo aver a lungo studiato la proposta di revisione costituzionale in vista del referendum del 4 dicembre, abbiamo pubblicato un piccolo volume, dal titolo esplicito: “Le ragioni del NO”. Lo abbiamo realizzato grazie al crowdfunding, e abbiamo deciso di non venderlo in libreria, ma solo attraverso i nostri canali “alternativi”: le presentazioni, i dibattiti, le botteghe del commercio equo e solidale. Un po’ come quando, nel 2011, ci battemmo per il referendum contro la privatizzazione dell’acqua. È il nostro modo di fare informazione, e la maggior parte dei negozi di fair trade ha accolto la nostra proposta, ma non tutti. A fine settembre un nostro lettore, impegnato in un’associazione che gestisce una bottega, ci ha scritto che non riusciva “veramente a capire questo vostro accanimento sul referendum e questo schierarsi così palese” e che per questo motivo, oltre a non rinnovare l’abbonamento, si sarebbe “battuto anche per non vendere più la vostra rivista nella nostra bottega”. Tradotto: se non la pensi come me, limito la tua possibilità di parola. Niente Voltaire che muore per le opinioni altrui, stavolta, niente Gramsci che odia chi non parteggia, che odia gli indifferenti.
Ci sono dunque decisioni, quelle che richiedono conoscenza e riflessione maggiore, che non dovrebbero essere prese da tutti. Una cittadinanza basata sull’accesso alla competizione economica “e non sull’eguale potere nella partecipazione alla vita collettiva e politica”.
Purtroppo -per fortuna- la democrazia per il momento non prevede compromessi, ed è previsto che il “pacchetto” sia preso per intero: compresa l’eventualità che qualcuno voti Donald Trump, per capirci; compresa l’eventualità che qualcuno la pensi diversamente da me, compresa l’eventualità che votino persone impreparate.
Il tema è piuttosto chiedersi che cosa viene raccontato ai cittadini per convincerli a votare in un modo o nell’altro (oppure a non votare). Quali menzogne -come nel caso di Brexit, ma mica solo quello- vengono spudoratamente utilizzate.
La perdita di “sensibilità” democratica abbraccia molti campi, e vorremmo raccontarvi un paio di casi che ci sono capitati. A ottobre il ministro della Difesa Roberta Pinotti è stata in Arabia Saudita (una monarchia assoluta, a proposito di democrazia). Insieme ad Amnesty International e Rete disarmo abbiamo chiesto conto della visita, e se vi fossero stati accordi in materia di vendita di armi. Una preoccupazione legittima: i sauditi sono impegnati in un attacco allo Yemen stigmatizzato dall’Onu stessa, e utilizzano bombe provenienti anche dall’Italia. La replica del ministero è stata una minaccia di querela (via Twitter, tra l’altro…). Non risposte (doverose da parte di un’istituzione democratica, che deve rendere conto ai cittadini del suo operato) a domande legittime, ma lo spauracchio di un’azione legale.
La seconda storia è per noi più delicata. Dopo aver a lungo studiato la proposta di revisione costituzionale in vista del referendum del 4 dicembre, abbiamo pubblicato un piccolo volume, dal titolo esplicito: “Le ragioni del NO”. Lo abbiamo realizzato grazie al crowdfunding, e abbiamo deciso di non venderlo in libreria, ma solo attraverso i nostri canali “alternativi”: le presentazioni, i dibattiti, le botteghe del commercio equo e solidale. Un po’ come quando, nel 2011, ci battemmo per il referendum contro la privatizzazione dell’acqua. È il nostro modo di fare informazione, e la maggior parte dei negozi di fair trade ha accolto la nostra proposta, ma non tutti. A fine settembre un nostro lettore, impegnato in un’associazione che gestisce una bottega, ci ha scritto che non riusciva “veramente a capire questo vostro accanimento sul referendum e questo schierarsi così palese” e che per questo motivo, oltre a non rinnovare l’abbonamento, si sarebbe “battuto anche per non vendere più la vostra rivista nella nostra bottega”. Tradotto: se non la pensi come me, limito la tua possibilità di parola. Niente Voltaire che muore per le opinioni altrui, stavolta, niente Gramsci che odia chi non parteggia, che odia gli indifferenti.
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